12 marzo 1938: il Terzo Reich, attraverso l’Anschluss, annette l’Austria alla Germania. In Svizzera, alla frontiera est tra il canton San Gallo e la regione austriaca del Vorarlberg, si intensificano i controlli dinanzi alla minaccia tedesca. Non basta, infatti, per la Svizzera lo status di nazione neutrale: il governo, temendo un’invasione da parte di Hitler, comincia comunque a preparasi militarmente. Durante il 1938 e il 1939, tuttavia, la crisi che colpisce la Svizzera è in primis di tipo migratoria, soprattutto dopo i sanguinosi pogrom nazisti della Notte dei Cristalli, avvenuti tra il 9 e il 10 novembre 1938. Sono a migliaia gli ebrei austriaci costretti, d’improvviso, ad abbandonare le proprie case e a tentare di rifugiarsi nella vicina Svizzera. Gli ordini provenienti da Berna, però, non concedono alcuna grazia agli esuli:
La porta è chiusa
Non è, però, dello stesso parere il comandante assoluto della polizia cantonale di San Gallo, Paul Grüninger. A suo rischio e pericolo, infatti, disobbedisce alle disposizioni imposte. Consapevole della sorte degli ebrei oltre confine tra persecuzioni razziali, prime deportazioni nei lager e morte, inizia a falsificare e a manipolare i documenti di migliaia di sfollati: ben presto verrà radiato dal corpo di polizia e, abbandonato, trascorrerà il resto della sua vita in semi povertà.

Paul Grüninger era un personaggio poliedrico. Nacque a San Gallo il 27 ottobre 1891 da Frau Maria, proveniente da una famiglia protestante, e da Herr Oskar, tappezziere prima e tabaccaio poi, di estrazione cattolica. Tra il 1907 e il 1911 Paul frequentò l’Istituto Magistrale di Rorschach, sul lago di Costanza e, una volta terminati gli studi, trascorse la sua vita professionale alla frontiera nazionale: nel 1911 insegnò alla scuola elementare di Buchs, al confine con il Liechtenstein, e dal 1913 al 1919 alla scuola superiore di Au, comune adiacente all’Austria.
Nel frattempo intraprese anche la strada militare. Nel 1912 ottenne il grado di tenente dell’approvvigionamento nell’esercito svizzero e le sue prestazioni gli permisero di eccellere anche nello sport, entrando per la prima volta negli almanacchi storici nazionali: giocava a calcio, come ala sinistra, nell’SC Brühl, e nella stagione 1914-15 si laureò Campione di Svizzera. Era il 6 giugno 1915 e a Berna la squadra sangallese sconfisse il Servette di Ginevra per 3 a 0. Fu il primo e unico titolo nazionale della storia del club. Resterà legato al Brühl anche dopo il ritiro, in qualità di presidente della società dal 1924 al 1927 e dal 1937 al 1940. Dimessosi per i problemi giudiziari subiti, dopo la seconda guerra mondiale non lasciò il mondo del calcio dirigenziale e contribuì a ricostruire l’FC Au.
La carriera militare ebbe, più tardi, una svolta decisiva nel 1919: entrò nel corpo di gendarmeria di San Gallo e venne inquadrato come tenente dell’esercito svizzero, abbandonando, per questo, la cattedra scolastica. Lo stesso anno sposò Alice Federer (1897-1984) da cui ebbe due figlie: Ruth (deceduta all’età di 100 anni nel gennaio 2022) e Sonja. Nel 1925 raggiunse infine la consacrazione: diventò Capitano e Comandante della polizia cantonale di San Gallo e da lì, coordinava quindi tutte le operazioni dell’estesa regione svizzera, situata nella parte nord-orientale del paese.
Lavorò, per 13 anni, nell’assoluta normalità, ma il difficile biennio 1938-39 provocò poi, alla sua carriera, il definitivo tracollo.
Tutto cominciò da una circolare emanata dal governo:
La legge immigratoria prevedeva una serie di azioni volte a contrastare l’ingresso dei profughi dalla Germania
Per trasferirsi in Svizzera, dal 1° aprile 1938, il migrante proveniente dal territorio austriaco doveva essere in possesso di un visto, ma ogni possibilità d’ingresso venne ben presto preclusa:
Se il passaporto fosse stato rilasciato dopo il decreto del 19 agosto 1938 sarebbe stato pressoché impossibile varcare il confine
L’ufficio doganale, sul documento d’espatrio, era di fatto tenuto a timbrare la parola “respinto” mentre prima, invece, la Svizzera poteva fungere da corridoio umanitario nel caso del possesso di un visto estero verso un qualsiasi paese terzo. Nell’ottobre 1938, poi, le negoziazioni tra Berna e Berlino portarono alla stipula di un trattato per il riconoscimento etnico degli esuli al confine: le autorità tedesche, stampando sui passaporti degli ebrei austriaci la J di jude (“ebreo” in tedesco), permisero di semplificare il controllo a quelle svizzere. Fu il risultato internazionale di una legge interna tedesca emanata il 5 ottobre 1938: il passaporto di un ebreo, per la giurisdizione del Reich, perdeva la sua validità, e la misura attuata serviva da contrassegno doganale in caso di fuga. Una norma simile fu adottata anche in Svezia, per gli accertamenti nei porti.
