Perché anche un Trentenne può Votare Donald Trump

La vittoria di Trump era data per improbabile, quasi impossibile, da tutti quei media che hanno seguito la campagna elettorale dall’inizio alla fine. Troppa la differenza intellettuale con Hillary Clinton, il gap di preparazione politica e la propensione stessa al governo del paese. La Clinton era la campionessa designata, Trump l’avversario da annotare sui libri di storia, quasi con ironia. E invece è accaduto l’inaspettato. Che l’America si sia recata alle urne con la pancia, con la voglia di cambiamento rispetto a quell’establishment che la governa ormai dal lontano 1988, quando dalla Casa Bianca uscì Ronald Reagan.

Petrolieri, avvocati, governatori. Dove sono i “self-made-man“? Quei tanto ammirati miliardari con la cravatta rosa dalle mogli modelle? Quegli amici che raggiungono Silvio Berlusconi nelle sue ville in Sardegna?

Uscito dall’arena del Wrestling, Donald Trump ha deciso di vincere anche in politica. E la cosa non è banale.

Il voto americano, e qui si entra nel campo delle interpretazioni, è stato descritto da Ezio Mauro come la rivalsa dei dimenticati. Quegli ultimi cui avevano raccontato che con la Laurea si diventa Manager. Quegli ultimi che pensavano al lavoro ben retribuito come ad un diritto inalienabile, proprio della costituzione stessa di una nazione. Quegli ultimi che pagavano la benzina 50 centesimi al litro, che hanno papà impegnato a pagare gli alimenti di tre mogli e mamma che fatica a star lontano dalla bottiglia. Quegli ultimi che hanno avuto i videogame e della politica “ma ammé che me ne frega“.

Quegli ultimi che si sono riuniti nei Fight Club, che pensavano di dare una svolta al sistema facendo zapping in TV, magari proprio sui canali di Trump. Che vivono di sussidi, statali o familiari, e che si sentono derubati di un futuro che, probabilmente, non gli è mai appartenuto.

Sì, questa è la rivalsa degli ultimi ma non solo. E’ la vittoria dei pregiudizi.

Perché votare una donna può rappresentare un problema con la propria coscienza. Perché le donne, davvero e in fondo, sono dei soggetti “diversi” in politica, sono le outsider da contare per le quote rosa. Nelle Springfield o San Jose del Texas, dell’Alabama, del North e South Carolina, del Kentuky e della Louisiana, nei pub di provincia del North Dakota o del Montana, fra le zanzare della Georgia, dell’Alabama o del Tennesse, fra le sconfinate foreste dello Utah o dell’Idaho, una donna presidente rappresenterebbe un cambiamento epocale che è davvero troppo. Troppo per il pregiudizio, troppo per la propria coscienza e per il proprio senso di sicurezza.

E allora anche i trentenni possono votare Trump

Quei trentenni che non hanno affollato le aule di Yale, di Stanford o Princeton. Quei trentenni cui non si è aperta la strada del successo nella Silicon Valley o a New York. Quelli che hanno creduto a Steve Jobs e al suo “Think Different” e poi si sono trovati al banco di un McDonald di Mountain View (in Arkansas, non in California) a servire panini. Quelli che vorrebbero cambiare qualcosa, prima di tutto la propria vita, ma cui la società non da strumenti sufficienti. Quelli il cui unico strumento è il voto, usato per cambiare e vedere che succede.

Il “tetto di cristallo”, come lo ha definito la Clinton, è ancora solido, e duro da rompere. E prima o poi accadrà, questo è certo. Se la pancia dell’America è stato descritto dai Simpson meglio di qualsiasi altra trasposizione filmica, forse la profezia (risalente al 2000) della serie di Matt Groening sarà destinata davvero ad avverarsi, e dopo Trump gli USA avranno, finalmente, un presidente donna.


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