Primo Agosto 1966, Austin, Texas. Un ragazzotto con un baule era intento a trafficare con i tasti dell’ascensore tentando inutilmente di farlo funzionare, solo l’intervento di una receptionist gli permette di farlo partire. “Grazie, signora”, disse raggiante Charles mettendo a bordo il suo carico, “Non sa quanto questo mi renda felice”. Il giovane raggiunse quindi l’ultimo piano della torre dell’università trascinando il pesante baule per le tre rampe di scale che portavano al terrazzo panoramico.
Cosa conteneva il fardello di Charles?
Fra le altre cose panini dolci, pesche in scatola, del deodorante, della carta igienica e una sveglia. Niente di speciale. Ah sì, anche due pistole e quattro fucili. Il primo di una infinita serie di colpi fu sparato alle 11.48 di quella tragica mattina: sarà una strage. Per 48 minuti la furia omicida del venticinquenne Charles Whitman colpì indistintamente professori, studenti, passanti e soccorritori che giungevano sul posto. Considerando anche l’attentatore si sarebbero contati 14 morti e 33 feriti.
Sotto, il video nel canale YouTube di Vanilla Magazine:
Quella sanguinosa carneficina assunse tinte ancora più fosche dopo che la polizia si recò nell’abitazione del colpevole. La scoperta delle forze dell’ordine giunte sul luogo fu agghiacciante. Due donne giacevano esanimi, la più anziana morta per soffocamento, la più giovane accoltellata: si trattava rispettivamente della madre e della moglie di Whitman.
Charles Whitman, fotografia dell’Università del Texas:
Raccontata così la storia non è difficile da giudicare. Chiunque di noi non avrebbe che parole di condanna per l’attentatore, reo di una strage che resterà come una delle più drammatiche raccontate nelle cronache di tutto il mondo. Ma quale pena sarebbe stato giusto comminare al colpevole se fosse sopravvissuto alla sparatoria? Benché ci si possa sentire certi della risposta, rimandiamo il tuo giudizio perché questa storia ha molto più da dire rispetto a quanto sembri.
Whitman aveva infatti un messaggio nella propria abitazione:
“Non capisco proprio cosa mi spinga a battere a macchina questa lettera. Forse devo lasciarvi un vago motivo per spiegare ciò che ho appena fatto. Ultimamente proprio non mi capisco. Ho sempre supposto di essere un giovane ragionevole e intelligente, diciamo nella media. Tuttavia, ultimamente (non riesco a ricordare quando sia cominciato) sono stato vittima di diversi pensieri irrazionali.
L’arsenale di Whitman. Fotografia condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Questi pensieri ricorrono costantemente, e per concentrarmi nelle mansioni di tutti i giorni ho bisogno di un tremendo sforzo mentale. In marzo, quando i miei genitori hanno divorziato, ho sofferto molto di stress. Ho consultato il dottor Cochrum del centro di salute dell’università, e gli ho chiesto di suggerirmi qualcuno a cui rivolgermi per ottenere una consulenza sui disordini psichiatrici che pensavo di avere. Ho discusso con il dottore per circa due ore e ho provato a spiegargli i miei timori su quegli impulsi violenti. Dopo quell’incontro il medico non mi ha più ricevuto, da allora combatto da solo la mia agitazione mentale, ma inutilmente. Dopo la mia morte desidero che sia effettuata un’autopsia per verificare se è realmente presente un disordine fisico visibile.
Ho avuto alcune emicranie tremende nel passato e ho consumato due grandi bottiglie di Excedrin negli ultimi tre mesi. Dopo molte riflessioni ho deciso di uccidere mia moglie, Kathy. […] Non riesco a trovare alcun motivo razionale per spiegare il perché di tutto questo. Non so se sia egoismo, o se lo faccio perché non voglio che mia moglie affronti l’imbarazzo che le mie azioni le causerebbero. […] Intendo ucciderla nel modo meno doloroso possibile. Motivi simili mi hanno spinto a uccidere mia madre. Non penso che quella povera donna abbia mai goduto pienamente della propria vita. Era una donna giovane e semplice che ha sposato un uomo molto possessivo.
