Correva l’anno 1939; il 1° settembre le truppe della Wehrmacht oltrepassarono il confine polacco alle 4:45 e due giorni dopo, il 3 settembre, Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania. Così ebbe inizio un nuovo capitolo di storia; ebbe inizio il secondo conflitto mondiale.

La politica razziale di Hitler la conosciamo tutti: gli ariani erano considerati superiori agli altri popoli e dovevano inseguire l’obiettivo di una grande Germania attraverso la conquista dei territori necessari al loro “spazio vitale, il Lebensraum.
Come si giunse all’invasione della Polonia?

Sul finire degli anni ’30 del Novecento, il Führer sfidò l’Europa perché la sua politica estera gli aveva spianato la strada. A ciò contribuirono anche una serie di errori diplomatici delle altre grandi potenze, che fraintesero le sue rivendicazioni territoriali in nome del principio di autodeterminazione dei popoli.

Tutto ebbe inizio all’indomani della fine della Prima guerra mondiale. Il 18 gennaio del 1919, i delegati delle nazioni vincitrici si riunirono a Versailles per redigere un trattato di pace e imporre pesanti sanzioni alla Germania, che, tra l’altro, non poté presenziare alla conferenza. In parole povere, si trattava di una resa incondizionata, dove i vinti non avevano alcuna voce in capitolo.

La delegazione di Versailles smantellò l’impero coloniale del Reich e ordinò una serie di amputazioni territoriali, come, ad esempio, la sottrazione dell’Alsazia e della Lorena, che andarono alla Francia. Inoltre, il trattato prevedeva la demilitarizzazione della Germania, con conseguente divieto di possedere sottomarini, carri armati e artiglieria pesante. In ultimo, il governo di Parigi si riservò il diritto di occupare per quindici anni le zone della Renania e del Saar.

Un altro evento che ebbe notevoli ripercussioni sui futuri disordini nel Vecchio Continente fu la creazione dell’Austria. Dopo la Prima guerra mondiale, l’Impero austro-ungarico si disgregò e molti austriaci di lingua tedesca chiesero l’annessione alla neonata Repubblica di Weimar, ma le nazioni vincitrici respinsero la proposta e preferirono modellare uno stato cuscinetto a metà strada fra Germania e Italia. Questa soluzione di ripiego, però, favorì le successive rivendicazioni di Hitler. Ma andiamo con ordine.
Nel periodo postbellico, le grandi potenze europee isolarono la Germania e la considerarono uno stato con cui non si doveva intrattenere alcuna relazione diplomatica e poche relazioni economiche. Per tutta risposta, la Repubblica di Weimar firmò con la Russia il trattato di Rapallo nel 1922, che prevedeva un regolare commercio fra i due paesi e l’impegno della Germania a non partecipare a un’eventuale crociata capitalista contro i bolscevichi. Si trattava di un’alleanza non militare, ma c’era anche un protocollo segreto che permetteva all’esercito tedesco di addestrarsi in territorio sovietico proprio con quegli armamenti che il trattato di Versailles aveva vietato.

Le tensioni con l’Europa si raffreddarono nel 1926, quando la Società delle Nazioni, un’organizzazione intergovernativa voluta dal presidente statunitense Woodrow Wilson, accolse la Germania fra i suoi membri in seguito al trattato di Locarno. La Repubblica di Weimar legittimò l’assetto territoriale stabilito a Versailles, rinunciò in via definitiva a qualsiasi rivendicazione sull’Alsazia e sulla Lorena e accettò un rapporto non conflittuale con la Francia.

L’ascesa di Hitler rimescolò le carte della geopolitica europea e l’Unione Sovietica divenne il pallino della sua politica nazionalista. Prima di intraprendere una campagna di conquista dello spazio vitale, però, il Führer aveva la necessità di riunire tutto il popolo tedesco, incluso quello austriaco. In quegli anni, il governo di Vienna fu vittima di una serie di sconvolgimenti politici, che destabilizzarono il fronte interno della nazione. I successi di Hitler spinsero i nazisti austriaci a ottenere un crescente consenso popolare, e nacquero delle tensioni con il cancelliere Engelbert Dollfuss, che, nel marzo del 1933, inaugurò il periodo dell’Austrofascismo, una dittatura a partito unico molto simile a quella di Mussolini.

