Ci sono, in tutte le epoche, delle figure che si conquistano un piccolo posto nella Storia eppure finiscono per essere pressoché dimenticate, perché non si prestano a comode strumentalizzazioni postume. Figure di persone che, al momento di compiere scelte importanti, non si sono lasciate condizionare da nessuna ideologia a compartimenti stagni e hanno deciso con la propria testa, rispondendo solo alla propria coscienza. E che poi si sono assunte fino in fondo la responsabilità di queste scelte.
Le guerre e le altre circostanze in cui esplode una violenza inaudita, sono tra i più difficili banchi di prova, per chi deve scegliere. Essere o non essere? si domanda Amleto. Molti lasciano scegliere chi comanda. In pochi, scelgono di “essere” con la propria testa. Altri, la maggior parte, si accontentano di sopravvivere in qualunque modo.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Noor-un-Nisa Inayat Khan, oggi nota come “la principessa spia”, raffinata intellettuale di origine indiana e formazione cosmopolita, di famiglia aristocratica imparentata con dinastie reali, avrebbe potuto trascorrere il periodo della Seconda Guerra Mondiale al sicuro, o tutt’al più svolgendo compiti di supporto. Invece, pur essendo tutto tranne che un’avventuriera, scelse di rischiare la vita esponendosi in prima persona, fino alle estreme conseguenze.
La sua storia parte da molto lontano. Il padre, Hazrat Inayat Khan (1882-1927), è un importante artista, un musicista che oggi i critici considerano “il Beethoven indiano”, ma anche un filosofo musulmano Sufi, fondatore del Sufi internazionale, che propugna un pensiero religioso pacifista ed ecumenico, distantissimo dalle varie correnti sunnite e sciite. Dall’India, viaggia per il mondo facendo proseliti e nel 1912, negli Stati Uniti, conosce la giovane ereditiera Ora Ray Baker (1892-1949) che si interessa molto di culture orientali. Tra i due scocca un colpo di fulmine e Ora lascia la famiglia, contraria all’unione, per sposarlo. Ovviamente, si converte anche al Sufismo, cambiando il proprio nome in Pirani Ameena Begum: in seguito, sarà poetessa e autrice di testi religiosi.
Il padre di Noor, Hazrat Inayat Khan:
La coppia continua a viaggiare e, mentre è a Mosca, il 2 gennaio 1914, nasce Noor-un-Nisa (poi chiamata semplicemente Noor), la loro primogenita. Allo scoppio della Grande Guerra, i Khan si trasferiscono nel Regno Unito, dove nascono altri tre figli: i maschi Vilayat (1916-2004) e Hidayat (1917-2016), che saranno musicisti e mistici come il padre, e poi un’altra femmina Kahir-un-Nisa (1919-2011).
Dopo la morte improvvisa del padre, durante un viaggio in India, Noor va a studiare in Francia, dove si diploma in pianoforte, arpa e composizione al Conservatorio di Parigi, e si laurea in Psicologia infantile alla Sorbona. E’ una donna al tempo stesso indipendente e tradizionalista, che non si sposerebbe mai senza il consenso della madre, ma vive in totale autonomia curando programmi radiofonici, scrivendo libri di fiabe e componendo canzoni.
Quando, nel giugno del 1940, la Francia viene invasa dai tedeschi, Noor torna nel Regno Unito e, subito dopo, insieme al fratello Vilayat, si arruola nelle forze armate inglesi. La sua decisione non è affatto scontata. La tradizione del Sufi è quella di un pacifismo senza se e senza ma; Himmler e altri gerarchi sono molto appassionati di religioni orientali; musulmani e nazisti sono uniti nella comune avversione per gli ebrei; gli indiani sono ostili agli inglesi che occupano la loro nazione e si rifiutano di concederle l’indipendenza. Noor avrebbe tutte le ragioni di tenersi fuori dal conflitto (o addirittura di simpatizzare per i nazisti). Ma, nelle ultime settimane trascorse sul suolo francese, ne ha viste troppe. Ebrei, francesi, indiani, inglesi, tedeschi? Cosa significano queste categorie? Stiamo parlando di esseri umani, alcuni che uccidono, altri che vengono uccisi, e questi ultimi sono persone pacifiche e innocenti, donne, bambini. Le categorie sono solo un alibi per uccidere o per giustificare la propria inerzia davanti alla violenza. Per la coscienza di Noor non esistono amici o nemici in base alla razza o al colore, ma solo vittime e carnefici, e le basta sapere questo per decidere da quale parte stare.