La torre dell’Università del Texas da cui Whitman sparò sulla folla. Fotografia di Larry D. Moore convidisa con licenza Creative Commons 3.0 via Wikipedia:
Sono stato testimone per almeno un mese delle botte che ha preso. Inoltre mio padre l’ha sempre fatta vivere sotto il suo livello abituale. Immagino che sembrerà che io abbia ucciso entrambi i miei più grandi amori. Ho solo provato a fare un lavoro completo e rapido. Se la mia assicurazione sulla vita è valida, verificate che tutti gli assegni a vuoto che ho compilato questa settimana siano compensati. Pagate i miei debiti. […] Quello che avanzerà donatelo, in via anonima, a una fondazione per la salute mentale. Forse la ricerca potrà impedire ulteriori tragedie di questo tipo”.
Charles non capiva cosa gli stesse succedendo, nessuno in realtà comprendeva la ragione che avesse scatenato tanta violenza in quell’uomo, quel ragazzo per meglio dire, lo stesso che faceva volontariato nelle vesti di capo scout nel gruppo della sua città. Solo l’anatomopatologo avrebbe svelato il mistero: un glioblastoma aveva invaso l’ipotalamo di Charles finendo per comprimergli l’amigdala, ovvero la zona del cervello deputata alla regolazione delle emozioni, in particolare dell’aggressività.
Il tumore aveva scatenato la follia omicida di Whitman, follia di cui, in un certo senso, Charles fu la prima vittima
Il caso di Charles Whitman pone questioni di carattere etico a cui può risultare difficile dare una risposta. David Eagleman, neuroscienziato e abile divulgatore, nel libro “In incognito – La vita segreta della mente” solleva il problema portando numerosi esempi, oltre a quello appena citato, nei quali stimoli di carattere fisiologico possono influenzare il libero arbitrio. “Molti di noi” scrive Eagleman “sono convinti che tutti gli adulti possiedano la stessa capacità di compiere scelte. È una bella idea, ma sbagliata”. Fino a che punto possano cambiare i comportamenti di un individuo sotto l’effetto di alcool o sostanze stupefacenti è noto, tuttavia non sempre la situazione si presenta così chiara.
Nel 2001, per esempio, venne riscontrata una strana coincidenza. Si era infatti notato l’insorgere di ludopatia in numerosi pazienti affetti dal morbo di Parkinson. Il colpevole si scoprì essere il pramipexolo, farmaco utilizzato durante le terapie. Questo infatti, se somministrato in quantità eccessive, porta uno squilibrio nei sistemi di gratificazione del cervello interferendo con l’attività della dopamina. I fastidiosi effetti collaterali fortunatamente svaniscono attraverso una semplice riduzione del dosaggio.
Altro caso emblematico riportato dall’autore è quello di un quarantenne che, in apparenza dal nulla, aveva sviluppato un fortissimo interesse per la pornografia infantile. L’uomo, colto dalla moglie nell’atto di corteggiare la figliastra in età prepuberale e scoperta la sua collezione di immagini pedopornografiche, sarebbe quindi finito prima in un centro di riabilitazione e poi in carcere, a seguito dei comportamenti disinibiti tenuti all’interno dell’istituto. In seguito la ragione di tali comportamenti sarebbe apparsa chiara. Dopo aver lamentato lancinanti mal di testa l’uomo fu infatti sottoposto a una TAC, la quale scoprì la presenza di un grosso tumore nella corteccia orbitofrontale.
Eliminata la massa tramite intervento chirurgico le pulsioni devianti scomparvero come per magia
Questa storia mostra, forse in modo un po’ inquietante, quanto pesantemente le nostre scelte possano venire condizionate da mutamenti di carattere fisiologico.