Il 25 luglio del 1934 i nazisti austriaci uccisero Dollfuss, e sfruttarono l’evento come pretesto per dar vita a un moto rivoluzionario. Se da un lato Hitler sperava che la situazione potesse giocare a suo favore, dall’altra, Mussolini non voleva che uno stato così vicino all’Italia entrasse nell’orbita nazista, e si erse a garante dell’indipendenza austriaca. La situazione si risolse da sola e il governo di Vienna sedò i disordini interni con la forza.
L’annessione dell’Austria, però, era solo rimandata

Nel gennaio del 1935, Hitler continuò con la sua politica estera di stampo nazionalista e si concentrò sulla regione del Saar. I quindici anni di occupazione francese previsti dal trattato di Versailles erano scaduti e i cittadini andarono alle urne per un plebiscito che ne decidesse il destino geo-politico. L’esito fu che circa il 90% delle persone votò per l’unione con la Germania.

Questo piccolo successo spinse Hitler a violare una parte degli accordi di Versailles e favorire la ricostruzione dell’esercito tedesco attraverso il ripristino della coscrizione obbligatoria. La risposta delle altre potenze europee non tardò ad arrivare e, nell’aprile del 1935, i capi di stato di Francia, Inghilterra e Italia si riunirono a Stresa e fecero fronte comune contro le mire espansioniste del Führer.

Questa paradossale inimicizia fra l’Italia fascista e la Germania nazista non durò a lungo. Nell’ottobre del 1935 Mussolini ordinò l’invasione dell’Etiopia, una parentesi bellica che, nelle sue intenzioni, rappresentava un importante passo verso la creazione di un impero coloniale italiano. Dal canto loro Francia e Inghilterra non avevano interessi in Etiopia e chiusero un occhio, ma lo stato africano faceva parte della Società delle Nazioni, che, già a partire dal 7 ottobre, punì le manovre fasciste con delle sanzioni economiche. Nonostante ciò, l’Etiopia cadde il 9 maggio del 1936, ma Mussolini non gradì il comportamento ambiguo dei governi di Londra e Parigi. In sostanza, anche loro facevano parte della Società delle Nazioni e il Duce ne condannò il totale disinteresse nell’opporsi alle sanzioni comminate all’Italia. Con il fronte anti-nazista che si stava sfaldando a causa delle incomprensioni interne, Hitler ne approfittò e rioccupò la regione della Renania a discapito della Francia.

Il passo successivo fu l’alleanza fra i due regimi totalitari. Grazie alla crisi scaturita dalla questione etiope, nacque l’asse Roma-Berlino e, il 25 novembre del 1936, Germania e Giappone firmarono il patto anti-Comintern, in funzione anticomunista. Il Führer stava giostrando la politica europea per prepararsi alla conquista del territorio sovietico, ma sperava di convincere l’Inghilterra a schierarsi al suo fianco. L’alleanza anglo-tedesca non si concretizzò e ripiegò sull’Italia, che entrò nel patto anti-Comintern il 6 novembre del 1937.

Con Mussolini dalla parte nazista, il governo di Vienna perse il garante della sua indipendenza, e Hitler ebbe campo libero per far valere le sue ragioni. Nel febbraio del 1938 inviò al cancelliere austriaco Kurt Schuschnigg un accordo non negoziabile che prevedeva la revoca della messa al bando del partito nazista. Le opzioni a sua disposizione erano due: poteva firmare o prepararsi all’intervento dell’esercito tedesco. Schuschnigg scelse la prima, ma ribadì l’indipendenza dell’Austria e dichiarò che non sarebbe sceso ad altri compromessi.

