Anna Frank e il suo Diario – commovente racconto della vita di una bambina come tante altre, costretta alla clandestinità dal delirio nazista – devono rimanere come punto fermo nella memoria di tutti per non dimenticare l’orrore dell’olocausto.
Rutka Laskier, Renia Spiegel, Eva Heyman, sono i nomi di ragazze meno conosciute, eppure anche a loro, come ad Anna Frank, fu sottratta l’infanzia e l’adolescenza, e ne scrissero in diari personali che sono ugualmente una testimonianza della vita quotidiana di chi continuava, nonostante tutto, a credere in un futuro.
Rutka Laskier
Rutka Laskier inizia a scrivere il suo diario a 14 anni. E’ stata rinchiusa, insieme alla famiglia, nel ghetto della città polacca di Będzin fin dall’inizio della guerra, ma solo nel gennaio del 1943 inizia a tenere un diario. Scrive delle sue giornate, delle amicizie, delle prime cotte da adolescente, e dell’orrore dell’occupazione nazista. E’ breve il suo racconto, perché dopo tre mesi viene deportata ad Auschwitz, dove muore. Il suo diario è stato conservato per oltre sessant’anni da un amico sopravvissuto, che lo ha reso pubblico nel 2005. Bastano poche parole per capire l’angoscia che opprimeva questa bambina:
Se solo potessi dire, è finita, muori una volta sola… Ma non posso, perché nonostante tutte queste atrocità, voglio vivere, e aspettare il giorno dopo
Renia Spiegel
Sette quaderni di scuola cuciti insieme: il diario di Renia. In quasi 700 pagine la ragazza racconta gli ultimi quattro anni della sua vita, tra i 15 e i 18 anni. Parla quindi di argomenti “normali” per un adolescente: la scuola, le amicizie, il primo bacio con il fidanzato, ma anche di cose troppo difficili da sopportare, come vivere da ebrea nella Polonia occupata dai nazisti e del trasferimento nel ghetto di Przemyśl, nel 1942.
Ricorda questo giorno; ricordalo bene, un giorno racconterai alle generazioni che verranno. Oggi alle 8 siamo stati chiusi nel ghetto. Vivo qui adesso; il mondo è separato da me e io sono separata dal mondo
Renia e sua sorella Ariana vivono con i nonni per alcune settimane nel ghetto, finché il suo fidanzato, Zygmunt Schwarzer, che può uscire grazie a un permesso di lavoro, nasconde la ragazza e i propri genitori nella soffitta della casa di un suo zio. Il nascondiglio viene scoperto grazie a un informatore dei nazisti, e Renia, insieme ai genitori di Zygmunt, sono fucilati per strada. Il ragazzo scrive le parole conclusive del diario:
“Tre colpi! Tre vite perse! E’ successo ieri sera alle 22.30. Il destino ha deciso di portarmi via i miei cari. La mia vita è finita. Tutto ciò che sento sono colpi, colpi… Mia cara Renusia, l’ultimo capitolo del tuo diario è completo.”
Zygmunt, nonostante tutto, sopravvive ad Auschwitz e Bergen-Belsen, e dopo molti anni, quando ormai si è stabilito negli Stati Uniti, consegna il diario alla madre di Renia, scampata allo sterminio insieme alla figlia più piccola. Il diario è stato stampato in polacco nel 2016, e uscito in inglese lo scorso 19 settembre.
Eva Heyman
Era spaventata Eva, molto spaventata e consapevole del terribile destino cui andava incontro:
“Mio piccolo Diario, io non voglio morire, voglio vivere anche se di tutto il distretto rimanessi soltanto io. Aspetterei la fine della guerra in una cantina o in una soffitta, o in un buco qualsiasi; mio piccolo Diario io mi lascerei baciare dal gendarme dagli occhi storti che ci ha portato via la farina, basta che non mi uccidano, che mi lascino vivere!”
Sono le ultime parole del Diario di una bambina di soli tredici anni, scritte il 30 maggio del 1944. A una settimana di distanza i nazisti prelevano lei e i suoi nonni per deportarli ad Auschwitz, dove moriranno. Eva inizia a scrivere il suo diario nel giorno del suo tredicesimo compleanno, il 13 febbraio del 1944, forse l’ultimo piacevole evento di una vita ancora “normale”, all’interno di una famiglia agiata, anche se divisa: a Nagyvárad (oggi è Oradea, in Romania, ma allora era in territorio ungherese) vive con i nonni perché i genitori si sono separati.
Nel giro di poche settimane tutto cambia: i rastrellamenti, il ghetto, e la deportazione della sua migliore amica, Marta, che la mette di fronte a quello che sarà il suo probabile destino, al quale però non vuole rassegnarsi: “Io voglio vivere a tutti i costi”.
La madre, Ágnes Zsolt, definita da Eva “più bella di Greta Garbo” vive a Parigi con il secondo marito, ma torna a Budapest quando i nazisti invadono la Polonia, perché in ansia per la sorte della figlia. Viene internata nel campo di Bergen-Belsen, e riesce a salvarsi. Alla fine della guerra qualcuno le racconta che la figlia è stata mandata alla camera a gas da Josef Mengele – il dottor Morte – in persona:
Ora guardati rana, i tuoi piedi sono sporchi, puzzolenti di pus! Sali sul camion!
Le struggenti memorie della bambina vengono consegnate alla madre da una donna che era a servizio nella casa di Eva. Ágnes fa pubblicare il diario nel 1947, e continua a vivere con chissà quanto dolore dentro, fino al 1951, quando di suicida.
Ma ci sono altre terribili testimonianze, come quella di Tanya Savicheva, incredibilmente breve quanto potente.
E si possono citare Hélène Berr, ebrea francese morta a Bergen-Belsen pochi giorni prima della liberazione, che per due anni tiene un diario dove racconta la vita a Parigi durante l’occupazione nazista; e ancora Ruth Maier, Philip Slier, Rywka Lipszyc, Miriam Wattemberg (unica sopravvissuta), Peter Ginz: tutti ragazzi e ragazze che hanno lasciato una struggente testimonianza di come sia comunque possibile vivere anche quando tutto il mondo intorno precipita nella follia. Non sono sopravvissuti, ma hanno lasciato qualcosa d’importante:
La memoria, unica arma per non ricadere nuovamente nell’orrore…