La sintomatologia relativa all’ultimo caso che abbiamo preso in esame, come anche quella riferibile a Charles Whitman, fu fortemente influenzata dal fatto che una massa tumorale comprimeva una zona del cervello del paziente. Ma che cosa accadrebbe se una porzione dell’encefalo non venisse solamente schiacciata ma del tutto rimossa? Per rispondere a questa domanda non possiamo che partire dal caso di Phineas Gage, giovane caposquadra in un’impresa di costruzioni destinato, suo malgrado, ad entrare nei libri di medicina a causa della singolarità dei fatti che lo videro come protagonista il 21 settembre 1848.
Riportiamo di seguito parte dell’articolo a lui dedicato dal Boston Post: “Ieri Phineas Gage, caposquadra degli operai che lavorano alla ferrovia di Cavendish, stava predisponendo un’esplosione quando si è verificato uno scoppio e la sbarra di ferro che stava usando in quel momento del diametro di tre centimetri e lunga oltre un metro gli ha trapassato la testa: ha sfondato la guancia, frantumato uno zigomo e, passando dietro l’occhio sinistro, è uscita dalla sommità del capo”.
Il signor Gage non fu la prima persona ad essere vittima di un incidente di quel genere, tuttavia fu la prima a sopravvivere, per giunta senza perdere nemmeno conoscenza. Inoltre, come annotò il Boston Post, il giorno seguente al fatto Gage non solo era vivo e in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, ma non provava nemmeno dolore. Tutte queste buone notizie sulla salute di Gage indussero qualcuno a pensare che il terribile incidente di cui lo stesso era stato vittima non avesse miracolosamente lasciato strascichi, ma si trattava di una pia illusione.
John Martyn Harlow, medico di Gage, nel 1868 mise per iscritto il seguente resoconto: «L’equilibrio, per così dire, tra le facoltà intellettive e le propensioni animali sembra sia stato distrutto. Egli è volubile, insolente, capace a volte delle più gravi imprecazioni (cui in precedenza non indulgeva), poco rispettoso dei compagni, insofferente delle restrizioni o dei consigli quando questi contrastino con i suoi desideri, a volte caparbio e ostinato e nel contempo capriccioso e titubante, incline a fare molti piani per attività future che, una volta organizzati, vengono subito abbandonati a favore di altri all’apparenza più realizzabili. Le facoltà e le manifestazioni intellettive sono quelle di un bambino, tuttavia ha le passioni animali di un uomo robusto. Prima dell’incidente, benché non fosse andato a scuola, aveva una mente equilibrata ed era considerato da chi lo conosceva un uomo intelligente e accorto, che sapeva fare i suoi interessi e portava a termine ogni progetto con abilità ed energia. Sotto questo profilo la sua mente ha subito un cambiamento radicale, talmente rilevante che amici e conoscenti dicono “Gage non è più lui”.». Per quanto in apparenza Gage sembrasse in buona salute, si dovette ammettere che una parte di lui fosse morta in quel giorno del 1848.
Disegno dell’epoca:
In quale misura i nostri comportamenti sono influenzati da nostre scelte consapevoli? Quanto spazio nella nostra mente c’è ancora per il libero arbitrio?
Dalle storie che abbiamo raccontato sembrerebbe molto poco. Un celebre esperimento effettuato nel 1977 dal neuroscienziato statunitense Benjamin Libet sembrerebbe confermare questo assunto. Il test era molto semplice: dopo aver posto degli elettrodi sulla testa di alcuni volontari Libet chiese loro di alzare un dito quando preferivano, annotando l’esatto momento in cui sentivano l’istinto di compiere l’azione. Libet scoprì quindi che i volontari diventavano consapevoli rispetto all’impulso di muovere il dito in media 300 millisecondi prima di farlo, mentre la loro attività cerebrale iniziava ad aumentare oltre un secondo prima. Da ciò dedusse che alcune parti del cervello prendano decisioni ben prima che la nostra parte conscia ne abbia notizia. Se è pur vero che alcuni studi successivi (ad esempio l’esperimento degli scienziati Soon, Brass, Heinze e Haynes) sembrano confermare le ipotesi di Libet, va detto anche che molti altri ne contestano le conclusioni oppure tendono a riconoscere al libero arbitrio una sorta di diritto di veto sulle decisioni prese.