Le sue parole suscitarono la reazione dei nazisti austriaci e nacquero nuove insurrezioni. Pur di sedare il caos interno, il cancelliere si giocò la carta del referendum popolare. In realtà non si trattava di una mossa avventata, perché sapeva che la maggior parte dei filo-nazisti erano giovani e, infatti, impose i ventiquattro anni come età minima per partecipare alle votazioni.
Da Berlino, però, la risposta di Hitler non si fece attendere e, sotto minaccia militare, costrinse Schuschnigg ad annullare il referendum e a dimettersi per favorire l’insediamento di un governo nazista. A quel punto entrò in gioco il presidente austriaco Wilhelm Miklas, che rifiutò sia le dimissioni del cancelliere sia le richieste di Hitler.

La situazione precipitò e fra i due governi nacque un braccio di ferro che sfociò nella mobilitazione della Wermacht. Il 12 marzo del 1938 le truppe tedesche oltrepassarono il confine e avanzarono indisturbate sul suolo austriaco. Infine, il 10 aprile il governo di Berlino ufficializzò l’annessione in seguito a un plebiscito che registrò quasi il 100% di voti favorevoli.

L’Anschluss dell’Austria era una chiara violazione degli accordi di Versailles, ma le grandi potenze europee non condannarono l’evento, anzi, lo giustificarono. Il perché è semplice. In passato, Roma, Parigi e Londra si erano schierate contro le rivendicazioni territoriali della Germania, ma nel 1938 i giochi di alleanze avevano alterato la scena politica del Vecchio Continente. Mussolini era dalla parte di Hitler e l’unico rimasto a opporsi all’espansionismo tedesco era il primo ministro francese Édouard Daladier, che, tuttavia, da solo poteva fare ben poco.

Il suo omologo inglese, infatti, era Neville Chamberlain, che credeva nella buona fede del cancelliere tedesco e ne sottovalutò il pericolo. Negli anni ’30 del Novecento, quindi, l’Inghilterra adottò la cosiddetta politica dell’appeasement, della riappacificazione, che, almeno in teoria, serviva a scongiurare un conflitto armato. Nei fatti, lo ritardò solo di qualche anno e, in un’ottica più ampia, lo fomentò.

Secondo il pensiero di Chamberlain, il Führer stava agendo negli interessi della Germania e voleva ribellarsi alle amputazioni territoriali stabilite nel 1919. Ormai erano passati più di vent’anni dalla fine della guerra e, in una visione geopolitica molto ottimista, lo statista britannico riteneva del tutto legittima la volontà tedesca di revisionare i suoi confini su basi etniche e linguistiche. In effetti, fino a quel momento, si trattava di piccole annessioni, e l’importante era che l’equilibrio europeo restasse inalterato, ma, come i libri di storia insegnano, Hitler era solo all’inizio.
In seguito le mire del Terzo Reich si orientarono in Cecoslovacchia e nei Sudeti, ma, prima di parlarne apriamo una breve parentesi. I Sudeti erano un sistema montuoso dove la maggioranza della popolazione era di nazionalità tedesca. In passato avevano fatto parte dell’Impero austro-ungarico e, dopo la Grande Guerra, il trattato di pace di Saint-Germain del 1919 ne sancì il passaggio alla Cecoslovacchia insieme ad altri territori con prevalenze germanofone, come la Boemia e la Moravia.

Visto il successo dell’Anschluss austriaco, Konrad Henlein, leder del Partito dei Tedeschi dei Sudeti, chiese aiuto a Hitler, che gli ordinò di presentare delle richieste inaccettabili al governo cecoslovacco per fomentare una crisi diplomatica. Ancora una volta Chamberlain cadde nel tranello del Führer e si pronunciò a favore delle pretese dei tedeschi dei Sudeti. Per tutto il 1938 si respirò aria di guerra, e le tensioni fra Germania e Cecoslovacchia alimentarono la paura di un nuovo conflitto europeo. Entrambi gli stati mobilitarono l’esercito e il 15 settembre il governo di Berlino chiese in via ufficiale l’annessione della regione.

