L’8 giugno 1924 è quasi estate anche a quelle latitudini, ma a 8170 metri di quota la temperatura è sempre sotto zero. E le estati himalayane non sono certo da sogno: è la stagione in cui arrivano i monsoni caldi e umidi dal mare, portando terrificanti tempeste dai venti impetuosi.

Al “Campo VI”, George Mallory e Andrew Irvine si svegliano prestissimo, staccandosi dalle bombole di ossigeno che hanno permesso loro di dormire per qualche ora, contrastando gli effetti del mal di montagna. Oggi daranno l’ultimo assalto alla cima dell’Everest, il “Terzo Polo” della Terra, la montagna più alta del mondo, mai raggiunta da nessuno. Sono 4 anni che la Royal Society allestisce spedizioni scientifiche dispendiosissime, cui partecipano i migliori alpinisti britannici, accompagnati da uno stuolo di ricercatori. Ma, finora, non si è visto nessun risultato. La montagna (“Chomolungma” ossia “Madre dell’Universo”, in tibetano) è inaccessibile e ha già preteso un significativo tributo in termini di vite umane. Ora i fondi disponibili stanno per finire e la Royal Society ha già annunciato che non ci saranno nuove spedizioni.

Le nuvole che si vedono lungo quasi tutto l’orizzonte non promettono nulla di buono. Quest’anno, i monsoni si sono anticipati, le tempeste arriveranno prima. O la raggiungiamo oggi o mai più, pensa Mallory. Irvine è d’accordo.
A Mallory mancano pochi giorni per compiere 38 anni, ma il suo curriculum è densissimo di successi. Non è solo il massimo alpinista inglese vivente, ma anche uno stimato docente di Storia in una prestigiosa scuola privata, laureato a Oxford e autore di saggi che hanno ricevuto il plauso di tutto il mondo accademico. In mezzo, è riuscito anche a essere un ufficiale di artiglieria durante la Grande Guerra, ferito in combattimento e decorato al valore. Gli artisti, tra i quali conta molti amici, lo considerano un uomo dalla bellezza fisica abbacinante, e qualche volta si è lasciato convincere a posare per qualcuno di loro.

Frequenta abitualmente scrittori che faranno la Storia della letteratura del ‘900, come Virginia Woolf. Ma è soprattutto un uomo dedito alla famiglia felice che si è formato insieme alla bella, dolce Ruth Turner, dalla quale ha avuto tre figli: i contatti epistolari con la moglie, nonostante la distanza e i tanti impegni, anche in questo periodo sono fittissimi e sempre molto affettuosi. La conquista dell’Everest sarà il suggello definitivo di una vita semplicemente perfetta. Il direttore scientifico della spedizione, Edward Norton, gli ha lasciato carta bianca per quanto concerne l’ascensione.

L’equipaggiamento del tempo permette di salire fino in cima a due persone al massimo. Pochi giorni prima, Mallory ha dovuto scegliere tra i compagni quello che lo seguirà. E’ toccato ad Andrew Irvine, scozzese, 22 anni, studente di Ingegneria Meccanica a Manchester e già celebre tombeur de femmes. Un ragazzo prestante e fortissimo, ma piuttosto inesperto rispetto agli altri presenti. Più tardi, qualcuno sosterrà malignamente, che Mallory non voleva dividere il trionfo con nessun altro alpinista famoso. Altri si spingeranno al punto da insinuare la possibilità di una relazione equivoca tra i due, senza alcuna prova, solo perché Mallory ha sempre tenuto Irvine sotto la sua ala protettrice e Irvine l’ha ricambiato con una devozione che sfiora l’idolatria.

Ma la verità è molto più banale: i rudimentali strumenti tecnici di cui la spedizione dispone si guastano in continuazione e Irvine è l’unico che sia capace di ripararli. Soprattutto le bombole di ossigeno e i dispositivi a esse collegati, indispensabili per compiere le ultime fasi dell’ascensione. Alle prime luci dell’alba, i due partono. Devono salire per quasi 700 metri, dato che la cima dell’Everest si trova a 8848 m di quota.

Verso mezzogiorno, arriva al Campo VI, proveniente dal Campo V che si trova a 7680 m, un altro membro della spedizione, Noel Odell, di 34 anni. Odell, come Mallory, non è solo un alpinista ma anche un ricercatore, per l’esattezza un geologo. Oltre che di rifornire i compagni di cibo, carburante per i fornelli e generi di conforto, è incaricato di compiere alcuni rilevamenti sulle rocce sedimentarie che costituiscono la superficie della montagna a quel livello.