È difficile dire se le tesi di Libet fossero del tutto corrette, tuttavia è probabile che la maggior parte della nostra vita si sviluppi mentre noi siamo, per così dire, “con il pilota automatico” senza che la maggioranza delle nostre decisioni sia effettivamente presa dalla parte conscia del nostro cervello. Tutto questo pone evidenti interrogativi sul piano del diritto penale, come nel caso estremo di Kenneth Parks.
Parks il 23 maggio 1987 si alzò all’alba e percorse in auto i 22 chilometri che lo separavano dalla casa dei suoceri, fece quindi irruzione nella loro casa dove accoltellò a morte la madre della moglie e ne ferì gravemente il padre.
Successivamente, con le mani ferite e ancora insanguinate, si recò in commissariato dove confessò agli agenti: «Credo di avere ucciso delle persone….». Nonostante la confessione e le prove schiaccianti a suo carico Parks fu assolto. Il motivo? La difesa riuscì a convincere la giuria che Kenneth soffrisse di una forma tanto grave di sonnambulismo da permettergli di compiere il delitto restando incosciente. La prova regina, l’encefalogramma, mostrava come il cervello dell’uomo provasse ad emergere direttamente dal sonno profondo alla veglia dalle dieci alle venti volte a notte, cosa che in una persona normale non avviene praticamente mai.
Parks aveva ucciso, ma non aveva scelto consapevolmente di farlo
Tralasciando il caso limite di Kenneth Parks, come valutare quando e in che misura un comportamento criminoso sia stato consapevolmente scelto dal colpevole e non sia invece frutto di problemi di carattere fisiologico? Recentemente il neuroscienziato Wolf Singer ha suggerito che azioni criminali fanno presupporre con buon grado di certezza che esista un qualche problema di carattere fisico: “Dal momento che non riusciamo a identificare tutte le cause, cosa che non possiamo e probabilmente non potremmo mai fare, dovremmo ammettere che in qualsiasi persona un comportamento anormale abbia una motivazione neurobiologica“. Ciò evidentemente non significa non punire i colpevoli, quanto piuttosto avere più consapevolezza del funzionamento dei meccanismi coinvolti nell’insorgere di un agire criminoso. In futuro auspicabilmente il progresso scientifico e tecnologico porterà nuove scoperte in questo campo aiutando la società a costruire un sistema penale più equo e trovando nuove tecniche di riabilitazione.
In questo senso una strategia agli albori è quella dell’addestramento prefrontale, la quale mira ad allenare il paziente ad avere un maggior controllo dei propri impulsi. Per fare questo Stephen LaConte e Pearl Chiu hanno cominciato a sfruttare i feedback offerti dal neurobraining. Per capirne il funzionamento può essere utile utilizzare un esempio: uno stupratore viene posto davanti ad uno schermo ove vengono proiettate immagini di belle donne, mentre la sua attività cerebrale viene monitorata. Al termine della sessione gli esaminatori verificano quali regioni dell’encefalo del paziente siano state più attive durante l’esperimento. Successivamente la prova sarà ripetuta, ma affiancata al monitor sarà posta una sbarra verticale che misura l’attività neurale del paziente: il compito dell’esaminato sarà cercare di far abbassare il più possibile la sbarra diminuendo l’attività cerebrale delle zone connesse al desiderio.
Tecniche come quella descritta sono in fase di sperimentazione ed evidentemente servirà tempo prima che vengano perfezionate, tuttavia, anche grazie agli sviluppi dell’intelligenza artificiale e alla forza degli algoritmi (già utilizzati in alcuni Paesi per calcolare le probabilità che un determinato criminale ricada in recidiva), potrebbero, almeno per una parte dei carcerati, rendere in futuro finalmente effettiva la possibilità di riabilitarsi ad un ritorno in società.
Fonti: D. Eagleman; In incognito – La vita segreta della mente; Arnoldo Mondadori Editore S.p.a.; 2012. Wikipedia, Texasmonthly, Treccani.