A quel punto Chamberlain interpellò Mussolini e gli propose di avviare una mediazione con Hitler. Così, il 28 settembre, i capi di stato di Francia, Inghilterra, Germania e Italia si riunirono nella cosiddetta conferenza di Monaco per discutere sulla questione. Dati alla mano, i Sudeti erano una regione di circa 28.000 km², dove vivevano quasi tre milioni di tedeschi, e Chamberlain appoggiò la causa di Hitler.

La Cecoslovacchia non fu nemmeno interpellata e, in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli, il Terzo Reich ottenne ciò che voleva.

Per il primo ministro britannico si trattò di un grande successo diplomatico, perché era convinto di aver scongiurato una guerra e, ironia della sorte, di ritorno da Monaco sventolò con orgoglio una copia del trattato e disse:
«Credo che sia la pace per il nostro tempo»

In realtà, a Hitler non interessava la pace e portò avanti i suoi progetti. Sempre sul suolo cecoslovacco, la Wermacht occupò la città di Praga e, il 15 marzo del 1939, nacque il Protettorato di Boemia e Moravia, posto sotto la sfera d’influenza di Berlino.
L’Inghilterra chiuse un occhio ancora una volta
A quel punto i tempi erano maturi per invadere l’Unione Sovietica, ma restava da chiarire la posizione polacca all’interno dello scacchiere europeo. Hitler propose al governo di Varsavia di entrare nel patto anti-Comintern e partecipare alla campagna anti-bolscevica. La Polonia rifiutò e nacque l’ennesima crisi diplomatica che aveva per protagonista il Terzo Reich.

Questa volta, però, Chamberlain non fraintese nulla e capì che, nonostante le tante concessioni, Hitler non si sarebbe fermato. Per la prima volta lo statista britannico si schierò contro il suo omologo tedesco, e si erse a garante dell’equilibrio europeo.
«Se venisse intrapresa un’azione che minacciasse chiaramente la sua indipendenza, e alla quale il governo polacco si sentisse di conseguenza costretto a resistere con le sue forze nazionali, il governo di Sua Maestà e il governo francese gli presterebbero immediatamente ogni aiuto in loro potere».

La risposta di Hitler non tardò ad arrivare e, insieme a Mussolini, firmò il celebre Patto d’acciaio, ovvero una reciproca alleanza militare. In teoria un attacco alla Germania avrebbe comportato l’intervento italiano, ma, nei fatti, l’esercito fascista non poteva permettersi la partecipazione a una guerra su vasta scala, non prima del 1943. Come se non bastasse anche il Giappone si tirò indietro e Hitler si ritrovò senza alleati.

Nell’estate del 1939, però, il governo tedesco giocò l’asso nella manica e offrì a Stalin un accordo di non aggressione, il patto Molotov-Ribbentrop, che, in un protocollo segreto, prevedeva anche la spartizione della Polonia.

Hitler sapeva che Inghilterra e Francia sarebbero intervenute per fermarlo e, senza l’alleanza con i russi, la Wermacht si sarebbe ritrovata a combattere su due fronti, uno a est e uno a ovest. La firma dell’accordo, però, gli garantì la neutralità dell’Unione Sovietica, a sua volta impegnata nell’impadronirsi della fetta polacca che le spettava e nell’organizzarsi militarmente per affrontare un probabile futuro conflitto.

Così, dopo una serie di annessioni territoriali basate sul principio di autodeterminazione dei popoli, il 1° settembre del 1939 il terzo Reich diede inizio alla Seconda guerra mondiale. La scacchiera era pronta e ogni pedone era al suo posto. Hitler tese la mano, fece la prima mossa e l’Europa conobbe quella che Winston Churchill, successore di Chamberlain, definì “l’ora più buia”.
Proprio lo statista inglese, fino ad allora grigio protagonista della politica del suo paese (poi rifattosi nella gestione della Seconda Guerra Mondiale) disse le parole che meglio descrissero la gestione diplomatica da parte dell’Inghilterra della Germania Nazista e della sua voglia di espansione territoriale:
“Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”
Era il 1938 ed era appena stato firmato il Patto di Monaco che cedeva i Sudeti alla Germania. Churchill si dimostrò capace di predire il destino del mondo di lì a pochi anni.