Anno 1948, Cecoslovacchia. Il partito comunista festeggia il febbraio vittorioso. Praticamente un colpo di stato apparentemente incruento. E, se vogliamo, apparentemente inutile.
La Cecoslovacchia, in quella scomoda posizione cuscinetto tra forze occidentali e orientali, ovvero USA e URSS, ancor prima della fine della seconda guerra mondiale, nella persona del presidente della repubblica Edvard Beneš (che non è comunista), rassicura l’Unione Sovietica con un trattato di amicizia tra i due paesi. D’altronde, sono ancora vive nella memoria le conseguenze, per il suo paese, dell’accordo di Monaco del 1938, con il quale i primi ministri Charmberlain, Daladier, Mussolini e Hitler avevano segnato il destino del paese, consegnandolo nelle mani dei nazisti.
Accordo di Monaco, da sx: Charmberlain, Daladier, Hitler, Mussolini, e Ciano
Immagine di Bundesarchiv via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0
Nel 1945 comunque, il KSČ (il partito comunista cecoslovacco) ci va con i piedi di piombo, adotta una politica moderata e il suo leader, Klement Gottwald, afferma: “Nonostante la situazione favorevole, il prossimo obiettivo non sono i soviet e il socialismo, ma piuttosto realizzare una rivoluzione nazionale democratica veramente approfondita”.
Nel 1946 il KSČ vince le elezioni con una percentuale altissima, il 38%, con votazioni sicuramente esenti da brogli. Il partito comunista ottiene 114 seggi su un totale di 300, e Gottwald diventa primo ministro. Oltretutto riesce a impadronirsi del Ministero dell’Interno, dove tutte le posizioni chiave sono in mano a fedelissimi del partito. In una situazione così favorevole, che poteva essere sbandierata dall’URSS come esempio di democrazia e pluralità, che senso ha quel colpo di stato?
Succede che in parlamento il ministro degli Esteri Jan Masaryk ottiene la maggioranza dei voti sulla proposta di aderire al Piano Marshall, con il quale il governo degli USA offre consistenti aiuti economici ai paesi dell’Europa occidentale, allo scopo di tenere lontano il comunismo. In realtà gli americani offrono anche all’Unione Sovietica di aderire al piano, che ovviamente rifiuta.
Masaryk, dopo un colloquio personale con Stalin, è costretto a declinare l’offerta, e commenta con il suo omologo al Commercio con l’estero: “Caro amico, ormai non siamo che dei vassalli”.
Tra la fine del ’47 e l’inizio del ’48, i parlamentari non comunisti iniziano a contestare la sempre più serrata occupazione dei posti chiave dell’amministrazione statale da parte del KSČ. A febbraio dodici ministri rassegnano le dimissioni, pensando che il presidente Beneš non le avrebbe accettate: a quel punto il governo sarebbe caduto.
I ministri non comunisti rassegnano le dimissioni
Invece succede tutto il contrario: Beneš non prende posizione e in piazza scendono migliaia di manifestanti a favore del KSČ. Alla fine il presidente cede, accetta le dimissioni dei ministri e incarica Godwall di formare un nuovo governo, questa volta composto da una coalizione di comunisti e socialdemocratici (che poi aderiranno tutti al KSČ) .
Manifestazioni di piazza pro KSČ
I giochi sono chiusi: l’esperimento di una repubblica socialista indipendente è fallito, la Cecoslovacchia è ormai un paese satellite dell’URSS.
E’ iniziata la Guerra Fredda
Un colpo di stato quasi incruento, dove il quasi indica centinaia di oppositori arrestati o costretti a fuggire dal paese, e soprattutto ricorda quelle 234 persone giustiziate tra il 1948 e il 1960: 233 uomini e una donna, Milada Horáková.
Milada Horáková
Milada Horáková, sopravvissuta ai campi di sterminio nazista, muore impiccata all’alba del 27 giugno 1950, nel cortile della prigione di Pankrác, a Praga, la sua città.
