Norilsk: l’Inferno ghiacciato della città nata da un Gulag Siberiano

La Città Ideale – un’utopia legata principalmente all’epoca rinascimentale – dovrebbe essere un luogo dove precisi canoni estetici di arte e architettura si coniugano con concetti filosofici, per realizzare uno “spazio ideale” per la vita dell’uomo.

Una delle rappresentazioni pittoriche del concetto di Città ideale (fine XV sec.), dipinto di anonimo fiorentino, conservato al Walters Art Museum di Baltimora

Immagine di pubblico dominio

Per immaginare una Città Ideale a 320 chilometri a nord del Circolo Polare Artico, in una poco ospitale distesa di ghiacci e tundra, dove tutto rimane immerso nel buio della notte polare da fine novembre a gennaio, occorre una smisurata dose di ottimismo e grandi capacità visionarie. Qualità che difficilmente si può pensare di trovare fra i prigionieri di campi di lavoro organizzati ai confini del mondo, luoghi di totale disumanità e feroce repressione.

Eppure, la città di Norilsk ha una storia legata ai campi di lavoro forzato sovietici, istituiti dal GULag (acronimo di “Direzione principale dei campi di lavoro correttivi”) e ai suoi detenuti, che costruirono dal nulla la città.

Norilsk nel 1957

Immagine via Wikimedia Commons – licenza CC BY 4.0

Norilsk sorge nel nord della Siberia, oltre il circolo polare artico. E’ la città più settentrionale del mondo, talmente remota da essere considerata come “un’isola” dai suoi abitanti, che chiamano il resto mondo “terraferma”. E ne hanno tutte le ragioni, visto che si può raggiungere o lasciare solo in aereo o in nave, mentre le strade extraurbane collegano la città esclusivamente con altri insediamenti artici.

Il clima poi non è certamente dei migliori. Oltre ai venti che soffiano impietosi durante tutto l’anno, bisogna fare i conti con il freddo siberiano: la temperatura media è di -10°, mentre durante il lunghissimo inverno può scendere a -55°, con due mesi di oscurità totale.

Nonostante questo la città ha una popolazione di circa 170.000 abitanti, che lavorano prevalentemente nel settore metallurgico: Norilsk è costruita sui più grandi giacimenti al mondo di nichel e palladio. L’estrazione e la lavorazione di questi e altri metalli hanno portato a livelli altissimi le emissioni nocive, tanto che la città è una delle dieci più inquinate di tutto il globo. L’inquinamento è una parte cruciale della vita quotidiana di Noril’sk. In nessun posto al mondo esiste una concentrazione così elevata di anidride solforosa (SO2), nell’aria vengono disperse tonnellate di metalli pesanti come ad esempio, ma non sono gli unici, lo zinco, il piombo, l’arsenico, il selenio e il cadmio, in quantità che possono sembrare fantascientifiche: nel solo 2012 sono state disperse 2 milioni di tonnellate di agenti inquinanti.

Tale situazione ambientale ha forti ripercussioni sulla qualità di vita e sulla salute degli abitanti, che è fortemente minata dalla natura industriale della città. Allergie, asma, malformazioni del sistema cardiovascolare e dell’apparato digerente, oltre naturalmente a malformazioni dell’apparato respiratorio e malattie del sangue: a Noril’sk si sperimenta ogni tipo di morbo legato all’inquinamento atmosferico, e gli abitanti hanno una probabilità due volte superiore di sviluppare il cancro rispetto agli altri abitanti della Russia.

Il Palazzo della Cultura

Fotografia di Военврач condivisa con licenza Creative Commons 4.0 via Wikipedia

Norilsk ha una genesi davvero particolare: nasce come Gulag, chiamato Norillag, dove vengono spediti, nel 1935, i primi 1.200 prigionieri che, oltre a dare l’avvio all’estrazione mineraria, costruiscono interamente la città; tra i detenuti ci sono anche importanti architetti che hanno, nonostante tutto, la volontà di impegnarsi nel progetto di una Città Ideale, immaginata secondo lo stile classico socialista.

