Nadia Comăneci: la ricerca della felicità della “Fata dei Carpazi” che incantò il Mondo

Era il 18 luglio 1976, seconda giornata dei Giochi Olimpici di Montreal in Canada, e si stava disputando la finale femminile di ginnastica artistica. Davanti al pubblico e alla giuria si esibisce alle parallele asimmetriche una giovanissima ginnasta: uno scricciolo di donna di quasi 15 anni (ma ne dimostra molti di meno), alta poco più di un metro e cinquanta e che pesa a malapena quaranta chili.

È leggiadra e leggera come un colibrì, e mentre esegue l’esercizio lascia tutti a bocca aperta: fra le due sbarre quella ragazzina minuta, dalla coda di capelli sbarazzina e lo sguardo serioso, volteggia come un petalo tanto da far dire a un cronista sbalordito e poetico che sembra:

Nuotare in un oceano d’aria

Dopo di che l’atleta-bambina atterra sul tappeto con precisione euclidea, disegnando con la schiena un arco impossibile e slargando le braccia al cielo.

Il Forum di Montreal prorompe in un’ ovazione e tutti, giuria, pubblico e telespettatori a casa, capiscono immediatamente che quella libellula è la più grande ginnasta vivente, persino più brava di Olga Korbut, il “passerotto di Minsk”, la bielorussa che aveva incantato alle Olimpiadi di Monaco quattro anni prima.

La giuria in quel 18 luglio 1976 non ha dubbi: merita il 10, voto che prima di lei non era stato mai assegnato ad una Olimpiade. Ed è allora che accade una cosa curiosa: il tabellone luminoso del Forum di Montreal non è programmato per le quattro cifre che compongono 10,00; ne sono previste solo tre per un punteggio massimo di 9,99.

I giudici si consultano con i tecnici e si decide allora di fare apparire il numero 1,00 per dieci volte, e così accade, di fronte ad un pubblico che sulle prime non capisce ma che quando lo speaker preposto spiega il meccanismo e realizza che a quella ragazzina venuta dall’Est è stato assegnato il punteggio massimo, si alza in piedi ed esplode con un applauso interminabile.

Ed è così che Nadia Comăneci entra nella Storia dell’atletica leggera e nell’immaginario di tutti noi

Era nata il 12 novembre 1961 ad Osteni, un piccolo paese della Romania e i genitori Gheorghe e Stefania-Alexandrina (meccanico lui e impiegata lei) le avevano dato quel nome ispirandosi ad un film russo la cui eroina si chiamava Nadežda, ossia “speranza”.

E di speranza in quel Paese, per vivere decentemente e andare avanti, ce ne voleva davvero parecchia. La Romania negli anni Settanta appariva all’Occidente capitalista e democratico come un Paese lontano e semi sconosciuto, isolato com’era dal resto del mondo all’interno della cortina di ferro sovietica.

Chi c’era stato raccontava come fosse terra di una bellezza misteriosa e selvaggia, punteggiata di castelli medievali, borghi nascosti nelle foreste, eremi inaccessibili e cupi manieri che svettavano soprattutto nella Transilviana, la terra di Dracula. Già, Dracula.

Di quella nazione dell’Europa dell’Est si conosceva poco, ma tutti avevano ben presenti due terrifiche figure: una, quella del conte vampiro immortalato dallo scrittore Bram Stoker, l’altra, quella di Nicolae Ceaușescu, il feroce dittatore che la governava con metodi spietati e coercitivi insieme alla moglie Elena.

I coniugi Ceaușescu tenevano in scacco l’intero Paese vessandolo e sottoponendolo a condizioni di povertà e sottomissione, coadiuvati da una polizia occhiuta e da un esercito di delatori prezzolati.

La miseria era tale che molti genitori, non potendo garantire ai propri figli le necessità primarie, erano costretti ad abbandonarli negli orfanotrofi o per le strade, e molti di questi bambini finirono nelle fogne di Bucarest dove sopravvivevano (quando accadeva) in condizioni disumane.

Era da quello stato comunista che proveniva Nadia Comăneci e quel primo perfect 10 olimpico assegnatole, e i tre ori vinti alle parallele, alla trave e al corpo libero la fecero conoscere a tutto il mondo.

Per i Romeni lei era già una celebrità di cui andare orgogliosi in quanto l’anno precedente era salita agli allori della cronaca ai campionati europei di Skien in Norvegia, dove aveva vinto ben quattro ori nelle varie prove ginniche. Ogni sua prova era stata salutata come un prodigio di precisione, grazia e perfezione e la Associated Press l’aveva eletta Atleta dell’anno 1975.