Milada, nata nel 1901 in una famiglia benestante, è una donna coraggiosa che dimostra presto il suo carattere forte e battagliero: a 16 anni partecipa a una manifestazione pacifista e per questo viene espulsa dalla scuola. Nel 1926 si laurea in giurisprudenza e intanto partecipa attivamente alla vita politica del paese. Aderisce al Partito socialista nazionale cecoslovacco (che nulla ha a che fare con il nazionalsocialismo tedesco), e si batte per i diritti civili, in particolare per quelli delle donne. Nei successivi 15 anni divide il suo tempo fra il lavoro al consiglio comunale di Praga, dove si occupa di attività sociali, e la famiglia: nel 1927 sposa Bohuslav Horák, che condivide le sue battaglie politiche, e nel 1934 i due hanno una figlia, Jana.
Quando la Germania occupa il suo paese, Milada entra nella resistenza, e nel 1940 finisce nelle mani dei nazisti, che la condannano a morte, ma poi la mandano al campo di concentramento di Terezín. Nel 1945, dopo la liberazione, torna a occuparsi di politica, ed entra in parlamento, dove continua le sue battaglie in favore dei diritti dei più deboli, rifugiati e donne soprattutto.
In quel febbraio del ’48 anche lei si dimette per protesta dalla carica parlamentare, e non nasconde la sua avversione al nuovo corso che ha preso il paese. Nei mesi successivi molti dissidenti riparano all’estero, ma non lei, che si rifiuta di seguire quella strada che in tanti le consigliano.
Milada Horáková sceglie di rimanere, sceglie di continuare a fare opposizione, finché non viene arrestata, il 27 settembre 1949. L’accusano di spionaggio e cospirazione, e a quel punto il marito lascia la Cecoslovacchia.
Ci provano in tutti i modi a farla capitolare, con torture fisiche e psicologiche, ma lei non si arrende, mai, nemmeno durante il processo, che comincia il 31 maggio 1949 e la vede alla sbarra insieme ad altre dodici persone. Milada è praticamente l’unica persona a rivendicare con fermezza le sue posizioni, l’unica ad opporsi alle argomentazioni dei pubblici ministeri, sapendo bene a cosa va incontro.
L’8 giugno 1950 Milada Horáková viene condannata a morte, insieme ad altri tre imputati
Il mondo è sgomento: l’impiccagione di una donna, madre di una ragazza di 16 anni, sembra inaccettabile a tutti. Si mobilitano in suo favore Albert Einstein, Winston Churchill ed Eleanor Roosevelt, ma anche intellettuali di sinistra come Jean-Paul Sartre, Albert Camus e Simone de Beauvoir. Tutto inutile, la sentenza viene eseguita il 27 giugno.
Il telegramma di Albert Einstein a favore di Milada Horáková
Prima di morire scrive una straziante lettera alla figlia, un testamento spirituale che racconta la grandezza di questa donna:
“… La vita è dura, non coccola nessuno, e ogni volta in cui ti colpisce ti assesta dieci colpi. Abituatici presto, ma non lasciare che ti sconfigga. Decidi di combattere. Abbi coraggio e obiettivi chiari e vincerai sulla vita. (…) Gira il mondo con occhi aperti, e ascolta non solo i tuoi dolori e interessi, ma anche i dolori, gli interessi e i desideri degli altri. Non pensare mai che qualcosa non ti riguardi. No, tutto ti deve interessare, e tu dovresti riflettere su tutto, confrontare, comporre fenomeni individuali. L’uomo non vive nel mondo da solo; in questo c’è una grande felicità, ma anche una tremenda responsabilità. (…) Ho cambiato idea molte volte, riclassificato molti valori, ma, quel che resta come valore essenziale, senza il quale non potrei immaginare la mia vita, è la libertà di coscienza. Vorrei che tu, mia piccola ragazza, pensassi se ho avuto ragione oppure no.”
Cenotafio di Milada Horáková al cimitero di Vyšehrad. Fotografia di pubblico dominio via Wikipedia:
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