Piazza Ottobre

Immagine di Ричард Шелтон via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0

Il campo correttivo di Norillag viene istituito appunto nel 1935, con l’invio di 1.200 prigionieri. Nel corso degli anni passano da quel luogo infernale, che nel tempo si sviluppa con altri campi satellite, all’incirca 400.000 persone, con una concentrazione massima, nel 1951, di 72.500 detenuti. Qualcosa come 17.000 di quei disgraziati, quasi tutti oppositori politici del regime stalinista, non riusciranno a sopravvivere al freddo, alla fame e al lavoro massacrante (i dati su Norillag sono forniti dall’associazione Memorial, ma altre fonti parlano di cifre ben maggiori, come 100.000 morti). Finiscono tutti nelle fosse comuni, solo ossa senza nome né identità, vittime di quel sistema che poi è diventato noto come Arcipelago Gulag, campi di lavoro dove la morte era un danno collaterale, frutto appunto delle terribili condizioni di vita ma anche di torture ed esecuzioni sommarie per i dissidenti considerati più pericolosi.

Tenuta da lavoro del gulag di Norillag

Immagine di Ninara via Wikipedia – licenza CC BY 2.0

Fra tutto si stima che siano finiti nei campi di lavoro sovietici, complessivamente, 18 milioni di persone, tutti colpevoli di “non contribuire alla dittatura del proletariato”. Oltre ai delinquenti comuni venivano considerati pericolosi, e quindi meritevoli di essere internati, i dissidenti politici (o semplicemente in disaccordo con Stalin), i nobili e perfino le persone di ceto borghese.

Mappa dei Gulag (1923-1961) elaborata da «Memorial»

Immagine di pubblico dominio

Tutti potevano essere accusati, secondo il famigerato Articolo 58 del Codice Penale, di “attività controrivoluzionaria”, che poteva comprendere tutto e il contrario di tutto, e che viene massicciamente usato durante le cosiddette “grandi purghe” staliniane.

D’altronde, quale sistema migliore poteva essere ideato per reperire manodopera a costo zero che contribuisse alla crescita economica e industriale dell’Unione Sovietica?

Oltretutto alla reclusione nei campi di lavoro seguiva spesso il “libero insediamento”: i detenuti rimanevano in quelle aree remote e scarsamente popolate, all’interno dello stesso gulag, ma con il nuovo status di “liberamente insediati”, perché non avevano più un altro luogo dove andare o parenti da cui tornare. Si trattava di una colonizzazione apparentemente volontaria ma, di fatto, quasi obbligata, visto che gli ex-detenuti erano comunque soggetti a molte restrizioni e correvano spesso il rischio di essere nuovamente internati.

L’evoluzione del numero dei detenuti nel Gulag (1930-1953)

Immagine di pubblico dominio

A onor del vero i campi di lavoro non sono una novità introdotta in Russia dai rivoluzionari: già gli zar avevano organizzato un sistema simile fin dal 1600, il Katorga, caratterizzato da confinamento e lavoro forzato, principalmente in Siberia. Anche durante l’impero quella pena veniva inflitta prevalentemente ai prigionieri politici, tra i quali si possono ricordare Fëdor Dostoevskij e lo stesso Joseph Stalin.

Prigionieri nel campo di Amur Cart Road, tra il 1908 ed il 1913

Immagine di pubblico dominio

I gulag si spopolano poi parzialmente durante la seconda guerra mondiale perché i detenuti vengono spediti al fronte, mentre il loro posto viene preso dai prigionieri polacchi (e di questi ne sopravvivono pochissimi). Dopo la fine della guerra i campi di lavoro tornano a riempirsi di criminali comuni, presunti disertori o traditori della patria, prigionieri di guerra e familiari di personaggi invisi al regime. Tutto questo fino alla morte di Stalin, nel 1953, quando inizia gradualmente lo smantellamento del sistema gulag, ufficialmente abolito nel 1960, anche se i campi di lavoro rimangono operativi fino al 1987.

Proprio dopo la morte di Stalin, a Norillag (chiuso nel 1956) scoppia una rivolta non violenta, durante la quale i prigionieri si rifiutano di lavorare e mettono in atto uno sciopero della fame collettivo, per protestare contro l’intero sistema gulag. Finisce male per i detenuti, che vengono riportati all’ordine con l’uso spietato della violenza.

