Passeggiate nelle Marche: un incanto “Infinito”

Arrivi ad Ascoli Piceno in un giorno di nuvole che non si decidono a sciogliersi in pioggia, in quell’ora tra il chiaro e lo scuro che colora d’incanto ogni cosa, ed è subito meraviglia: da uno dei vicoli all’improvviso si apre Piazza del Popolo, ampia e al tempo stesso raccolta in se stessa.

Piazza del Popolo – Ascoli Piceno

Ascoli Piceno:

Subito lo sguardo è catturato dal Palazzo dei Capitani del Popolo, con la sua Torre medievale, e poi gira d’intorno tra i portici, dove si possono immaginare le botteghe dei mercanti in epoca rinascimentale, e si posa alla fine sull’imponente chiesa di San Francesco. Tutto è bianco e pieno di luce, come un accogliente salotto reso vivo dalla presenza di tanta gente.

Palazzo dei Capitani – Cortile interno

Chiesa di san Francesco

Ecco, le piazze di questa piccola città di provincia, racchiudono tutto il fascino di un paesaggio urbano dove ancora si può avvertire “il nostro substrato ancestrale di convivenza civile” (Mario Tozzi, Viaggio in Italia). Ma non è solo questo, ovvero l’armonia e la bellezza architettonica, che rende Ascoli così ricca di fascino. C’è quel passare dalle bianche piazze rinascimentali ai vicoli che parlano di medioevo, e poi le torri e le mille chiese, i palazzi ornati di tanti stili diversi: é un “incanto che viene da nulla e da tutto”, per dirlo con le parole di Guido Piovene.

Vicolo di Ascoli Piceno

Il Tempietto di Sant’Emidio alle Grotte è invece un piccolo gioiello che riserva la sua bellezza a chi si allontana dal centro di Ascoli e arriva in un luogo che sembra fuori dal tempo, immerso tra alberi e silenzi che riportano alla mente i versi di Giacomo Leopardi (il poeta d’altronde era nato e vissuto non troppo distante da qui):

“E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni…”

Il Tempietto di Sant’Emidio alle Grotte

Perché il Tempietto, così piccolo e appartato, riunisce in sé una grazia lieve e un profondo senso di mistero, componente essenziale del sacro. Il santuario, composto da un’unica sala divisa in tre spoglie navate, sta tutto all’interno di una grotta, mentre all’esterno la sorprendente facciata barocca alleggerisce il senso di sgomento che il luogo ispira (come sempre accade dove il silenzio e la pace riportano all’infinito che è dentro e fuori di noi: Leopardi insegna).

Interni del Tempietto

Le grotte, dove non mancano nicchie naturali e cunicoli, erano usate come necropoli dai primi cristiani, fin dal III secolo d.C.

Le antiche tombe

Sant’Emidio vescovo (patrono della città e protettore dai terremoti) fu decapitato poco fuori dalle mura di Ascoli, nel 303, e leggenda vuole che dal luogo del martirio si sia diretto, reggendo la testa tra le mani, proprio in quella necropoli, dove le sue spoglie rimasero per circa 700 anni, fino a quando non furono traslate nel Duomo della città (come pure quelle degli altri fedeli).

Le Grotte rimangono quindi vuote, ma sono comunque considerate un luogo sacro, tanto che i grati cittadini, quando nel 1703 un terremoto devasta l’area circostante ma preserva Ascoli, decidono di rendere grazie al santo consacrandole al suo culto.

L’architetto-scultore Giuseppe Giosafatti (allievo del Bernini) osa una facciata in stile barocco, in netto contrasto con la roccia di tufo dove si aprono le grotte, mentre l’interno del santuario è spoglio, ingentilito solo da volte a crociera.

Il tempietto di Sant’Emidio alle Grotte è conosciuto anche come la “Piccola Petra”, da quando una nota rivista sulle bellezze d’Italia, una ventina d’anni fa, fece questa azzeccata associazione con la ben più nota città della Giordania.

Stranamente (prima di conoscere questa curiosità), la stessa associazione mi è venuta alla mente quando, dopo un’ora e mezzo di cammino sul percorso che dal lago di Fiastra si arrampica verso una vallata dei Monti Sibillini (tra i monti Petrella e Fiegni), dal verde dei boschi e dai sentieri ombrosi all’improvviso sono comparse le Lame Rosse, stratificazioni rocciose che nell’immediato mi hanno ricordato quelle di Petra.

