Sardegna, isola orgogliosa e altera, conserva i suoi tesori più nascosti e la sua anima vera lontano da quel mare cristallino che lascia senza fiato per la sua bellezza. Chi ha la forza di abbandonare le coste incantatrici dell’isola e si addentra all’interno, trova invece una bellezza arcaica e senza tempo, misteriosa e affascinante quanto i popoli che l’hanno abitata. I segni più evidenti di queste civiltà sono i nuraghe, edifici di pietra sparsi su tutta l’isola, costruiti dagli antichi sardi che, dopo l’arrivo di cartaginesi e poi romani, si ritirano all’interno, in particolare nel cuore più nascosto della loro terra, la Barbagia. Lì riescono a mantenere cultura e tradizioni ancestrali addirittura fino al VI secolo d.C.
Monte d’Accoddi
Immagine di Daniel Ventura via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0
Prima ancora di loro, lontanissimi nel tempo, i popoli prenuragici hanno dato vita a una cultura megalitica quasi senza eguali nel bacino del Mediterraneo, perché sono tantissimi, di diverse tipologie, e sparsi su tutto il territorio i monumenti di pietra che testimoniano la millenaria storia degli antichi sardi. Tra questi, unico nel suo genere, c’è il santuario di Monte d’Accoddi.
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Nelle campagne intorno a Sassari, su un pianoro calcareo, c’è da tempo immemorabile una collinetta artificiale, misteriosa per la sua posizione lì al centro di una pianura, e per il nome, Monte d’Accoddi: non tanto per quell’esagerato Monte, che l’altura raggiunge all’incirca i dieci metri, quanto per Accoddi, forse riferito a un erba locale (kòdoro) o forse con il significato di “luogo di raccolta” (accoddi, appunto). Il nome più antico della misteriosa collinetta è però Monte de Code, che significa “monte delle pietre”, significativo perché, prima degli scavi archeologici, qualche pietra era visibile sulla cima del piccolo e misterioso rilievo.
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Nei primi anni ’50 del 1900, quando in Sardegna ricomincia l’attività di ricerca archeologica (che si concentra sul Nuraghe di Barumini e sulla città sommersa di Nora), c’è come ministro della Pubblica Istruzione il professor Antonio Segni, futuro presidente della Repubblica, che viene da Sassari, ed è da sempre incuriosito da quella collinetta che si alza in un terreno vicino alle campagne di proprietà della famiglia. Segni insiste perché venga iniziato uno scavo a Monte d’Accoddi, che lui ritiene un tumulo etrusco.
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L’archeologo a cui viene assegnata la ricerca, il giovane Ercole Contu, che in quegli anni lavora alla Soprintendenza di Bologna, non è entusiasta dell’incarico, perché ritiene quel tumulo niente altro che i resti di uno dei tanti nuraghe (settemila) sparsi per tutta l’isola.
Ercole Contu )a destra) a Monte d’Accoddi con altri archeologi – 1954
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Deve ricredersi, perché quella collinetta nasconde qualcosa di eccezionale, un monumento preistorico molte antecedente ai nuraghe, unico nel suo genere in Europa e in tutto l’area mediterranea: una struttura che ricorda le ziqqurat della Mesopotamia.
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Prima di Contu sono però passate da lì le Forze Armate: durante la Seconda guerra mondiale usano quell’unica collinetta per piazzarci sopra delle batterie contraeree, che rovinano la parte superiore del monumento.
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Le successive campagne di scavi, prima di Ercole Contu e poi di Santo Tinè, portano alla scoperta di un grandioso santuario a forma di piramide tronca, al quale si accedeva tramite una rampa lunga oltre 40 metri.
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In quella pianura ci sono villaggi di capanne e necropoli sotterranee chiamate domus de janas (casa delle fate) già intorno al IV millennio a.C. Poi il popolo che li abita costruisce un primo tempio (tempio rosso), che è una piattaforma sopraelevata sulla quale viene eretta una struttura rettangolare, abbandonato intorno all’inizio del III millennio, non è chiaro perché, anche se ci sono tracce d’incendi.
Ricostruzione ideale del Santuario e, sotto, del Villaggio
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Intorno al 2800 a.C, un altro popolo sfrutta quel primo tempio, lo copre interamente con strati di terra, pietre e rocce polverizzate, contenuti da un muro esterno fatto di blocchi di calcare. E’ il grande santuario a forma di piramide tronca scoperto da Contu durante i primi scavi, che ha dimensioni di tutto rispetto: 37,5×30,5 metri alla base.
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Intorno al santuario si sono altri manufatti significativi: una grande lastra di calcare che forse serviva per le offerte o forse era un altare sacrificale; un menhir alto oltre 4 metri e due grandi massi sferici.
Lastra di calcare con colatoio, forse un altare sacrificale
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Pietre sferiche forse simboli di sole e luna
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Al di là degli importanti ritrovamenti che testimoniano la vita nel villaggio intorno al santuario, della testimonianza di sacrifici animali e pasti sacri consumati ai suoi piedi, Monte d’Accoddi è un monumento unico nel suo genere, un luogo di culto che probabilmente attirava persone da tutta l’isola. Quella lunghissima rampa pare suggerire un percorso simbolico verso la divinità, a quell’altare dove si pensava forse che cielo e terra si unissero, un sito sacro probabilmente già usato in tempi lontanissimi.
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La somiglianza con le coeve ziqqurat mesopotamiche non può però indurre a pensare che popoli tanto lontani avessero dei contatti, almeno fino a che non se ne trovi prova, che ad oggi non esiste.
L’imponente quanto suggestivo santuario di Monte D’Accoddi, intorno al 1800 a.C. risulta già abbandonato, anche se sporadicamente frequentato durante l’età nuragica e ancora dopo, in epoca romana e medioevale. Perché quelle radici così lontane sono rimaste comunque patrimonio di un popolo profondamente legato alla propria terra, quella più nascosta e misteriosa, piuttosto che alle sue meravigliose coste e al mare da dove arrivavano genti straniere.
Fonte: Gli altari a terrazza di Monte d’Accoddi, di Alberto Moravetti