Questo accordo portò, negli anni ‘90, ad un dibattito in Svizzera: fu la Germania a decidere, ricattando la Svizzera o ci fu, in effetti, la corresponsabilità volontaria del Consiglio federale?
Ad ogni modo, alla Svizzera la lettera J facilitò l’opera: era più veloce bollare le persone in base all’appartenenza religiosa. A Paul Grüninger spettava, quindi, il compito di respingimento e di ispezione, fermando anche tutti i veicoli in transito. Per le operazioni di identificazione ed espulsione si doveva passare dal suo ufficio, di stanza al villaggio di frontiera sul Reno, Diepoldsau, dove sorgeva un grande campo profughi, e al cui interno l’organizzazione ebraica della Svizzera gestiva l’assistenza e il soccorso. Non era mai stato, Grüninger, della stessa idea del governo: nell’agosto 1938 si oppose al disegno di legge durante la Conferenza dei direttori di polizia cantonali, ribadendo come, in quel periodo, la discriminazione razziale in Germania ai danni degli ebrei andasse peggiorando, provocando la morte di innumerevoli persone. Lanciò continuamente appelli definendo come “incosciente ogni blocco”: il 17 agosto chiese al Consiglio, invano, che almeno una parte fosse accolta. Nulla da fare.
Decise allora di agire di testa propria, trasgredendo ogni regola
La situazione a Diepoldsau era critica. Il paese, situato oltre il Reno e circondato dalla riserva naturale del Vecchio Reno che segna il confine con l’Austria (il precedente letto del principale fiume, interrotto a inizio ‘900 per deviarne le acque), stava assistendo al dramma di migliaia di ebrei austriaci che tentavano, ammassati, di superare il confine di notte: chi, correndo e chi, invece, nuotando nelle gelide acque del fiume.

Grüninger riportò, più volte, la condizione fisica e psicologica degli arrestati, i quali si presentavano in ufficio bagnati, affamati e sconvolti dai fatti al di là della frontiera. Dalla loro voce il comandante poté conoscere più approfonditamente i luttuosi eventi della Notte dei Cristalli e la quotidiana ferocia dei corpi tedeschi, a partire dalla Gestapo e dalle SS.
Le sue manomissioni ai documenti, avvenute tra l’agosto 1938 e l’aprile 1939, erano svariate: retrodatava, spesso, i documenti relativi ai permessi, timbrando l’avvenuto ingresso in Svizzera anche prima del marzo 1938, mese in cui iniziarono ad intensificarsi le restrizioni. Falsava i referti da compilare, modificando il numero degli arrivi. Non solo: ostacolò anche le operazioni dei colleghi volte a rintracciare gli accessi illegali, deviando gli ordini su altre questioni.
Forniva di nascosto beni di prima necessità lasciati nelle case durante le precipitose fughe, donando di tasca propria diversi viveri e indumenti invernali. Ciò che lo spinse a disobbedire fu soprattutto il dramma a cui assisteva quotidianamente: a processo, raccontò nei dettagli delle urla strazianti dei bambini e dei tentativi di suicidio sventati.

Le sue azioni col tempo furono scoperte: la Gestapo informò le autorità svizzere. e a San Gallo il Consiglio locale aprì un’inchiesta che finì, ben presto, nel penale. La mattina del 3 aprile 1939, entrando come di consueto in caserma, trovò l’entrata del suo ufficio bloccata: Grüninger era consapevole dei rischi che correva e capì che la sua carriera sarebbe finita. Gli fu ritirata l’uniforme e dovette abbandonare temporaneamente l’alloggio concesso in uso per il servizio.
Fu subito sospeso dalla carica con le accuse di abuso d’ufficio, violazione del dovere e falsificazione di documenti. Attese il verdetto per un anno, e nonostante gli fosse riconosciuto lo scopo altruistico del suo operato, il tribunale non lo assolse dall’accusa di “violazione del dovere”: venne condannato ad un’ammenda di 300 Franchi svizzeri (cifra considerevole per l’epoca), fu definitivamente radiato dal corpo di polizia e privato a vita della pensione. Le sue iniziative permisero di salvare la vita a circa 3600 ebrei, e non mostrò mai alcun segno di pentimento, né davanti al giudice né a posteriori.