Lame Rosse

 Petra

Immagine di pubblico dominio

Pare che invece questo spettacolare paesaggio, così imprevisto e inaspettato, ricordi piuttosto i “camini delle fate” in Cappadocia.

Lame Rosse

Sono naturalmente associazioni che lasciano il tempo che trovano: le Lame Rosse sono un patrimonio naturale delle Marche e meritano di essere conosciute di per se stesse e non per eventuali somiglianze con luoghi lontani e più noti.

Volendo togliere un po’ di poesia all’impressione che se ne ricava, le Lame Rosse si spiegano con l’erosione provocata dagli agenti atmosferici sulle rocce, con il conseguente sgretolamento dello stato calcareo esterno. Si sono così formati dei pinnacoli che tendono a franare (lamare, nella parlata locale), dal particolare colore rossastro dovuto al substrato di ferro. La roccia calcarea che un tempo li ricopriva oggi forma un ghiaione bianco che rende il paesaggio ancora più suggestivo.

Lame Rosse

E a proposito di paesaggi suggestivi, dalla luce dei Monti Sibillini si può passare all’affascinante oscurità delle Grotte di Frasassi, un patrimonio naturale che non ha bisogno di presentazioni: da quando sono state aperte al pubblico (nel 1974), ben 300.000 visitatori ogni anno si inoltrano nel cuore cavo della montagna, che la scienza descrive come grotte carsiche dove, nel corso di milioni di anni, grazie a un processo chimico, si sono formate delle concrezioni di carbonato di calcio. Spiegazione che non può rendere l’incanto, lo stupore, e quelle strane sensazioni di piccolezza e insignificanza che si avvertono lungo tutto il percorso all’interno delle grotte.

Grotte di Frasassi

Paradossalmente, sono le medesime sensazioni che quasi sempre prova chi guarda un cielo stellato nella solitudine del deserto o di un’isola remota, come se spazi smisurati e misteriosi antri senza luce avessero lo stesso potere di costringerci a guardare dentro noi stessi e poi all’infinito che ci circonda, alla ricerca di una bellezza che aiuti il nostro faticoso cammino su questa Terra.

Grotte di Frasassi

Foto 3

Foto 4

Bellezze naturali e bellezze create dall’uomo, lungo strade che si incrociano e sono lì a ricordarci il nostro percorso attraverso i secoli. Forse non è a caso che vicino alle Grotte di Frasassi ci sia l’imponente abbazia di San Vittore e il Tempio del Valadier.

Abbazia di San Vittore alle Chiuse

Foto 5

Due luoghi di culto che raccontano momenti storici diversi: l’abbazia romanica di San Vittore, che risale ai primi decenni dell’anno 1000, si staglia solitaria nella verde vallata, mentre il Tempio del Valadier (che prende il nome dall’architetto Giuseppe Valadier), ultimato nel 1828, di stile neoclassico, quasi si nasconde all’interno di una grotta che si apre nel cuore della montagna.

Tempio del Valadier

Foto 6

L’eleganza dello stile architettonico, il bianco del travertino con cui è costruito, la volta rivestita di piombo, contrastano con la ruvida materia della grotta, che nulla toglie alla sacralità del Tempio, dedicato alla Vergine Maria e voluto da Papa Leone XII, nativo di queste parti.

Sacralità che, in senso più generale, si percepisce anche in altri contesti, quando il contatto con la natura avvicina all’idea d’infinito che ciascuno a modo suo conserva dentro di sé.

Come, ad esempio, alla faggeta di Canfaito, altro luogo tanto suggestivo quanto meraviglioso delle Marche, che a 1000 metri d’altezza, sul Monte San Vicino, consente di immergersi in una natura incontaminata. Ma non solo.

Faggeta di Canfaito

Se non si passeggia tra i faggi secolari in primavera, stagione ricca di promesse di rinascita, o durante la calda e luminosa estate, ma nell’instabile autunno, può accadere che il bosco si trasformi – grazie a nuvole che lo avvolgono in un umido abbraccio – nel confine tra noi e l’altrove, un mondo incantato dove ci si può aspettare di vedere sbucare all’improvviso il Bianconiglio o la strega di Hansel e Gretel.

Faggeta di Canfaito

Oppure lassù, tra nuvole e pioggia, silenzi e alberi indistinti, può accadere di sentirsi (ricordando sempre Leopardi) sulla soglia dell’infinito, al limitare di quell’immensità dove sarebbe dolce naufragare.

Foto 7

Tutte le foto (esclusa Petra) sono di Laura Rubboli


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