O Rei: la Vera storia di Pelé

Il calcio è lo sport più seguito al mondo, al centro di interessi miliardari. I giocatori più famosi, Cristiano Ronaldo e Lionel Messi solo per citarne due, seguono un allenamento che li rende delle macchine perfette sul rettangolo verde e una dieta rigidissima per rendere perfette le loro prestazioni.

Ma il calcio non è sempre stato pubblicità e allenamenti perfetti. Soprattutto nel secondo dopoguerra e in America Latina, terra soltanto scalfita dal conflitto mondiale, il calcio era lo sport più giocato per strada dai bambini e motivo di orgoglio nazionale, spesso deriso dagli europei. E’ in questo clima che cresce Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé.

Pelé durante l’amichevole Malmö FF-Brasile (1-7) del maggio 1960, partita in cui segnò due gol

Il futuro campione nasce a Três Corações, nello stato di Minas Gerais, nella parte sud orientale del Brasile, il 23 ottobre 1940, da João Ramos do Nascimento e Celeste Arantes, primo di due figli maschi. Il padre era un grande fan di Edison, tanto che volle dare al figlio proprio il nome dello scienziato togliendo la “i”; purtroppo l’ufficio anagrafe capì male la scelta del nome e in molti documenti risulta infatti il nome Edison, ma per la sua famiglia era semplicemente Dico.

Il nomignolo Pelé arriva ai tempi della scuola: Edson all’epoca era un grande fan del portiere Bilé del Vasco da Gama, ma a causa di un difetto di pronuncia Edson lo chiamava Pelé e con il tempo i compagni di scuola, per prenderlo in giro, cominciarono a chiamarlo proprio così.

Curiosamente il nome Pelè non ha alcun significato in portoghese, ma in ebraico significa miracolo, ma, com’è facile immaginare, né Edson né i suoi compagni di classe ne avevano la minima idea. Edson detestava il nome Pelè, tanto da spingerlo a dichiarare nei primi anni di successo:

“Il mio vero nome è Edson. Non ho inventato io Pelé. Non volevo quel nome. Pelé ha un suono infantile in portoghese. Edson è più simile a Thomas Edison, l’uomo che ha inventato la lampadina”.

La famiglia do Nascimento viveva a Bauru, una cittadina poverissima, dove per aiutare a sbarcare il lunario il piccolo Edson doveva lavorare nei negozi di tè. La passione per il calcio gliela passò il padre, ex calciatore, ma non avendo abbastanza soldi Edson non palleggiava davanti a un muro con un pallone: si esercita con un calzino riempito di carta, oppure con un pompelmo.

Cominciò a giocare prima in squadre composte da amici che abitavano nella stessa strada o favelas, per poi passare a squadre amatoriali, con cui riuscì a vincere anche qualche premio locale. Arriva addirittura a scontrarsi con la giovanile del San Paolo, battendola per 12-1. Il nome di Pelé comincia a girare nella regione, è nato un fenomeno? Pratica anche il calcio indoor, che all’epoca comincia a diffondersi in Brasile. Pelé è giovane ma è dannatamente forte, più veloce degli adulti, più tecnico dei campioni. E’ giovanissimo ma gioca con gli adulti, e quasi sempre fa la differenza. Noi oggi non ce lo immaginiamo e non potremmo immaginarlo come giocatore di calcetto, ma il calcio indoor è fondamentale per la formazione di Edson, lo aiuta a migliorare nei riflessi, nella velocità di pensiero e nelle reazioni di quando è in campo. Una palestra per futuri campioni del mondo.

Pelé guida in campo il Brasile allo stadio San Siro di Milano, in occasione dell’amichevole del 1963 contro l’Italia.

Ma per un campione del mondo prima o poi deve arrivare una svolta, e quella svolta ha nome Waldemar de Brito, ex calciatore famoso in tutto il Brasile. L’ex campione diventa allenatore del Bauru, squadra dove gioca Edson, che in quel momento ha quindici anni. Pelé riceve tante offerte da altre squadre per entrare nelle giovanili, ma lui declina perché non vuole allontanarsi dalla madre Celeste, che lo vuole vicino a casa, e possibilmente non vorrebbe neanche che diventi un calciatore. Brito lo gestisce come un padre, gli fa rifiutare le offerte sbagliate ma gli fa cogliere quella giusta. Pelé accetta di trasferirsi al Santos, la squadra di San Paolo, che ha uno stile di gioco perfetto per le doti del ragazzo.

