Ci sono date nella nostra memoria che non dimentichiamo facilmente. Oltre quelle legate ad avvenimenti personali ci sono anche quelle che restano nella memoria collettiva. Una di queste è di sicuro il 9 maggio 1978, giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Chi ha vissuto in quegli anni ricorda perfettamente dove si trovava e cosa stesse facendo nel momento esatto in cui la notizia della morte di Aldo Moro venne data dagli organi di comunicazione. Esattamente come le generazioni successive ricordano l’annuncio dell’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 Settembre 2001.
Gli anni Settanta furono un periodo turbolento per l’Italia, caratterizzato da episodi di terrorismo (passati alla storia infatti come “Anni di Piombo”) che portarono il paese ad aumentare le misure di sicurezza, misure che nei decenni successivi vennero attuate nei confronti delle stragi di mafia. Le guerre tra i clan mafiosi imperversavano nell’isola in un susseguirsi infinito di omicidi e vendette familiari. Ma non sempre i figli dei mafiosi seguivano le orme dei padri.
Giuseppe Impastato nacque a Cinisi, paesino alle porte di Palermo, il 5 gennaio del 1948. Gli Impastato erano una potente famiglia mafiosa di Cinisi che aveva stretti rapporti “lavorativi” con il clan dei Corleonesi. Luigi Impastato, padre di Giuseppe, era stato mandato al confino durante la guerra proprio per la sua appartenenza a clan mafiosi, ed era imparentato con Cesare Manzella, capomafia di Cinisi poi assassinato nel 1963. Il suo successore fu Gaetano Badalamenti.

Nonostante la famiglia, Giuseppe prese sin da ragazzo le distanze dalla mafia, cosa che lo portò ad avere forti attriti con il padre, che più di una volta lo buttò fuori di casa. Peppino, com’era chiamato dall’amata madre Felicia e dagli amici, si schierò apertamente contro la mafia, entrando nelle file della Democrazia Proletaria e ostentando idee chiaramente di sinistra. Diede inizio a varie attività di carattere culturale, come cineforum, testate giornalistiche e dibattiti, e la più importante fu sicuramente la fondazione di Radio Aut, radio libera e autofinanziata attraverso la quale Peppino denunciava i crimini della mafia. Insieme agli amici di una vita aveva creato un palinsesto fatto di musica e programmi satirici, durante i quali venivano snocciolate le attività criminali dei mafiosi, soprattutto quelle di Gaetano Badalamenti, chiamato Tano Seduto.

Nel 1978, in occasione delle elezioni comunali, Peppino Impastato si candidò nelle liste della Democrazia Proletaria.
Peppino non vide mai i risultati delle elezioni
La sera dell’8 maggio 1978, mentre si apprestava a tornare a casa dopo i programmi radiofonici, venne catturato da un gruppo di uomini che prima lo picchiò selvaggiamente fino ad ammazzarlo e poi sistemò il cadavere nella sua automobile, posizionata sui binari della ferrovia, e lo fece saltare in aria.

Il giorno dopo il paesino di Cinisi si risvegliò con la triste notizia della morte di Giuseppe Impastato, ma la notizia non ebbe il tempo di avere risonanza nazionale, e neppure regionale a dirla tutta, perché oscurata dal ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. I carabinieri si fecero carico delle indagini, interrogando anche il fratello Giovanni, la madre Felicia e gli amici di Radio Aut. Dalle perquisizioni effettuate venne fuori, o meglio vollero far credere, che Peppino Impastato decise di suicidarsi, facendosi saltare sui binari.
Naturalmente le persone che lo conoscevano bene conoscevano la verità e sospettavano anche dell’ovvio mandante, Gaetano Badalamenti. Anche il ramo americano della famiglia Impastato, tirato in ballo dal padre Luigi in cerca di protezione del figlio poco prima di essere ammazzato lui stesso nel 1977, sospettava del capomafia del paese, e chiese a Felicia l’autorizzazione per regolare il conto. La donna, che si trovava coinvolta in questioni di mafia a causa del matrimonio impostole dalla famiglia, rifiutò fermamente, affermando che il figlio non dovesse essere usato dalle persone che odiava solo come regolamento di conti o scusa per uccidere qualcun altro.
Prima ancora che lo Stato si accorgesse delle guerre di mafia e dei maxiprocessi degli anni Novanta, la gente di Cinisi, seppur spaventata, alle elezioni votò per la Democrazia Proletaria e segnò sulla scheda il nome di Peppino in suo onore, facendogli così vincere un seggio. Il 9 maggio del 1979, in occasione del primo anniversario della morte, venne organizzata una manifestazione che attraversò il paese e a cui parteciparono circa duemila persone da tutta Italia. Negli anni successivi la lotta legale per conoscere la verità sulla morte di Impastato continuò, ma la condanna di Badalamenti come mandante dell’omicidio avvenne soltanto nel 2002.
L’attenzione nazionale sul caso si ebbe in seguito al film “I cento passi del 2000”, con Luigi Lo Cascio nei panni di Giuseppe Impastato e con la regia di Marco Tullio Giordana, e realizzato grazie all’aiuto di Giovanni Impastato e Felicia Bartolotta. Grazie al successo del film (e della canzone dei Modena City Ramblers) divennero famose anche le manifestazioni che si svolgono a Cinisi il 9 maggio di ogni anno.
A partire dalla fine degli anni Novanta anche le scuole di tutta la regione hanno cominciato a prendere parte alle varie iniziative grazie ai vari progetti portati avanti contro la mafia e, fino al 2004, anno della sua morte, Felicia Bartolotta apriva la sua casa e ospitava i ragazzi giunti al paese, raccontando la storia e il coraggio del figlio. Ad oggi, il figlio Giovanni (fratello di Peppino) ha ricevuto il testimone e continua il racconto della madre, accogliendo i giovani da tutto il paese con il sorriso sulle labbra e mostrando orgoglioso i ricordi del fratello.