Agli indiani d’Inghilterra, che la rimproverano dicendo che l’eventuale vittoria inglese ritarderà l’indipendenza dell’India, risponde seccamente che ora il problema da risolvere è quello della barbarie nazista, per tutto il resto ci sarà tempo dopo.
Appena arruolata è una semplice ausiliaria della RAF. Ma, dopo qualche tempo, i suoi superiori si accorgono che parla il Francese a livello di madrelingua e le propongono di tornare in Francia, come agente segreto. Dopo un sommario addestramento, nel giugno del 1943, viene trasferita in Francia con un viaggio aereo notturno.
Noor non lo sa, ma quello in cui è stata inserita è un gioco parecchio sporco, in cui non ci sono regole e si può fare affidamento solo su se stessi, perché si può essere traditi da tutti, in ogni momento. Il gruppo di cui fa parte opera a Parigi, ed è guidato dal maggiore inglese Francis Suttil (in codice Prosper o Medico), che coordina, oltre a lei (che in codice è chiamata Madeleine o Infermiera), altre due giovani donne, Diana Rowden (in codice Paulette o Cappellano) e Cecily Lefort (in codice Alice o Maestro), con l’assistenza di un agente francese Henri Dérincourt. Dopo la guerra, nel 1948, quest’ultimo sarà processato per doppio gioco e accusato di aver venduto ai tedeschi diversi agenti britannici, ma finirà assolto grazie alla testimonianza del suo diretto superiore in Inghilterra, Nicholas Bodington, che dimostrerà come gli agenti da “bruciare” fossero in realtà decisi dal comando inglese stesso, per sviare i sospetti dei tedeschi e far credere loro di aver messo le mani su pezzi grossi quando invece si trattava di figure di secondo piano. In tal modo, gli agenti che prepararono le condizioni per lo sbarco in Normandia poterono operare senza correre quasi nessun rischio.
La carta d’identità di Noor per la R.A.F.:
Dérincourt, uscito dal processo, riprenderà la sua attività di pilota civile e morirà in un incidente aereo nel Laos, nel 1962.
Il gruppo del maggiore Suttil non opera andando in cerca di informazioni segrete, ma rappresenta il terminale che le raccoglie da fonti sparse per tutta la Francia e le trasmette da Parigi a Londra via radio. Attività solo apparentemente meno rischiosa, perché i tedeschi hanno disseminato la città di furgoni dotati di attrezzature in grado di localizzare le trasmittenti. Infatti il tempo massimo per una trasmissione ammonta a soli 20 minuti, dopodiché è necessario spostarsi. Noor, abilissima radiotelegrafista, spedisce un numero impressionante di messaggi, molti dei quali saranno giudicati importantissimi. Ma allontanarsi in fretta, portandosi dietro la trasmittente, senza farsi riconoscere da nessuno, è difficilissimo: e infatti dopo poche settimane, la Gestapo ha già a disposizione gli identikit di tutto il gruppo.
Noor è la spia più ricercata di tutta la Francia
Manifesti che la raffigurano sono affissi dappertutto e il suo mezzo preferito per gli spostamenti, la metropolitana, è perennemente presidiato da soldati e agenti in borghese. Noor sfugge a tutti i tentativi di catturarla ma, alla fine, nell’ottobre del 1943, viene tradita da una soffiata. Forse è Dérincourt a “sacrificarla”, o forse è un’altra agente, poi riconosciuta come doppiogiochista, Renée Garry.