Pelé (a sinistra) e Omar Sívori prima dell’amichevole tra Juventus e Santos, Torino, 26 giugno 1963

E’ Brito che organizza il trasferimento perché gli fa ottenere un provino. Gli basta dire: “Edson è destinato a diventare il più grande giocatore di calcio del mondo”. L’allenatore, Luìs Alonso Pérez, inizialmente è scettico. Il ragazzo ha quindici anni, andrà bene per le giovanili, o al massimo per portarlo in panchina di tanto in tanto.

Poi lo vede giocare

Pérez gli fa offrire un contratto per la prima squadra a partire dal 1956, in lui ha già visto qualcuno di speciale, ha già visto un Re del Pallone. Pelé non ha neanche sedici anni ma ha uno stipendio di seimila cruzeiros, una cifra importante all’epoca, dei quali non tiene nulla per sé ma invia tutto alla famiglia lontana.

E Pelé quei soldi se li paga subito. Esordisce alla prima di campionato, il 7 settembre del 1956, contro il Corinthians de Santo André, al quale rifila subito un gol. Noi a posteriori sappiamo chi è diventato Edson e cosa ha rappresentato per il calcio, ma è incredibile pensare che da subito si fantasticò sul futuro del campione. Il portiere del Corinthians, Zaluar, futuro impiegato di banca, sul suo biglietto da visita fa scrivere:

Portiere del primo gol di Pelé

Edson è un predestinato, lo sanno tutti.

Pelé al Santos nel 1963

Ma a quell’epoca ragionare di investire sui giovani era ancora poco nelle corde degli allenatori, e Pelé finisce spesso in panchina per far posto ai senatori. Inizia la partita dalla panchina, entra al momento giusto e si fa notare, a volte con dei gol a volte con giocate spettacolari, e le offerte di squadre avversarie arrivano a ripetizione, ma sono sempre rifiutate dai dirigenti del Santos, che si tengono il futuro campione in casa.

Pelé non attrae solo le attenzioni degli avversari: i giornalisti, incantati dal suo gioco, lo definiscono “la futura stella della Seleção”,  Seleção che lo chiama subito per iniziare a vestire la maglia verdeoro. L’allenatore Sylvio Pirillo lo convoca dopo appena dieci mesi di carriera professionistica, e anche al Santos si convincono che è meglio far giocare sempre il ragazzo. Pelé diventa titolare fisso e diventa capocannoniere del Campionato Paulista del 1957 con diciassette reti segnate.

Nel 1958 entra nella storia, essendo convocato nella nazionale che partecipa ai campionati mondiali in Svezia. Con i suoi 17 anni e 249 giorni è il giocatore più giovane di sempre a vincere una finale di un campionato mondiale, contribuendo con due gol alla sconfitta degli avversari e padroni di casa. Pelé successivamente racconterà di essere svenuto alla fine della partita e di aver ripreso conoscenza in braccio ai compagni che lo portavano in trionfo in giro per il campo.

La coppa del mondo servì a far brillare la stella di Pelé nel mondo. Da allora molti club stranieri cercarono di accaparrarselo, ma senza successo. Dall’Italia l’Inter era riuscita a trovare un accordo, ma quando la notizia trapelò il presidente del Santos venne aggredito fuori dal suo ufficio come punizione per aver fatto andare via Pelé. L’accordo andò così in fumo. Per calmare gli animi furibondi dei brasiliani, il governò dichiarò Pelé “Tesoro Nazionale” in modo che nessuno potesse più avanzare richieste sul giocatore.

Sulla tecnica e sulla bravura di Pelé ci sono centinaia di libri tecnici e biografie, e non è di certo questa la sede adatta per analizzare e ricostruire i gol perfetti di Pelé, alcuni dei quali reperibili in rete. Basti pensare che Pelé era ormai un fenomeno mondiale, tanto che il Santos doveva organizzare delle vere e proprie tournée in giro per il mondo giocando delle amichevoli, registrando il tutto esaurito negli stadi. Le sue performance ai Mondiali successivi non furono da meno, tranne quelli del 1962, durante i quali si infortunò nella seconda gara contro la Cecoslovacchia, e fu clamoroso quando nel 1966 l’arbitro inglese McCabe tollerò ampiamente i falli violenti che i portoghesi commettevano sull’attaccante brasiliano.

