Tra i misteri legati alla storia del Giappone, questo che vi sto per raccontare è sicuramente in cima alla classifica tra quelli più enigmatici di sempre.
Un mistero il quale fascino ha avvolto numerosi storici decisi a rivelarne la spiegazione, per poi scoprire di doversi arrendere al volere del tempo.
È il 21 giugno del 1582 e il tempio di Honnō-ji a Kyoto è in fiamme, il fuoco continua a divampare e a scoppiettare nel silenzio della notte che sta per volgere al termine. In una stanza sul retro c’è il corpo senza vita di un uomo, è Oda Nobunaga, che si è appena suicidato mediante la pratica del “seppuku”, probabilmente per non cadere nelle mani del nemico. Se Oda Nobunaga non fosse morto al tempio di Honnō-ji quella mattina presto, probabilmente l’unificazione del Giappone sarebbe avvenuta 20 anni prima rispetto alla data che noi tutti conosciamo, ovvero il 1603 corrispondente all’inizio dello shogunato Tokugawa e del periodo Edo.
Chi era Oda Nobunaga?

Oda Nobunaga è stato sicuramente una delle figure storiche più importanti nella storia del Giappone. Era il figlio di un daimyō (importante titolo feudale) della provincia di Owari. Alla morte del padre prese le redini del suo clan e in soli 20 anni avviò una serie di guerre che lo portarono alla conquista di tutta la parte centrale del Giappone, all’epoca non ancora unificato, equivalente ad un terzo del paese. Nobunaga era considerato dai contemporanei un uomo arrogante, brutale e addirittura pazzo, con scatti di ira preoccupanti, ma per gli storici è quasi un Alessandro Magno del Giappone, in quanto era un gran stratega e sempre alla ricerca di tecniche di combattimento innovative, infatti fu uno dei primi ad introdurre l’archibugio in Giappone e a servirsi di “soldati contadini” e non solo di samurai.

Dopo anni di combattimenti strategici, il suo obiettivo di unificazione del Giappone era ostacolato soltanto dai tre clan nemici rimasti ostili: gli Hōjō, i Uesugi e i Mōri. Tutti e tre i clan in quel periodo subivano significativi cambiamenti interni, tra i quali guerriglie e passaggio di eredi. Deboli e vulnerabili, Nobunaga vede in questo momento un’occasione unica per attaccarli tutti e tre e soggiogarli al proprio volere.

Oda Nobunaga, quindi, decide di inviare Toyotomi Hideyoshi, un suo fedele samurai, a combattere contro i Mōri. Ma Hideyoshi, una volta sul campo, si vede costretto a chiedere al suo signore delle truppe di rinforzo, poiché una parte del suo esercito era impegnato in un’altra battaglia al castello di Takamatsu e non sarebbero stati in grado di combattere su due fronti. Nobunaga acconsente e ordine al comandante Akechi Mitsuhide di guidare le truppe di rinforzo fino a Hideyoshi.
Akechi Mitsuhide era un così detto “Rōnin”(浪人), ovvero un samurai senza padrone. Dopo che Nobunaga aveva conquistato il suo territorio, Mitsuhide era passato sotto il suo comando e grazie ai numerosi successi in battaglia, ne aveva conquistato via via la fiducia.
Mitsuhide, invece di marciare con le truppe di rinforzo da Hideyoshi e aiutarlo nella sconfitta del clan Mōri, si dirige con il suo esercito a Kyoto. Qui, infatti, c’era Nobunaga, che si era voluto fermare per riposare nel tempio di Honnō-ji. Nobunaga non viaggiava con un grande esercito, anzi, la sua scorta prevedeva solo un gruppo ristretto di persone, per lo più servitori e guardie private. Egli era quindi vulnerabile e per di più non nutriva alcun sospetto sul suo uomo.
Mitsuhide non aveva divulgato i suoi piani a nessuno all’interno del suo esercito, se non alla fine quando era diventato necessario dare l’ordine di attaccare. Ed è così che la mattina del 21 giugno 1582, ancor prima dell’alba, Mitsuhide attacca il tempio di Honnō-ji. I servitori di Nobunaga combattono fino all’ultimo per difendere il proprio signore, ma le speranze di vittorie sono nulle contro un esercito di uomini ben addestrati.
Oda Nobunaga è accerchiato
Uno dei servitori più fidati di Nobunaga, Mori Ranmaru, sotto diretto comando del suo signore, dà fuoco al tempio per impedire che i traditori possano impossessarsi della testa di Nobunaga e farne un trofeo, come era normale usanza all’epoca. Nella stanza sul retro del tempio il grande Nobunaga pone fine alla sua vita con un seppuku, e con lui finisce il sogno di un Giappone unificato. Anche il figlio primogenito di Nobunaga, Oda Nobutada, in quel momento nel vicino castello di Nijō, si suicida per non cadere nelle mani del traditore.