Ai 10 Nadia era abituata: sia a scuola, dove studiava con profitto, sia nelle gare di atletica. Nel marzo di quel glorioso 1976, infatti, gliene erano stati assegnati tre (alle parallele asimmetriche, al volteggio e alla trave), all’American Cup International Gymanstics Competition svoltasi al Madison Square Garden di New York.

È proprio durante questa competizione che Nadia conosce Bart Conner, un biondino americano di diciassette anni, ginnasta anche lui, e molto bravo, seppure non stratosferico quanto lei.

Li fotografano insieme mentre alzano felici i propri trofei; sono belli, giovanissimi, teneri e un fotografo grida:

Dai, Bart, non essere timido, dalle un bacio sulla guancia!

Lui, che per quella piccola, strabiliante romena s’era preso una mezza cotta, le schiocca uno smack sulla gota e lei sorride imbarazzata. Cupido li osserva e comincia a oliare le frecce.

Nadia ritorna in Romania e continua la vita di sempre, monotona e austera, scandita da allenamenti durissimi e dalla volontà incoercibile di migliorare il proprio standard atletico e superare le sue già inarrivabili prestazioni.

Era stata notata quando era ancora all’asilo da un grande allenatore di origine ungherese, Bela Károly, che insieme alla moglie Marta gestiva una società sportiva.

Lui aveva capito da subito che quella bambina sottile come un giunco e agile come un elfo che faceva capriole, salti mortali e ruote con assoluta naturalezza gli avrebbe dato grandi soddisfazioni. Ma non poteva immaginare quanto.

A sei anni per Nadia inizia la carriera di ginnasta e Bela dirà di lei: «Nadia ha tre qualità fisiche: forza, rapidità, agilità. E tre mentali: intelligenza, capacità di concentrazione e soprattutto coraggio.»

Omette di dire che la sottopone ad allenamenti sfiancanti di sei ore al giorno, che la sua dieta giornaliera era composta solo da 100 grammi di carne a pranzo e 50 a cena, 200 grammi di verdure, tre frutti e tre vasetti di yogurt. Niente carboidrati e dolci per non compromettere quel fisico esile che tale deve rimanere.

E omette ciò che tutti sanno e non osano palesare, ossia che a lei (come a moltissime ginnaste dei Paesi dell’Est) vengono quasi sicuramente somministrati ormoni per rallentarne la crescita e farla rimanere piccola di statura, minuta e leggera come la Fata Confetto dello Schiaccianoci di Čajkovskij.

Teodora Ungureanu, Béla Károlyi e Nadia Comăneci:

Bela Karoly è esigente, severo, inflessibile e lei, ubbidiente e ambiziosa, esegue alla lettera e anzi va oltre. «Se chiedevo dieci flessioni lei ne faceva venti», dichiarerà lui; Nadia non si lamenta mai, si adegua alle inflessibili regole e si allena con una tenacia ed un impegno inarrendevoli, ripete fino allo sfinimento gli esercizi, fino a mille volte, fino allo stremo.

È programmata per vincere. Persino il sorriso diventa un lusso che non si concede (quasi) mai: “Un sorriso mi farebbe perdere qualche millimetro di equilibrio e rischierei una penalità” risponde in un’intervista al giornalista allibito; non a caso molti anni dopo la scrittrice Lola Lafon intitolerà “La piccola comunista che non sorrideva mai” la biografia romanzata scritta su di lei.

Sotto, la copertina de “La piccola comunista che non sorrideva mai (Romanzi Bompiani)”, di Lola Lafon, disponibile su Amazon:

Intanto i risultati sbalorditivi raggiunti nel corso degli anni e quell’exploit alle Olimpiadi di Montreal del 1976 proiettano Nadia nell’empireo della Ginnastica artistica mondiale e i media e la propaganda di regime s’impossessano di lei. Se ne accorge anche lei quando finiti i giochi olimpici di Montreal atterra a Bucarest.

Per le strade trova diecimila persone osannanti. Il suo Paese ora può vantare la più grande ginnasta del mondo e lei diventa un trofeo da esibire e da custodire gelosamente.

Ceaușescu la nomina Eroe del lavoro socialista e le conferisce le più alte onorificenze del regime. È sotto l’occhio dei riflettori e di quello lubrico del vorace Nicusor detto Nicu, il terzogenito nonché figlio prediletto del dittatore e di sua moglie, che si fa chiamare il Principe ma nobiluomo non è, né di rango né di animo.