Odell trova tutto in ordine ma è preoccupato perché la cima è interamente coperta dalle nubi, e poi registra un dettaglio preoccupante: al campo manca il fornello a gas (più tardi si appurerà che Mallory lo aveva lasciato cadere accidentalmente durante la salita), per cui è possibile che i due, non riuscendo a sciogliere la neve, non abbiano fatto colazione e abbiano difficoltà a procurarsi da bere. Poi si mette al lavoro, spicconando la roccia dove gli sembra che affiori qualcosa: e fa il colpo grosso della giornata, scoprendo una serie di fossili (gusci di molluschi) appena sotto la superficie.
Sono i fossili ritrovati a più alta quota, mai nessuno arriverà a trovarne più in alto.
Mentre si occupa di questo, verso le 12,50, Odell si accorge che dalle nubi sta finalmente filtrando un po’ di sole e alza lo sguardo per vedere se si riesce a capire a che punto siano Mallory e Irvine. Le nubi stanno già richiudendosi, ma Odell riesce a vedere distintamente le due figure che si stanno arrampicando su una parete tra le due sporgenze denominate Primo e Secondo Gradino, a circa 8600 m di quota. Rispetto alla tabella di marcia da seguire, sono un po’ in ritardo, ma mancano solo 250 metri alla vetta.
Poco dopo le 14,30, tuttavia, si scatena la tempesta e Odell è costretto a rifugiarsi nella tenda del Campo VI. La visibilità è ridotta ai minimi termini e Odell passa due ore affacciandosi dalla tenda e gridando: è il solo modo che ha di segnalare la sua posizione ai compagni che stanno tornando, che così possono seguire la direzione della sua voce. Ma Mallory e Irvine non tornano. Alle 16,30, secondo gli ordini ricevuti dallo stesso Mallory (la tenda del campo non poteva ospitare tre persone), Odell torna al Campo V, con un bruttissimo presentimento.

La mattina dopo, Odell e gli altri compagni del Campo V, tornano al Campo VI e non vi trovano nessuno. Passano due giorni a cercarli nei dintorni, poi le tempeste si intensificano e non rimane altro che tornare giù e annunciare il fallimento della spedizione e la perdita dei due.

Per il Regno Unito, è una tragedia di portata epocale, paragonabile solo a quella della spedizione di Scott al Polo Sud nel 1912. Ma il dolore di una nazione intera non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella delle due famiglie. Per i genitori di Irvine sarà una mazzata da cui non si riprenderanno più. La moglie di Mallory, invece, si chiuderà in una vita appartata e tristissima, che molti anni dopo sarà raccontata dai figli, lasciandosi letteralmente morire un po’ alla volta, fino al 1942 in cui chiude definitivamente gli occhi, a soli 49 anni.

La cima dell’Everest sarà poi conquistata, sempre in una spedizione della Royal Society, da un altro suddito del Commonwealth, il neozelandese Edmund Hillary, e dal nepalese Tenzing Norgay, il 29 maggio 1953, in contemporanea con l’incoronazione della Regina Elisabetta, che definirà l’impresa come il più bel regalo ricevuto.
Ma resterà sempre il dubbio: Hillary e Tenzing furono davvero i primi ad arrivare in cima, o Mallory e Irvine li precedettero?

Gli esperti, nella maggior parte dei casi, ritengono che Mallory e Irvine non siano mai arrivati. Ma non mancano le voci discordanti e non si ha nessuna prova che stabilisca definitivamente la verità. Le uniche potrebbero arrivare dal ritrovamento della fotocamera di Mallory e, per questo, molte spedizioni hanno cercato i corpi dei due alpinisti.

Questa ricerca non è mai stata facile. Dapprima i mezzi tecnici rendevano le spedizioni molto rischiose. Poi ci si è messo di mezzo il regime maoista cinese, che ha chiuso l’accesso all’Everest dal lato cinese, dove ci sono le migliori vie per salire. Infine, negli ultimi decenni, il turismo irresponsabile che ha portato sulle cime una quantità di dilettanti impreparati e presuntuosi, con diversi incidenti anche gravi e decine di morti abbandonati sul posto per l’impossibilità di trasportarli giù.
Gli elementi disponibili sono comunque i seguenti:
- Nel 1933, una spedizione inglese ritrovò la piccozza di Irvine, appoggiata su una roccia a 8400 metri, verosimilmente abbandonata durante la discesa, dato che Odell aveva visto i due arrivare all’altezza di 8600.
- Nel 1936, un altro alpinista inglese, Francis Sydney Smythe, attraverso un telescopio, vide un corpo che giaceva in fondo a un canalone e ne scrisse a Edward Norton, senza ricevere risposta.
- Nel 1975, l’alpinista cinese Wang Hongbao contattò un gruppo americano dicendo di aver visto un corpo vestito alla maniera degli anni ’20 alla quota di circa 8400 m, e si offrì di guidarli sul posto il giorno dopo. Purtroppo, mentre tornava al suo campo, Wang fu travolto da una frana e morì sul colpo.
- Nel 1999, lo scrittore e giornalista tedesco Tom Holzel riuscì a raccogliere abbastanza fondi da mettere in piedi una spedizione dedicata espressamente alla ricerca dei due corpi. Questa spedizione, guidata dall’alpinista americano Conrad Anker, ritrovò il corpo di George Mallory alla quota di 8170 metri, subito sotto un tratto di roccia particolarmente friabile e infida, detto Linea Gialla.