Quel Brasile di Pelé e tanti altri campioni vinse 3 campionati del mondo fra il 1958 e il 1970, nonostante non abbia mai giocato in casa

Nel 1974, dopo una gloriosa carriera con il Santos e tre titoli mondiali, Pelé si ritirò e scelse di non seguire una carriera come allenatore. Un anno dopo venne però ingaggiato dai New York Cosmos, con l’intenzione di rendere il calcio molto più popolare tra gli americani, che hanno sempre preferito altri sport come football o baseball. Il suo compenso fu da capogiro (oltre quattro milioni di dollari per tre anni), sicuramente il più alto dell’epoca e un precursore degli ingaggi milionari in euro, odierni.

Pelé (a sinistra) con Eusébio (a destra) prima di una partita della NASL nell’aprile del 1977

L’ingresso di Pelé nei Cosmos cambiò radicalmente ciò che il calcio offriva come spettacolo: in campo c’erano addirittura le cheerleader (cosa insolita per noi europei) e i giocatori cominciarono ad avere il proprio nome stampato sulla maglia, in modo da poter essere meglio riconoscibili e puntando soprattutto alla vendita delle magliette come gadget.

Nel 1977, ormai trentasettenne, Pelé decise di ritirarsi definitivamente dalla scena calcistico e giocò un’ultima memorabile partita amichevole tre le sue due squadre: il Santos e i New York Cosmos, indossando nel primo tempo la maglia dei brasiliani e nel secondo la maglia degli statunitensi.

Dopo l’addio alle scene fu un abile imprenditore di se stesso, pubblicò numerosi libri di calcio e autobiografie, partecipò al film Fuga per la vittoria con Sylvester Sfallone e Michael Caine, e collaborò addirittura alla composizione della colonna sonora di un film a lui dedicato, Pelé, del 1977.

Ma la sua carriera calcistica era talmente famosa da essere preso a modello per il primo videogioco sul calcio nel 1980, e non si tirò mai indietro alle collaborazioni successive. Negli anni Novanta decise di sfruttare la sua notorietà per scopi nobili, mettendosi a disposizione come ambasciatore della Nazioni Unite e dell’Unesco. Nel 1995 venne nominato ministro straordinario dello sport per il governo brasiliano, cercando di rendere noto quanto fosse dilagante la corruzione nel calcio brasiliano, per poi abbandonare il ruolo nel 1997. Non rinunciò mai a presenziare agli eventi sportivi a cui veniva invitato, come ad esempio la cerimonia di chiusura dei giochi olimpici di Londra nel 2012.

Nel 2014 venne ricoverato in ospedale per calcoli renali e diversi problemi collegati che nel tempo peggiorarono gravemente le sue condizioni di salute. Nel 2021 venne operato a San Paolo per un tumore al colon, ma l’operazione, anche se riuscita, non portò i risultati sperati.

Edson Arantes do Nascimento, conosciuto come Pelè, si è spento a San Paolo il 29 dicembre 2022.

Dire che Pelé fu un grande calciatore è forse riduttivo: Edson non giocava con la palla, ne percepiva i movimenti e le traiettorie, sapeva sfruttarla creando una complessa coreografia per dribblare gli avversari e raggiungere la porta, un movimento di piedi che potrebbe ricordare i passi del samba brasiliano. Oggi è difficile percepire cosa sia stato Pelé per il mondo dello sport degli anni ’50 e ’60, il suo nome rischia certamente di finire dimenticato di fronte a fenomeni mediatici come Messi o Cristiano Ronaldo. Fra le infinite citazioni che si possono fare scelgo quella di un italiano, Tarcisio Burgnich, che marcò Pelé nella finale del 1970:

“Dissi a me stesso prima della partita che era di pelle ed ossa come tutti gli altri, evidentemente mi sbagliavo”.

In quella partita Pelé fece un gol e 2 assist. Neanche un record per lui…


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