Sotto, Nicu Ceaușescu:

La guarda, durante le varie cerimonie in cui viene premiata, dai televisori della sua lussuosissima villa; in un Paese alla fame, lui possiede decine di apparecchi televisivi disseminati in tutte le stanze. La osserva con viscido compiacimento semi sdraiato sul divano in mezzo alle nudità delle sue amanti occasionali bevendo vodka russa e champagne francese.

La vuole, la pretende. L’avrà

E Nadia la libellula, anzi, la Fata dei Carpazi come tutti l’appellano, a quindici anni è costretta a diventarne l’amante. È un personaggio bieco, Nicu, alcolizzato, pervertito e violento, abituato a prendersi tutte le donne che vuole sulle quali sfoga la propria libidine e i conflitti non risolti con sua madre Elena, l’influente e temuta moglie del Conducàtor, l’eminenza grigia del regime dai mille abiti e dalle scarpe con diamanti incastonati nei tacchi, dai bagni con i sanitari in oro massiccio e dai gioielli sfolgoranti ostentati con arrogante tronfiezza.

Sotto, Elena Ceauşescu:

Il ragazzo nel corso degli anni sviluppa verso di lei un rapporto di dipendenza psicologica e di livore arcigno che si accentua quando gli viene impedito di sposare Donca Mizil, figlia di un alto rappresentante di partito ma a lei invisa; quando viene a conoscenza che la ragazza aspetta un bambino dal figlio, la fa rapire per strada dai servizi segreti  e la costringe ad abortire.

L’ingerente mammina interverrà pesantemente anche quando Nicu si innamorerà di una cantante, Janina Matei, che sarà spedita lontano dalla Romania.

Il rampollo, rabbioso e frustrato, farà della bottiglia, del sopruso e del gioco d’azzardo i suoi compagni ideali, lasciando sul panno verde dei casinò di mezza Europa somme stratosferiche che il padre pagherà con denaro sottratto dalle casse dello Stato. E di questo personaggio Nadia diverrà forzatamente la compagna.

Viene rinchiusa in una casa lussuosa con tanto di Bentley, domestici e autista a disposizione; ha gli armadi strapieni di vestiti costosi e scrigni con gioielli.

Ma è sola in quella dimora da favola, allontanata dai familiari, dagli amici e persino dal suo allenatore Bela Károly che seppur irremovibile e duro negli allenamenti le era affezionato.

Nicu la considera una sua proprietà, e la costringe ad esibirsi in volteggi ginnici nel giardino attrezzato ad arte davanti all’accolita di altri compagni di merenda (tutti maschi), e Nadia, che è poco è più che una ragazzina, ubbidisce e si esibisce, ricacciando indietro le lacrime.

Una farfalla cristallizzata in un guscio d’ambra

È sempre più infelice, sempre più sola e il sorriso si fa sempre più raro, controllata a vista com’era da tre guardie del corpo e in balia di un aguzzino.

Perché questo Nicu era, e lei, per paura e per vergogna, non confessa ad alcuno (e anche in seguito non vorrà mai parlarne pubblicamente) che dal suo amante subisce costantemente violenze psicologiche e abusi sessuali.

Diventa bulimica, il suo fisico minuto e aggraziato si sforma, lo sguardo si spegne. Un giorno tracanna un bicchiere di candeggina, ma la salvano e la obbligano dopo tre giorni ad allenarsi in maniera parossistica perché deve tornare a gareggiare e a vincere per il suo Paese. È stata programmata per questo fin da quando aveva sei anni, se mai se lo fosse scordato.

Viene richiamato controvoglia Bela Karoly (lo sporco ungherese detestato da Nicu) che quando la vede sobbalza, tanto è irriconoscibile nel fisico e devastata nell’anima.

Bela Karoly nel 2009:

Riprendono gli allenamenti, ancora più duri e intensivi: cinque mesi, pensa Bela, non sono sufficienti a rimetterla in sesto, a farla tornare ad essere il colibrì che aveva incantato il mondo intero in quel luglio del 1976: non ce la farà mai.

Ma Nadia è inarrendevole, Nadia è orgogliosa, Nadia è una combattente nata

Agli Europei di Praga del 1977 stupisce ancora e sale sul podio per prendersi un argento al volteggio e un oro alle parallele asimmetriche e farà incetta di medaglie anche ai Mondiali di Strasburgo nel 1978, agli Europei di Essen, in Germania, ai Mondiali di Fort Worth e alla coppa del mondo di Tokyo del 1979.