Era il corpo visto da Francis Sydney Smythe, ma non è chiaro se la sua testimonianza sia stata utilizzata o meno, visto che dopo la sua morte nel 1949 nessuno ha avuto accesso alle sue carte fino a quando, nel 2013, il figlio Tom ha scritto la sua biografia, e Edward Norton non aveva parlato a nessuno delle informazioni ricevute da Smythe.
Mallory era sicuramente morto, quasi sul colpo, in seguito a una caduta, ma non da grande altezza. Il freddo secco aveva perfettamente conservato il suo corpo. Addosso non aveva né la fotocamera né la foto dell’amata Ruth che aveva promesso di lasciare in cima una volta arrivato. Anker e i suoi compagni lo seppellirono sotto un tumulo di pietre.

Ci sono dei dubbi anche sul risultato dell’eventuale scoperta della fotocamera: alcuni dicono che, se i due arrivarono in cima dopo il tramonto, gli scatti sarebbero comunque inservibili.
Nel 2010, Holzel ha annunciato di aver finalmente individuato anche il corpo di Irvine, dopo una lunga ricerca basata su immagini scattate dai satelliti artificiali nella zona in cui fu ritrovata la piccozza nel 1933. Ma, in 7 anni, non è ancora riuscito a mettere insieme i fondi necessari ad allestire una nuova spedizione per raggiungerlo.

Tra gli esperti, ultimamente, ha preso piede la cosiddetta “teoria della piccozza”, in base alla quale Mallory e Irvine sarebbero arrivati insieme fino al Secondo Gradino ma poi, per la difficoltà a superare questo, Mallory si sarebbe fatto issare su dal compagno e lo avrebbe lasciato lì ad aspettare, anche perché il ritardo accumulato rispetto alla tabella non avrebbe lasciato abbastanza ossigeno nelle bombole per salire in due. Così Mallory sarebbe salito portandosi su l’unica bombola di riserva, lasciando a Irvine le due mezze consumate. Giunto sulla cima, non sarebbe più ridisceso dalla via fatta all’andata perché la tempesta glielo avrebbe impedito, e sarebbe andato per una via apparentemente più praticabile, che passa per la Linea Gialla. Da qui, sarebbe caduto accidentalmente, forse colpito da un sasso staccato dal vento (il suo corpo recava solo due ferite: una frattura alla gamba dovuta alla caduta e una alla testa che non sembra compatibile con l’urto).

Irvine sarebbe invece morto per via della sua devozione a Mallory: non avrebbe rispettato l’ordine di tornare indietro dopo un certo tempo anche senza il compagno e sarebbe rimasto ad aspettarlo, senza rendersi conto che l’ossigeno delle bombole si stava consumando. In mancanza di ossigeno, la scarsa concentrazione e attenzione lo avrebbe indotto prima a dimenticare la piccozza e poi a cadere al primo ostacolo.
Questa teoria è suggestiva, ma lascia aperti due interrogativi. Il primo è: il corpo visto da Holzel è lo stesso visto da Wang nel 1975? Se sono due corpi diversi, e quello di Mallory era molto distante da essi, a chi può appartenere il secondo? Il secondo è: se Mallory salì in cima da solo, perché non si portò dietro la fotocamera, unico strumento con cui poteva documentare l’avvenuta impresa?

Un dettaglio inquietante che emerge da tutti gli studi compiuti sul fatto è che quasi certamente i due si resero conto subito che l’ascensione era talmente difficile, in quelle condizioni meteorologiche, da rappresentare un’impresa suicida, eppure non si tirarono indietro né si rassegnarono ad anticipare il ritorno. Insomma, sfidarono letteralmente la morte, sapendo di avere pochissime probabilità di vittoria.
Altri riferimenti si trovano nel libro “Scomparsi sull’Everest: il Mistero della spedizione Mallory Irvine”.