Intanto il samurai Toyotomi Hideyoshi, che stava aspettando le truppe di rinforzo, riceve la notizia della morte di Nobunaga e del tradimento di Mitsuhide. Hideyoshi stipula quindi una tregua con il clan dei Mōri, e si reca di fretta a Kyoto per vendicare il suo signore, alcuni sostengono per accaparrarsi il dominio lasciato da Nobunaga.
Lo scontro tra Hideyoshi e Mitsuhide avvenne in quella che si chiamerà la battaglia di Yamazaki: l’esercito di Mitsuhide è in grande difficoltà, sta perdendo, e il suo leader decide di fuggire nel tentativo disperato di salvarsi la vita. Si reca in un villaggio vicino al luogo dello scontro, ma viene ucciso da un bandito di nome Nakamura. Mitsuhide muore dopo 13 giorni dal tradimento commesso nei confronti del suo signore Oda Nobunaga, ed è per questo che riceverà il soprannome di “jūsan kubō” (じゅうさん公方) ovvero lo ”Shōgun dei 13 giorni”.

Il cadavere viene ritrovato da Hideyoshi, che ne taglia la testa e la ficca su un palo in segno di vittoria.
Questa è la versione “ufficiale” degli avvenimenti, in realtà non si sa bene cosa successe quella mattina, e come andarono davvero le cose.
Quello che è certo, è che i resti di Nobunaga non furono mai più trovati
Si dice che non sia stato il servo Mori Ranmaru, ma lo stesso Mitsuhide ad appiccare l’incendio al tempio, poiché voleva prendersi gioco di Nobunaga imitandolo, in quanto era una pratica che questi era solito attuare nei confronti dei suoi nemici. Ancora oggi rimane un’incognita dunque:
Oda Nobunaga è morto perché si é suicidato praticando un seppuku, o è morto bruciato nell’incendio?
Quando Hideyoshi trova il corpo esanime di Mitsuhide si dice che fosse irriconoscibile, e che la testa appesa al palo non sia stata quella del vero traditore, ma di un altro uomo. Mitsuhide sarebbe riuscito a scappare a ricominciare una nuova vita da Monaco, sotto il nome di Nankobo Tenkai.
Ma i misteri non finiscono qua, perché tutti si sono chiesti:
Quali furono le vere cause scatenanti di questo tradimento?
Perché Mitsuhide avrebbe dovuto tradire il suo signore? Chi c’era dietro tutte queste macchinazioni?
Se fosse stato Mitsuhide ad indire il complotto, una delle ragioni scatenanti potrebbe essere stata quella per cui quando egli conquistò il castello di Yakami per conto di Nobunaga, si era impegnato a negoziare la pace con il possidente del castello, un certo Hatano Hideharu. Nobunaga però, incurante dell’accordo preso, aveva fatto uccidere Hideharu, il quale clan indignato per l’affronto, aveva fatto uccidere a sua volta la madre di Mitsuhide che era stata presa in ostaggio ai fini dell’accordo di pace.
Un’altra ragione del tradimento potrebbe essere l’insofferenza di Mitsuhide nei confronti dei comportamenti irosi di Nobunaga, quando lo insultava smodatamente davanti a tutti, o quando aveva distrutto tutti i tempi buddisti e interi villaggi nell’assedio del monte Hihei, e dobbiamo tenere a mente che Mitsuhide era un fervente buddhista.
Altri semplicemente hanno ipotizzato che Mitsuhide volesse la morte di Nobunaga al solo fine di ottenere il potere smisurato che aveva in quel momento.
Insomma, di ragioni ce ne sarebbero tante, ma di prove concrete neanche l’ombra. A quell’epoca la cosa più importante non erano tanto i legami di sangue tra fratelli, o tra padri e figli, quanto la lealtà cieca e senza tempo che si giurava al proprio padrone. Pensare dunque che un rōnin che aveva perso la cosa più importante della propria vita, ovvero un padrone da servire, fosse stato accolto da un altro signore e fatto addirittura comandante del suo esercito, non può accostarsi alla figura del traditore. Forse è per questo che rimane ancora oggi un così grande punto interrogativo avvolto nel mistero, perché a volte non vogliamo vedere che la soluzione più semplice sia anche quella più dolorosa da accettare.