In ogni epoca e in ogni cultura ci sono donne che hanno fatto la differenza, in tutti gli aspetti della civiltà. E’ ancora oggi necessario sottolineare il loro contributo perché la storia è, tutto sommato, quasi sempre coniugata al maschile, e il contributo femminile è considerato un’eccezione. La gestione del potere è sempre stata una faccenda da uomini, e le molte donne che sono riuscite a esercitarlo lo hanno fatto nell’ombra, tramite una figura maschile.
I casi sono innumerevoli, dall’antica Grecia alla Roma repubblicana e imperiale, dai sultanati d’oriente alle monarchie europee (con le dovute eccezioni, come Cleopatra o Elisabetta I).
Un po’ meno numerose (e per questo ricordate ancor più come casi eccezionali) forse sono le donne che hanno fatto parlare di sé per le loro imprese in battaglia: Boudicca e la Signora dei Merciani, ma anche Caterina Sforza o, in tempi più recenti, le donne cecchino sovietiche durante la seconda mondiale.
In Giappone, il concetto stesso di onore e gloria, legato alla casta dei guerrieri samurai, è appannaggio degli uomini. Le Onna-Bugeisha sono sì donne guerriere di estrazione nobile, che appartengono alla stessa classe dei samurai, ma il loro compito è generalmente relegato all’ambito domestico: in assenza del marito/padre/fratello devono occuparsi della gestione della casa, e anche della sua difesa. Per questo, per difendere la proprietà e l’onore della famiglia, le onna-bugeisha vengono addestrate a combattere.
Poi c’erano le eccezioni, come Nakano Takeko.
Nakano Takeko, a destra della foto, con Hirata Kocho
E’ una privilegiata Takeko: nasce a Edo (odierna Tokyo) in un’importante famiglia di samurai, nel 1847, e viene educata come spetta a una bambina della sua classe. Quindi studia calligrafia e letteratura, ma si esercita anche nelle arti marziali. E lo fa così bene che il suo maestro, assai rispettato in città, la adotta. Lei insegna alle bambine più piccole l’arte del combattimento con la naginata, l’arma che usano le onna-bugeisha, e intanto si entusiasma per le storie delle donne guerriere nel vecchio Giappone, e forse sogna di poter dimostrare il suo coraggio, come aveva fatto la leggendaria Tamoe Gozen, l’unica di cui rimane tracce nell’epica dei samurai.
Tamoe Gozen con la sua naginata
Takeko segue il suo maestro e continua a insegnare arti marziali in altre prefetture; nel 1868 è nella regione di Aizu, dove poi diventerà la protagonista di una decisiva battaglia, durante la guerra Boshin.
Sono anni di disordini e contrasti, provocati dalle malviste ingerenze di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna in Giappone, che sfociano in una guerra civile. Da una parte c’è lo shōgunato di Tokugawa e dall’altra l’imperatore Kōmei e poi il figlio Meiji.
Lo shōgun Yoshinobu Tokugawa
Non si tratta solo di una guerra per la conquista del potere, ma di una battaglia fra due visioni del mondo, tra il Giappone che si apre al mondo esterno e quello che vorrebbe richiudere i suoi confini.
Il potere è da oltre 250 anni nelle mani dello shogunato Tokugawa, un governo di tipo feudale che vuole mantenere il Giappone isolato dal resto del mondo, mentre quello dell’imperatore è un titolo praticamente onorifico. Il sovrano è confinato nel suo palazzo di Kyoto, e solo intorno al 1860 ogni tanto viene consultato su alcune questioni.
Poi succede che il Giappone è praticamente costretto a firmare dei trattati parecchio sfavorevoli, che aprono al commercio straniero con Stati Uniti, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Francia. L’economia del Paese ne risente pesantemente: aumenta la disoccupazione, cresce l’inflazione, gli stranieri speculano sui cambi. Sono anni di rivolte contadine e di attacchi numerosi agli stranieri e a quei giapponesi che li sostengono: la sede della delegazione statunitense a Edo viene bruciata, e gli occidentali non si sentono più molto sicuri nella terra del sol levante. Nonostante questo, i vari governi colonialisti di rifiutano di rivedere quei trattati commerciali così penalizzanti per i giapponesi.