L’ingombrante kit di trasmissione:
Immagine via Wikipedia
Da civile, Noor è la persona più dolce e gentile del mondo ma, ai nazisti che la arrestano, oppone una resistenza tale da spaventarli. La portano nella sede del loro controspionaggio in Avenue Foch e qui la interrogano, la torturano e la tengono sotto stretta sorveglianza. Nonostante questo, tenta due volte la fuga, prima salendo sul tetto e cercando di saltare su un palazzo vicino e poi approfittando del caos seguito a un’incursione aerea. La riprendono tutte e due le volte e alla fine la immobilizzano con delle catene.
Inoltre, ora che hanno messo le mani sui suoi codici e sulla sua radio, i tedeschi ne approfittano per inondare i suoi referenti inglesi di messaggi fasulli, che smentiscono quelli precedentemente inviati. Gli inglesi intuiscono che qualcosa non va e spediscono a Parigi altri tre agenti con il compito di scoprire cosa le sia successo: il capitano France Antelme e due ragazze, Madeleine Demarment e Sonya Olshanezky. I primi due sono arrestati quasi subito, ma la giovanissima Sonya (che non ha ancora 20 anni e si è arruolata nella Resistenza per seguire il fidanzato) riesce a scoprire la verità e a comunicarla, ma non viene creduta perché non si riesce a identificare la provenienza del suo messaggio, dato che i nazisti la catturano subito dopo che lo ha spedito.
Sotto, France Antelme (1900-44), Madeleine Demarment (1917-44) e Sonya Olshanezky (1923-44):
Nel novembre del 1943, i tedeschi decidono di trasferire le spie catturate in Germania e Noor finisce reclusa in isolamento nel carcere di Pforzheim, a Karlsruhe. Dalla detenzione in Avenue Foch, non le hanno più tolto le catene e non gliele tolgono neppure adesso, anche se tentare la fuga è ormai impossibile. Anzi, le fissano al muro impedendole quasi ogni movimento, al punto che deve essere nutrita e ripulita da un’altra detenuta che va a trovarla un paio di volte al giorno sotto la sorveglianza delle guardie. Ogni tanto vanno a prenderla e la portano in una sala interrogatori in cui viene torturata e probabilmente anche stuprata, ma non riescono a farle rivelare nulla, neanche quando le sofferenze inflitte sono tali che, la notte, le altre detenute la sentono gemere e piangere dal dolore. Nonostante non possa quasi muoversi, poiché conosce l’alfabeto con cui i carcerati comunicano battendo colpi sui muri, riesce a scambiare qualche messaggio con le sue vicine di cella. Questo permetterà poi di identificarla dopo la fine della guerra, perché i tedeschi, nel 1945, all’approssimarsi della disfatta, cercheranno di distruggere tutte le tracce delle loro nefandezze, compresi i registri delle carceri.
L’11 settembre 1944 viene prelevata dalla cella e messa in una camionetta in cui sono caricate anche Madeleine Demarment e altre due ragazze attive nello spionaggio, Yolande Beekman e Eliane Plewman. Le quattro donne sono trasportate al lager di Dachau, dove un commando di SS guidato dall’ufficiale Wilhelm Ruppert (che finirà impiccato per i suoi crimini il 29 maggio 1946) le sottopone a ogni sorta di sevizie per quasi due giorni. La mattina del 13 settembre, sono uccise a colpi di pistola, dopodiché i loro corpi vengono bruciati.
Wilhelm Ruppert
Nessuna delle spie del gruppo di Noor vedrà la fine della guerra: Diana Rowden e Sonya Olshanezky sono già state trucidate nel campo di concentramento di Natzweiler nel luglio dello stesso 1944. France Antelme è stato ucciso poco dopo nel campo di Gross-Rosen. Cecily Lefort finisce nella camera a gas di Ravensbruck nel febbraio del 1945. Francis Suttil è ucciso a Sachsenhausen il mese dopo.
Noor sarà insignita, alla memoria, della George Cross (la più alta decorazione inglese dopo la Victoria Cross) e della Croix de Guerre avec étoile de vermeil (una importante decorazione francese). E’ il primo caduto britannico di religione musulmana cui sia stato concesso ufficialmente il titolo di “eroe di guerra”. Nel 2012 è stato scoperto un busto di bronzo in sua memoria in Gordon Square Gardens, a Londra, e nel 2014 le poste inglesi le hanno dedicato un francobollo per il suo centenario.
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