La storia dell’uomo è fatta di migrazioni, a partire dai nostri progenitori, che dall’Africa si spostarono progressivamente in tutto il pianeta. I poemi omerici, l’Eneide o la Bibbia, narrano di spostamenti compiuti da singoli individui e da gruppi etnici per motivi commerciali, per creare nuove colonie o per conquistare terre già abitate da altri popoli.
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La nascita dell’agricoltura, che avvenne durante il neolitico all’incirca 12.000 anni fa, ebbe come conseguenza la formazione dei primi villaggi stabili: l’uomo da nomade divenne sedentario. Tuttavia, il movimento di intere popolazioni e di avventurosi e solitari pionieri, che continuò per molto tempo (anzi, non si è mai fermato), è sempre stato alla base dello scambio culturale e della formazione di nuove società.
Ricostruzione museale di donna preistorica che macina cereali (MUSE di Trento)
Fonte immagine: Wikipedia
Il passaggio dal neolitico all’età dei metalli, nella quale gli uomini impararono a lavorare prima il rame, poi il bronzo e infine il ferro, fu favorito proprio dalle migrazioni, che consentivano gli scambi di informazioni su nuove tecniche e conoscenze. I popoli guerrieri che si spostavano alla ricerca di nuove terre assoggettavano i nativi ma portavano comunque nuovi saperi, e al tempo stesso apprendevano essi stessi.
Le conquiste territoriali non furono però il solo mezzo per la diffusione di nuove conoscenze e manufatti ad esse correlati
Un recentissimo studio tedesco, svolto dal Max Planck Institute di Jena e dall’Istituto di Preistoria e Archeologia di Monaco, getta nuova luce sulle abitudini culturali degli antichi popoli Europei. Condotto sulla base di scavi archeologici effettuati in Germania, nella valle del fiume Lech in sette siti distinti che si svilupparono dal neolitico all’età del bronzo, gli studiosi hanno ipotizzato che le reali protagoniste degli scambi culturali fossero le donne.
Lo scheletro di una donna nella Valle del Lech
Grazie all’analisi di 84 scheletri sepolti negli antichi insediamenti tra il 2500 e il 1650 aC., il professor Philipp Stockhammer e i suoi collaboratori hanno scoperto che gli uomini delle tribù erano praticamente tutti indigeni, a differenza delle donne, che invece provenivano in gran numero (circa i due terzi di esse) da località distanti anche 500 chilometri, probabilmente alla ricerca di un compagno.
Nella valle del Lech le società erano quindi strutturate in modo patrilocale: la residenza delle famiglie era nel luogo natale dell’uomo. Le donne, che provenivano da regioni lontane come la Boemia o la Germania centrale, portarono con sé, negli 800 anni in cui si protrasse questa consuetudine, le conoscenze dei loro luoghi di origine. La mobilità femminile non era un fenomeno di gruppo, ma “una forma istituzionalizzata di migrazione individuale”.
Le donne venivano quindi accolte ed integrate nella comunità, senza subire nessuna discriminazione, come dimostrano le tombe collettive studiate dai ricercatori. Ogni singola famiglia aveva una propria tomba, nella quale venivano sepolti individui di differenti generazioni, comprese le donne provenienti da altre regioni. Il fatto che non ci fossero differenze nella sepoltura, indica che le straniere erano considerate al pari delle native. Secondo la ricercatrice Alissa Mittnik, dell’Istituto Max Planck:
Le Donne venivano da lontano e portavano idee
Secondo quanto scrivono i ricercatori nello studio, pubblicato su PNAS, la mobilità femminile rappresentò “una forza trainante per la comunicazione e lo scambio regionale e sovraregionale all’alba dell’età dei metalli in Europa”.