Alla fine della seconda guerra mondiale si verificò quello che venne chiamato il fenomeno dei “soldati fantasma”: soldati dell’esercito imperiale giapponese che non vennero mai a sapere della fine della guerra, o rifiutarono di credere che il loro imperatore avesse accettato la resa, l’onta più grande per qualsiasi soldato nipponico. Nel maggio del 1945 il generale americano MacArthur iniziò la campagna per liberare le Filippine dai giapponesi, morirono decine di migliaia di soldati nipponici, proprio perché l’ordine era quello di non arrendersi mai, a costo della vita. Il tenente Hiroo Onoda ricevette l’ordine di portare avanti azioni di disturbo e guerriglia, nell’isola di Lubang, e lo fece per 29 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Onoda rimase nella giungla con tre commilitoni, e pur avendo ascoltato il messaggio dell’imperatore, che il 15 agosto 1945 annunciava per radio che occorreva “sopportare l’insopportabile”, cioè la resa, pensò a un trucco degli americani, e continuò la sua guerriglia.
Come lui, anche altre decine di soldati sparsi in varie isole del Pacifico, rifiutarono di credere alla fine della guerra e alla resa, tanto che furono lanciati volantini per spiegare loro che non avevano motivo per continuare a combattere, anche Onoda ne lesse qualcuno, ma continuò a pensare che fosse un imbroglio degli americani. Passarono così giorni, mesi, anni. Uno dei suoi uomini fu catturato nel 1950, mentre altri due furono uccisi durante le azioni di guerriglia effettuate, l’ultimo morì nel 1972. Durante questi 29 anni di guerriglia personale, Onoda uccise 30 filippini, divenne quasi una leggenda, finché il governo giapponese decise che era arrivato il momento di porre fine a questa imbarazzante situazione. Per recuperare Onoda fu mandato quello che era il suo comandante nel 1945, lo stesso che gli aveva ordinato di resistere, l’unico da cui poteva accettare un contrordine. Nel marzo 1974 finì così l’avventura di quest’uomo che incarnava le qualità del perfetto soldato nipponico, infatti fu accolto dal suo paese come un eroe. Lui poi emigrò in Brasile quasi subito, ma tornò in Giappone nel 1989, e fece diventare la sua esperienza un business: aprì una scuola di sopravvivenza itinerante, e scrisse un libro di memorie: “Nessuna capitolazione, la mia guerra trentennale”. Nel 1996 tornò a Lubang, e donò 10.000 dollari alla scuola locale. È morto ieri in un ospedale di Tokyo, per problemi cardiaci, all’età di 91 anni.