Nel frattempo, doveva rincominciare una nuova vita con la pesante etichetta di cittadino “pregiudicato”. Gli insulti divennero una prassi. Perse gli amici di sempre e trovare un nuovo lavoro fu un’impresa al limite dell’impossibile: ottenne diverse supplenze nelle scuole e lavorò anche come rappresentante di commercio, ma le entrate finanziarie erano esigue. La figlia Ruth, per questo, dovette abbandonare gli studi a Losanna per assistere la famiglia: anche lei, “figlia del traditore”, trovò non pochi ostacoli per l’accesso al mondo del lavoro. Alla fine sarà un imprenditore tessile ebreo ad assumerla in un fabbrica di stoffe: il salario, come riportato dalla stessa Ruth in un recente servizio sulla storia del papà realizzato dalla TV svizzera di lingua italiana, la RSI, ammontava a 120 Franchi al mese a fronte di un affitto di 100 al mese.
Grüninger si ritrovò abbandonato, nella più totale omertà istituzionale
Fino alla lieve apertura nel 1970 non ricevette alcun sostegno, né dalla sua ex squadra, il Brühl, né inspiegabilmente dalla Comunità Ebraica. Il motivo del silenzio portò alla formulazione di diverse ipotesi:
Si volle dimenticare il drammatico passato sfociato nella Shoah? O esistevano pressioni politiche nazionali, onde evitare uno scandalo?
Dopo essere divenuto membro onorario della Lega per i diritti dell’uomo, a favore di Grüninger nacque una battaglia con lo slogan “Giustizia per Paul”. Sembrava tutto inutile: il governo cantonale bocciò ogni iniziativa, ribadendo più volte che a livello legislativo non esiste alcuna norma atta a poter riabilitare un caso giudiziario avvenuto in passato. Grazie ai primi articoli sui giornali nel dicembre del 1970 l’opinione pubblica poté finalmente conoscere la storia di Grüninger.
Da San Gallo, il governo si limitò ad una lettera di scuse, senza garantire alcun risultato concreto: non gli ripristinò la pensione, né volle riaprire il caso. Gli appelli dalla stampa, comunque, diedero i primi segni solidali: in una settimana, grazie alla colletta dei sostenitori, furono raccolti 25 mila Franchi.
Intanto, Grüninger poté beneficiare di un importante riconoscimento internazionale: il 20 aprile 1971, lo Yad Vashem, l’ente israeliano per la Memoria dell’Olocausto, lo riconobbe come “Giusto tra le nazioni” e oggi il suo è tra i 49 nomi svizzeri presenti nella lista.
Paul Grüninger morì, senza mai assistere all’archiviazione del caso giudiziario, il 22 febbraio 1972, e riposa nel cimitero di Au accanto alla moglie Alice Federer, deceduta nel 1984.
La causa fu portata avanti dalla figlia Ruth. Tra gli anni ‘80 e ‘90 i dibattiti sul ruolo coperto dalla Svizzera durante gli anni del Terzo Reich entrarono anche in politica e riemerse, più forte che mai, la figura di Paul Grüninger. Nel 1991 nacque a scopo benefico la fondazione “Giustizia per Paul Grüninger” che assegna, periodicamente, bandi e premi per chi opera nel campo mondiale dei diritti umani. Nel 1995 arrivò la tanto attesa sentenza:
Il tribunale di San Gallo lo assolse da tutte le accuse e ne riabilitò il nome
Tre anni dopo il governo cantonale sbloccò tutte le retribuzioni che avrebbe ricevuto senza quella radiazione: i familiari devolsero il denaro alla fondazione potendo sostenere finanziariamente i bandi annuali. Tra l’ammontare degli stipendi e il risarcimento dei danni, arrivarono nelle casse dell’associazione 1,3 milioni di Franchi.
Il suo nome, oggi, è inciso in diverse toponomastiche cittadine: a San Gallo, in pieno centro, sorge Piazza Grüninger. A Zurigo, a Stoccarda e a Gerusalemme, Via Grüninger. Sul Vecchio Reno, il ponte di confine che collega il comune austriaco di Hohenems a Diepoldsau è a lui dedicato e, a Vienna, spicca l’Istituto scolastico “Paul Grüninger”.

Anche lo stadio del Brühl, 4.000 posti a sedere, è intitolato alla sua memoria: in una lettera, a pochi mesi dalla sua morte, dichiarò di esserne ancora un grande tifoso, un “brühler entusiasta”. Oggi il club milita in Promotion League, l’equivalente della nostra Serie C, e lo Scudetto alzato al cielo nel 1915 da Paul Grüninger resta l’unico titolo nazionale della storia della società.
La vicenda di Paul Grüninger è narrata nel film del 2014, di produzione austriaca e svizzera, dal titolo Akte Grüninger.