Il complesso memoriale dedicato alle vittime del Norillag

Immagine di Ninaras via Wikipedia – licenza CC BY 4.0

Da allora molte cose sono cambiate a Norilsk, anche se il senso di isolamento dovuto alla posizione geografica continua a essere un problema. E non è certo il maggiore.

Ogni anno le industrie di Norilsk emettono quasi 2 milioni di tonnellate di gas nell’atmosfera, tra i quali c’è il biossido di zolfo, uno dei principali responsabili delle piogge acide, che hanno devastato 100.000 ettari di tundra attorno alla città, mentre i residenti hanno un’aspettativa di vita inferiore di 10 anni rispetto agli altri abitanti della Russia.

Elena Chernyshova è una fotografa e documentarista russa, che col suo lavoro “Days of Night – Nights of Day” si è proposta di indagare l’adattamento umano alle condizioni climatiche estreme, al disastro ambientale e all’isolamento. “Le condizioni di vita del popolo di Norilsk sono uniche, il che li rende un soggetto ineguagliabile per tale studio” afferma l’autrice.

La “Prima Casa”: il primo edificio costruito a Norilsk, nel 1921. Oggi è un piccolo museo

Fotografia di Андрей Михайлович Слепцов condivisa con licenza Creative Commons 4.0 via Wikipedia:

Lo scioglimento degli strati superiori del permafrost (suolo perennemente gelato) sta causando molti problemi di stabilità agli edifici della città. Oltre al riscaldamento globale del pianeta sono ravvisabili anche altre cause, fra le quali la scarsa manutenzione del sistema fognario e costanti perdite di acqua calda.

La città dunque non è certo “ideale” come la sognavano i suoi architetti. Molti dei giovani che abitano a Norilsk vorrebbero andare a vivere sulla “terraferma”, perché lamentano le dure condizioni di vita e il forte senso di isolamento.

Automobile sepolta dalla neve. Fotografia di Андрей Романенко condivisa co licenza Creative Commons 3.0 via Wikipedia:

Dopo i nove mesi invernali trascorsi all’interno di spazi chiusi, gli abitanti di Norilsk amano fare lunghe passeggiate a piedi nella tundra, liberi di esplorarne le aree ancora vergini. Per far questo, per avere un qualche tipo di contatto con la natura, i residenti devono allontanarsi di una trentina di chilometri, perché un’altra particolarità della città è che non dispone di nessuna zona verde.

La città è stata progettata in modo da creare uno spazio urbano che potesse proteggere gli abitanti dai forti venti (è la quarta città più ventosa del mondo): gli edifici sono costruiti in modo da formare cortili chiusi e quindi riparati, con passaggi molto stretti fra una costruzione e l’altra. Oltre al vento, bisogna saper resistere al freddo intenso: Norilsk è coperta di neve per otto/nove mesi l’anno, e le tempeste di ghiaccio e neve sferzano la città e i suoi abitanti per circa 130 giorni l’anno.

Ma da metà maggio a fine luglio, la luce è come un dono inaspettato. Durante l’estate artica il giorno perenne provoca un effetto quasi straniante: quando tutti dormono, Norilsk illuminata dal sole appare come una città fantasma, apparentemente svuotata dei suoi abitanti. Loro hanno abitudini che, ad altre latitudini, possono considerarsi “agghiaccianti”, come fare il bagno nelle gelide acque del lago Dolgoye, quando la temperatura esterna raggiunge i -40°

Il nuovo ospedale della città, situato ad Oganer, ad 8 km dal centro di Norilsk

Fotografia di Piton21 condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia

Tutto sommato però, il clima potrebbe essere considerato il minore dei problemi. Dal 2016 al 2020 si sono susseguiti diversi incidenti che hanno aggravato sensibilmente la già compromessa situazione ambientale della città. Nonostante ciò, Norilsk non si spopola quanto sarebbe lecito aspettarsi, un po’ perché molti non saprebbero dove altro andare, ma anche perché lì, nella città ai confini del mondo, gli operai hanno salari mediamente più alti rispetto al resto della Russia.

Un po’ di soldi in più in cambio di 10 anni di vita… un prezzo che a noi potrebbe sembrare alto da pagare, ma che per i Russi Siberiani evidentemente vale ampiamente il conto da pagare.


Pubblicato

in

da