E si arriva alle Olimpiadi di Mosca nel 1980: Nadia è di nuovo la punta di diamante della sua squadra; appare cambiata nel fisico (è cresciuta di 10 cm ed è più morbida nelle forme) e nello sguardo (che è diventato di ghiaccio), ma sempre formidabile: ottiene di nuovo un 10 all’esercizio obbligatorio alla trave ma alla prova all-around (cioè la prova individuale con tutti gli attrezzi) deve competere con la russa Alena Davydova che gioca in casa e ha l’appoggio del pubblico e del regime sovietico.

Il 10 di Nadia Comaneci alla trave:

I giudici impiegano 25 minuti per il verdetto e alla fine le assegnano un punteggio di 9,85 (che il suo allenatore non esita a definire “vergognoso”) che le abbassano la media e le fanno dire addio all’agognata medaglia d’oro assegnata, comm’il faut, all’atleta russa.

Amareggiata, qualche anno dopo si ritira dalle competizioni e i riflettori mediatici si spengono su di lei, per il momento.

Intanto il suo allenatore Bela e sua moglie Marta approfittando di una trasferta negli States chiedono asilo politico e lasciano per sempre la Romania. La solitudine di Nadia si fa ancora più lancinante, tanto più che molti suoi connazionali, passato il periodo dei trionfi, la guardano con una certa malevolenza, anche quando la relazione con Nicu finisce.

Nadia nel 1984 si sposa con un altro eroe sportivo nazionale, Ion Geolgău, un calciatore della Nazionale romena, ma nel giorno del suo matrimonio Nicu Ceaușescu, che ovviamente non era stato invitato, si presenta con i suoi gorilla e si abbandona a commenti pesanti all’indirizzo della sposa scatenando una rissa epocale fra gli atleti presenti coadiuvati da alcuni invitati e i suoi guardiaspalle.

Il matrimonio però finisce presto e Nadia torna di nuovo sola, in un Paese che continua a nutrire nei suoi confronti un atteggiamento duplice: c’è chi la idolatra e chi la guarda con sospetto perché per i tanti detrattori del regime di Ceaușescu lei è stata pur sempre l’amante di uno dei personaggi più malvagi e odiati del regime.

Non le perdonavano gli agi e i privilegi: vedevano in lei solo una donna avvolta in pellicce costose, truccatissima e con le unghie laccate. Quel che non sapevano era che quel maquillage serviva a nascondere occhiaie di dolore e lividi nerastri e quelle unghie finte sopperivano, così si mormorava, a quelle vere strappate.

Decide di lasciare la sua terra, tanto più che il 9 di quel mese era crollato il muro di Berlino e i regimi comunisti avevano subito una spallata violenta e ineludibile: nulla sarà più come prima.

Anche il potere assoluto di Ceaușescu e consorte si accartoccia su se stesso, ma Nadia non aspetta la fine: vuole partire per gli Stati Uniti. Ad una festa ha conosciuto un connazionale, Costantin Panait, che le ha garantito che l’aiuterà a riconquistare la libertà. Decide di affidarsi a lui per la fuga che non confida neppure ai suoi genitori per non comprometterli.

La notte del 27 novembre insieme ad altri quattro connazionali e a quell’uomo dagli occhi obliqui e dal sorriso accattivante scappa e cammina per sei ore a piedi, in mezzo alla neve, con il freddo che le sferza il volto: è diretta in Ungheria e poi in Austria.

All’ambasciata americana a Vienna fa in tempo solo a dire «Sono Nadia Comăneci. Chiedo asilo politico» prima di accasciarsi sfinita.

All’aeroporto JFK di New York quando scende dalla scaletta dell’aereo con un sorriso tirato, infagottata in abiti fuori moda, con un taglio di capelli antico e il trucco pesante, rimane meravigliata da quanta gente sia venuta ad accoglierla e ad osannarla, nonostante siano passati tanti anni dai suoi trionfi.

Non parla inglese, è sola e smarrita. L’unico che le sta vicino, che non la molla un attimo è il suo connazionale Costantin con cui nel frattempo, si dice, ha iniziato una relazione sentimentale.

Lui è un personaggio controverso e ambiguo e molti sostengono sia un furbo approfittatore, che le sta facendo terra bruciata intorno non permettendole di frequentare nessuno, neppure il suo antico manager Bela che ormai vive negli States e vuole incontrarla di nuovo. Le fa da manager, ma poi all’improvviso sparisce, e in molti lo accusano di averle rubato molti soldi.

