Espiritu Santo è la più grande isola di quel piccolo arcipelago che un tempo era conosciuto come Nuove Ebridi, e che oggi costituisce la Repubblica di Vanuatu, un piccolo paradiso terrestre nel lontano Oceano Pacifico.
Poco lontano dalle coste dell’isola, a pochi metri di profondità, si trova il Million Dollar Point, non perché vi sia sommerso un prezioso tesoro ancora da recuperare, ma perché c’è un enorme deposito di rottami: camion militari, jeep, bulldozer, trattori, oltre che milioni di bottiglie di coca-cola! Questa incredibile discarica sommersa deve il suo nome all’enorme valore, in dollari, di tutte quelle attrezzature militari gettate in acqua alla fine della seconda guerra mondiale.
Espiritu Santo fu usata come quartier generale dalle forze armate degli Stati Uniti, ed anche come base logistica per l’approvvigionamento di viveri e vestiario.
Dopo quella delle Hawaii, era la base americana più grande del Pacifico: 40.000 militari di stanza, due basi aeree, ed un cantiere per le riparazioni navali. Questo comportava, ovviamente, anche la presenza di magazzini per tutto ciò che era necessario a sostentare le truppe: mobili, abbigliamento, molto cibo, birra, e l’immancabile coca-cola.
Alla fine della guerra, gli americani si trovarono di fronte ad un problema: cosa fare di tutto ciò che era stato accumulato sull’isola?
Riportarlo negli Stati Uniti sarebbe stato troppo oneroso, e comunque il governo americano aveva fretta di riportare a casa i propri militari.
Così gli americani proposero a Francia e Gran Bretagna, che avevano la sovranità congiunta sull’isola, l’acquisto di gran parte del materiale bellico. Le autorità coloniali probabilmente pensarono che, rifiutando la proposta, avrebbero comunque ottenuto lo stesso risultato, perché gli americani avrebbero lasciato tutto quel patrimonio a Espiritu Santo.
Fecero male i loro calcoli, perché le autorità militari degli Stati Uniti compresero bene il loro gioco, e decisero di buttare tutto in mare.
Immagine di airvanuatu
La gente del posto guardava con incredulità a quello sperpero, pensando che gli americani fossero impazziti. Lo scrittore di viaggi Thurston Calrke descrive così la scena:
Le Seabees (genio militare della marina) costruirono una rampa verso il mare e ogni giorno gli americani conducevano camion, jeep, ambulanze, ruspe, trattori, nel molo, bloccando le ruote e saltando all’ultimo secondo. I blocchi motore si rompevano e sibilavano. Alcuni Seabees piangevano. I Ni-Vanuatu assistevano alla distruzione di una ricchezza che la loro isola non avrebbe mai più rivisto, almeno durante la loro vita, e pensavano che gli americani fossero impazziti
Non tanto stranamente, gli isolani considerano il governo coloniale britannico, e non l’esercito americano, responsabile di quella distruzione. Secondo alcune testimonianze, gli americani volevano lasciare sull’isola beni ‘civili’ come pentole, padelle, abiti e legname, per la gente del posto, ma tutto fu confiscato dagli inglesi, poi bruciato o gettato in mare. Gli isolani che si appropriavano di qualcosa, anche di scarto, furono severamente puniti.
Paradossalmente, da un atto di vandalismo ambientale, oggi la piccola repubblica di Vanuatu raccoglie dei buoni frutti: spettrali resti di vecchi strumenti di morte giacciono nelle sue acque cristalline, ma rappresentano la più grande attrazione di Espiritu Santo, meta di appassionati subacquei che nuotano tra veicoli arrugginiti incrostati di corallo, prezioso e fragile simbolo di vita.