A quel punto, nell’aprile 1863, l’imperatore Kōmei, appoggiato da molti samurai ormai ostili allo shōgun Tokugawa, decide che è ora di riprendere in mano le redini del potere, ed emette “L’Ordine di espellere i barbari”, entro il 10 maggio. Andando contro una tradizione secolare l’imperatore sfida lo shōgun, e gli impone di dichiarare la fine di ogni rapporto con gli stranieri.
Ogni delegazione estera riceve questa missiva: “Gli ordini del comandante supremo, ricevuti da Kyoto, prevedono che i porti debbano essere chiusi e gli stranieri cacciati, perché la popolazione del paese non desidera avere rapporti con l’estero”.
Gran Bretagna, Francia e Olanda (gli Stati Uniti sono troppo impegnati nella guerra civile e sono poco presenti) non ci stanno, e attaccano varie città del Giappone, con l’appoggio di chi, all’interno dello shogunato, è favorevole all’apertura del paese verso l’occidente.
In pratica è guerra aperta tra i sostenitori dell’imperatore e quelli dello shōgun
Si arriva così alla guerra Boshin, combattuta tra il 1868 e 1869, che vedrà la restaurazione del potere imperiale, e l’ascesa al trono del giovane Meiji. Il nuovo sovrano in realtà adotterà poi quella politica di apertura verso la modernizzazione del paese, che era stata una delle cause del conflitto.
L’Imperatore Meiji – 1873
L’ultima battaglia di quella breve “rivoluzione senza sangue” (per modo di dire) è quella di Aizu. Lì c’è anche Nakano Takeko, a difendere lo shõgunato.
Nakano Takeko
Non può combattere con le forze regolari, che non ammettono le donne anche se sono onna-bugeisha, e così lei organizza un corpo di Jōshitai le:
Donne guerriere
Takeko guida un gruppo del quale fanno parte la madre, la sorella minore e molte altre donne (tra le quale Hirata Kocho, ritratta insieme a lei nella prima foto), tutte addestrate all’uso della naginata.
E’ una mattina senza luce, di pioggia e nevischio, e le Jōshitai decidono di affrontare all’arma bianca le preponderanti forze nemiche dotate di armi da fuoco.
Quando gli imperialisti si accorgono, increduli, che i soldati nemici sono donne, cessano il fuoco; loro, le onna-bugeisha, ne approfittano per avanzare e affrontarli con le loro naginata. E ne uccidono molti, prima che dall’altra parte ricomincino a sparare.
Nakano Takeko riesce ad abbatterne cinque o sei con la sua spada, prima che un colpo di fucile le squarci il petto. Con l’ultimo filo di voce chiede alla sorella di decapitarla, perché la sua testa non sia esibita come trofeo dai nemici, ma possa ricevere un’onorevole sepoltura.
Statua di Nakano Takeko
Immagine condivisa via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0
La sorella obbedisce, e alla fine della battaglia la testa di Takeko viene sepolta in un tempio della città di Hōkai, sotto un pino. Aveva appena 22 anni.
Muore di una morte onorevole Nakano Takeko, nel 1868, e forse non le sarebbero piaciuti gli anni a venire, nei quali il volto del Giappone cambia completamente. I samurai non saranno più la gloriosa casta dei guerrieri che difende la nazione, sostituiti da un esercito moderno, molto più simile a quelli occidentali.
Nakano Takeko può essere considerata, senza distinzione di genere, uno degli ultimi samurai, nella lunga storia di questa leggendaria casta di guerrieri, sconfitta solo dai tempi moderni.