Nadia è delusa e frastornata, ma non si abbatte: è una donna abituata a lottare e reagisce con quella forza e determinazione che l’hanno sempre contraddistinta. Anche se ormai fuori dall’agone, è ancora considerata la più grande ginnasta del suo tempo, inserita nella International Gymnastics Hall of Fame che raccoglie i più grandi ginnasti, allenatori e dirigenti del mondo e l’unica a ricevere per ben due volte (nel 1984 e nel 2004) il collare dell’ordine olimpico, la massima onorificenza concessa dal comitato olimpico.

Negli States nessuna l’ha dimenticata e la invitano spesso anche in televisione. Ed è proprio ad una trasmissione televisiva sportiva che incontra di nuovo Bart Conner, il biondino che le aveva stampato un bacio sulla guancia davanti ai fotografi in quel lontano 1976.

A destra, Bart Conner:

Lui non l’aveva mai dimenticata, e quando la rivede il suo cuore comincia a fare capriole. Quando si risentono per telefono qualche tempo dopo, lui le dice alla cornetta: «Prendi il primo volo per l’Oklaoma. Io sono qui e ti aspetto.»

Nadia parte e atterra fra le braccia di Bart

Si sposano il 26 aprile 1996 in Romania, e migliaia di persone seguono con patriottico entusiasmo quel matrimonio trasmesso in diretta TV.

Il 26 settembre di quello stesso anno muore a 46 anni per cirrosi epatica il suo ex aguzzino, Nicu Ceaușescu. Condannato nel 1989 a 20 anni di carcere per genocidio (tra le tante imputazioni era stato accusato anche di essere il responsabile della morte di 102 persone a Sibiu) ed essersi buscato anche una coltellata da un altro detenuto, era stato scarcerato dopo soli tre anni per gravi motivi di salute.

Il matrimonio fra Nadia e Bart intanto viene allietato dieci anni più tardi dalla nascita di un bel bambino biondo, Dylan Paul. È un’unione serena, corroborata da un sodalizio professionale invidiabile: nel corso degli anni hanno creato una fondazione, realizzato palestre e negozi sportivi e sono molto attivi nel supportare onlus e associazioni benefiche molte delle quali proprio in Romania.

Nadia Comaneci nel 2010:

A guardarla oggi che è una affascinante signora di 58 anni, in lei non c’è nulla che ricordi la ragazza smarrita dagli occhi tristi e dagli abiti fuori moda che era arrivata negli Stati Uniti in quel lontano 1989. Si è “americanizzata” in tutto, anche nel vezzo, comune alle celebrità, di ricorrere a qualche interventino di chirurgia estetica al viso. Il corpo non ne ha bisogno: è ancora tonico e atletico da fare invidia.

La piccola e malinconica Fata dei Carpazi ha lasciato il posto a una donna realizzata e serena, ma che non ha dimenticato soprusi e vessazioni tanto che ultimamente si è schierata al fianco delle 160 giovani ginnaste che hanno denunciato il medico atletico Larry Nassar per molestie e abusi sessuali: una voce autorevole, la sua, che ha contribuito, e non poco, a farlo condannare a 175 anni di galera.

Una storia di ascesa all’Olimpo e di catabasi negli Inferi, quella di Nadia Comăneci, una storia di cadute e risurrezione, di disperazione e di speranza.

Quella speranza, nadežda, racchiusa nel suo nome e nel suo ritrovato sorriso.

Daniela Musini

Daniela Musini è nata a Roseto degli Abruzzi (TE) e vive a Città Sant'Angelo (PE). Diplomata in pianoforte, due lauree (in Lingue e Letterature straniere e in Lettere moderne), è scrittrice, pianista, attrice e autrice teatrale e acclamata interprete dell'opera di Gabriele d'Annunzio. Ha allestito i suoi recital/concert e i suoi monologhi (principalmente dedicati ad Eleonora Duse e Maria Callas) sia in Italia che in Russia, Giappone, Francia, Bielorussia, Germania, Polonia, Turchia, Stati Uniti e Cuba. Da sempre appassionata di figure carismatiche di donne, ha al suo attivo biografie, saggi e quindici testi teatrali. Per Piemme-Mondadori ha pubblicato "Le Magnifiche - 33 vite di donne che hanno fatto la storia d'Italia", e "Le Indomabili - 33 donne che hanno stupito il mondo". Per la sua poliedrica attività artistica e per i prestigiosi traguardi raggiunti le sono stati conferiti 36 premi letterari nazionali ed internazionali e 18 premi alla carriera.