Non fa differenza se si trascorre la propria vita lavorativa seduti ad una scrivania, oppure al volante di un’auto, o magari nella cucina di un ristorante. Molte persone hanno l’abitudine di tenere a vista, sul proprio luogo di lavoro, ma anche in casa, qualcosa che dia una spinta motivazionale ad affrontare al meglio la giornata: una fotografia, un mini giardino zen, una citazione significativa…
Di tutt’altro genere erano gli oggetti, in uso fino ad un paio di secoli fa ma molto di moda nel medioevo e rinascimento, che dovevano ricordare a tutti la caducità della vita e la vanità delle cose terrene.
Memento Mori del 16° secolo attribuito ad Hans Leinberger
Fonte immagine: The Art Walters Museum
Erano i cosiddetti memento mori (ricorda che devi morire), oggetti, statue o dipinti creati al preciso scopo di ricordare il destino che accumuna tutti gli uomini: la morte. Questi macabri “promemoria” dovevano rammentare ai loro possessori la transitorietà dei beni materiali: molto più utile concentrarsi sulla propria anima e sulla vita ultraterrena, quella sì eterna!
Danza della Morte – affresco del 16° secolo
Anche se già filosofi come Platone, e poi Seneca, posero l’accento sull’importanza di riflettere sulla morte, fu con il cristianesimo, e lo spettro del giudizio divino, che una buona morte, una fine da giusti, divenne il vero scopo della vita.
Il “Transi” di René de Chalon
Fonte immagine: Wikimedia Commons
Nell’Europa del 16° secolo i memento mori erano statue a grandezza naturale, ma anche incisioni tombali, oppure piccole sculture adatte ad essere tenute su un tavolo.
L’immagine predominante era quello di uno scheletro posto in piedi, con brandelli di carne attaccati alle ossa. Talvolta, il cadavere in decomposizione ha in mano un oggetto, come nella scultura attribuita ad Hans Leinberger, dove il morto tiene tra le dita una pergamena con un’iscrizione latina, che tradotta suona così: “Io sono ciò che sarai. Ero quello che sei. Per ogni uomo è così.”
Monumento funebre di René de Chalon – Chiesa Di Saint Etienne a Bar-le- Duc
Fonte immagine: Wikipedia
Di particolare rilievo la statua funebre del francese René de Chalon, principe d’Orange, che morì in battaglia a soli 25 anni. La moglie non volle una statua che ricordasse la sua grandezza terrena, ma uno scheletro a grandezza naturale, con la mano sinistra tesa verso l’alto, ad offrire il proprio cuore a Dio. La statua è nota proprio come “transi”, rappresentazione della transitorietà della vita terrena.
Con il passare del tempo, i memento mori divennero “portatili” e cambiarono stile: figure umane raffigurate per metà come erano da vive, e per l’altra metà come gli scheletri che sarebbero divenuti.
Fonte immagini: Wellcome Library
Oppure, se qualcuno temeva di dimenticarsi della morte quando era lontano da casa, poteva optare per piccoli oggetti tascabili.
Fonte immagine: Wellcome Library
Pendente in avorio – 16° / 17° secolo
Fonte immagine: Wikipedia
Indipendentemente dalle loro dimensioni, e dal livello di raccapriccio indotto, i memento mori inviavano sempre lo stesso messaggio: ricordati che devi morire, la vita è breve, i beni terreni non contano. Eppure, questo messaggio così spirituale era contenuto proprio in un oggetto di proprietà personale, a sottolineare, forse, che paradosso è la vita.