Mitridate: il Re del Ponto che tenne in scacco Roma

E’ uno dei più temuti nemici di Roma quel sovrano d’oriente “inviato dal dio Mitra”, nato in una notte che sembra giorno per la luce di una cometa che rischiara il cielo di Sinope, capitale del regno del Ponto, nel 135 a.C. Brutto presagio questo per i Romani, che considerano le comete un segno di sventura, ma che tra i persiani hanno il significato opposto.

Mitridate VI

Immagine via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.5

E quel bambino, figlio della fortuna, si dice che discenda direttamente da Ciro e Dario il Grande per parte di padre, e con qualche goccia di sangue di Alessandro Magno per parte di madre. E’ Mitridate VI, ricordato come Mitridate il Grande, nemico giurato dei Romani, più pericoloso di Pirro e Annibale messi insieme.

Un’altra cometa arriva a illuminare Sinope quando il giovane principe sale al trono del Ponto: il suo è un regno nato sotto auspici favorevoli.

Ma non è la fortuna che rende grande Mitridate, è la sua volontà

Forse egli pensa di essere quel Rex ab Oriente preannunciato nel misterioso Oracolo di Istaspe, il “salvatore” che può distruggere l’impero romano.

Mitridate cresce nella reggia di Sinope, dove si incrociano culture e lingue differenti, religioni e filosofie, ma il ragazzo è attratto soprattutto dai classici greci, da Omero e Alessandro Magno. Impara più di venti lingue e intanto non tralascia l’attività fisica: è un atleta e si prepara a diventare un guerriero. Poi, nel 120 a.C. sua madre, la regina Laodice, avvelena suo padre e assume la reggenza del regno, in attesa che i due figli maschi diventino maggiorenni.

Pare però che la madre preferisca il fratello di Mitridate, che inizia a sospettare di essere lentamente avvelenato. Comincia così l’ossessione per i veleni del futuro re del Ponto, che scappa da Sinope e si dà a una vita randagia, ma quando torna (tra il 116 e il 113 a.C.) non è più un ragazzo, è un uomo forte nel fisico e nell’anima. Ha inventato un antidoto ai veleni, composto da 65 elementi, che nei secoli a venire (usato durante tutto il medioevo e il rinascimento) prenderà il nome di Mitridato.

Moneta d’argento con il profilo di Mitridate

Immagine via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

Quando rientra a Sinope chiude i conti con la madre e il fratello (muoiono entrambi, forse in prigione, forse uccisi), e comincia a espandere il regno verso est, visto che a ovest ci sono i Romani. Poi però conquista l’Anatolia occidentale, e dà sfogo al suo odio contro i Romani: durante i cosiddetti “vespri asiatici”, nell’88 a.C, con l’appoggio della popolazione locale che mal tollera le tasse imposte da Roma, fa uccidere 80.000/150.000 persone di origine italica, senza distinzione tra uomini, donne e bambini, servi o padroni.

Mitridate conquista non solo tutta l’Anatolia ma anche la Grecia, riuscendo a ottenere il favore delle Poleis greche

Mappa del Medio Oriente nell’89 a.C. Il regno del Ponto è in verde

Iniziano così le guerre mitridatiche, che mettono a dura prova Roma. Lo storico Appiano di Alessandria riassume così quell’intricato periodo:

“Molte volte [Mitridate] mise in campo più di 400 navi, 50.000 cavalieri e 250.000 fanti, con macchine d’assedio in proporzione. Tra i suoi alleati vi fu il re di Armenia, i principi delle tribù degli Sciti che si trovano intorno al Ponto Eusino ed al mare di Azov e oltre fino al Bosforo tracio. Tenne comunicazioni con i generali delle guerre civili romane, che combatterono molto ferocemente, e con quelli che si erano ribellati in Spagna.

Stabilì rapporti di amicizia con i Galli a scopo di invadere l’Italia. Dalla Cilicia alle Colonne d’Ercole riempì il mare con i pirati, che provocarono la cessazione di ogni commercio e navigazione tra le città del Mediterraneo e causarono gravi carestie per lungo tempo. In breve, non lasciò nulla nel potere di qualunque uomo, che potesse iniziare un qualsiasi movimento possibile, da Oriente a Occidente, vessando, per così dire, il mondo intero, combattendo aggrovigliato nelle alleanze, molestato dai pirati, o infastidito dalla vicinanza della guerra.

Tale e così diversificata fu questa guerra, ma alla fine portò i maggiori benefici ai Romani, che spinsero i confini del loro dominio, dal tramonto del sole al fiume Eufrate. Fu impossibile distinguere tutti questi avvenimenti da parte delle popolazioni coinvolte, da quando iniziarono in contemporanea, e si intersecarono in modo complicato con altri avvenimenti. […]”

Alla fine, nel 63 a.C, dopo aver subito una sconfitta da Gneo Pompeo Magno che riconquista la Grecia e l’Anatolia, Mitridate fugge in Crimea, vinto ma non domo. Vorrebbe riorganizzare un esercito e sogna di arrivare addirittura in Italia, nel cuore dell’impero.

Lo storico Cassio Dione commenta così:

Mitridate era un uomo portato alle grandi imprese, e avendo già provato molte sconfitte, ma anche molte vittorie, credeva che non vi fosse nulla che egli non potesse fare. Se anche l’impresa [di raggiungere l’Italia] fosse fallita, preferiva andare in rovina insieme al suo regno, insieme alla sua dignità, piuttosto che vivere senza questa, dimenticato da tutti“.

Mitridate con la moglie Ipsicatre

Alla fine Mitridate, tradito praticamente da tutti i suoi figli (ne fa uccidere molti) e da una parte dell’esercito, preferisce uccidersi anziché essere consegnato ai Romani. Ci prova prima con il veleno, ma l’antidoto assunto per tanti anni lo ha reso immune. Allora chiede a Bituito, un soldato di origine gallica, di trafiggerlo con la sua spada. Muore così uno dei nemici più valorosi dell’Impero, e Roma, finalmente al sicuro, tira un sospiro di sollievo.


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