Agli inizi dell’Ottocento le grandi potenze europee avevano un nemico in comune che rispondeva al nome di Napoleone Bonaparte. La sua Grande Armée era una macchina inarrestabile, e sui campi di battaglia spiccavano tanti uomini audaci, coraggiosi e dotati di una straordinaria abnegazione del pericolo. Uno di questi era Michel Ney, anche noto come il rubicondo o il leone rosso.

Il motivo di questi soprannomi è facile da intuire. Ney non temeva niente e nessuno. Quando ordinava la carica aveva il fuoco negli occhi, sulle guance e sul viso. Per i suoi subalterni era un paladino; per Napoleone era il coraggioso dei coraggiosi.

Dalle umili origini a Maresciallo dell’Impero
Michel Ney nacque il 10 gennaio del 1769 a Sarrelouis, al confine fra la Francia e la Germania, da Marguerite Greiveldinger e Pierre Ney, un artigiano di umili origini e veterano della Guerra dei Sette anni. Frequentò il collegio locale degli Agostiniani e trovò un impiego presso un notaio, ma la carriera da funzionario pubblico non lo entusiasmava.

Il 12 febbraio del 1787, si arruolò in un reggimento dell’esercito francese e, allo scoppio della Rivoluzione, si schierò contro l’Ancien Régime. In quegli anni di sconvolgimenti politici entrò a far parte della loggia massonica di Saint-Jean de Jérusalem di Nancy e divenne un uomo di fiducia di Napoleone Bonaparte, che, nel 1804, lo elevò al grado di Maresciallo dell’Impero.

Contro la Terza e la Quarta Coalizione
Durante la Guerra della Terza Coalizione prese parte alla battaglia di Elchingene e giunse in soccorso dell’Imperatore, che stava tentando di accerchiare le milizie austriache. Ney e i suoi uomini si scagliarono senza paura contro gli avversari e ne bloccarono la controffensiva. Quel successo militare spianò la strada alla decisiva battaglia di Austerlitz, ma Ney non vi partecipò perché, nel frattempo, Napoleone lo aveva incaricato di recarsi in Tirolo e catturare la città di Innsbruck a discapito della corte viennese.

Il curriculum militare di Ney, però, fu macchiato anche con episodi negativi. Nel 1806 ci fu la Campagna di Prussia e Polonia e, in quell’occasione, rischiò di compromettere la riuscita della spedizione quando, durante la battaglia di Jena, attaccò da solo con il proprio battaglione le linee centrali delle milizie prussiane.

Gli avversari erano numericamente superiori e la troppa irruenza gli costò quasi un totale accerchiamento, ma Napoleone notò subito la mossa avventata del suo Maresciallo e ordinò alle ale sinistre e destre dell’esercito di dargli man forte insieme alle riserve della cavalleria. La situazione si risolse a favore dei francesi e Ney, per farsi perdonare, nei giorni successivi prese le città di Erfurt e Magdeburgo con degli assedi-lampo.

L’8 febbraio del 1807, la Grande Armée fronteggiò il contingente russo del generale Levin August von Bennigsen nella sanguinosissima battaglia di Eylau. L’altro Maresciallo dell’Impero, Joachim Murat, comandò una serie di cariche contro le linee nemiche, ma non riuscì a sfondarle.

La situazione era drammatica e quando Ney giunse sul posto, dopo essersi perso nella Prussia Orientale per cercare delle provviste, guidò i suoi 14.000 soldati contro le 70.000 unità rivali in un attacco, che a tratti sembrò suicida, che fu in grado di risollevare le sorti del confronto armato.

L’ultimo francese che abbandonò la Russia
Dopo la campagna prussiana, Napoleone lo mandò in Spagna, ma, nella penisola iberica, gli eccessi caratteriali di Ney ne offuscarono i successi militari. Ebbe numerosi screzi con altri generali dell’Armée e l’Imperatore lo sollevò dall’incarico per insubordinazione.

Nel 1812 partì per la Russia, dove, insieme a Murat, fu tra i protagonisti delle battaglie di Smolensk e di Borodino. L’esito della spedizione è ben noto. La tenace resistenza dei russi da un lato e l’intervento del Generale Inverno dall’altro costrinsero la Grande Armée a ripiegare.

Il viaggio di ritorno fu un autentico supplizio e Ney, che scortava la retroguardia della lunga carovana francese, rimase tagliato fuori dal corpo principale dell’esercito dopo la battaglia di Krasnoi.

Di lui e del suo contingente non si ebbero notizie per ben tre giorni, ma riuscì a ricongiungersi con Napoleone giusto in tempo per passare alla storia come l’ultimo francese che abbandonò la Russia.

Quando seppe che era ancora vivo, l’Imperatore disse:
L’esercito di Francia è pieno di uomini coraggiosi, ma Michel Ney è il più coraggioso dei coraggiosi

La disfatta napoleonica e la restaurazione dei Borbone
L’età napoleonica volgeva al termine. Ney continuò a servire nelle file della Grande Armée e, nell’ottobre del 1813, durante la battaglia di Lipsia, riportò una ferita al collo che lo costrinse a un lungo periodo di convalescenza e inattività.

Tornò in tempo per partecipare alla campagna nel nord-est della Francia del 1814. La Sesta Coalizione mise a segno una serie di vittorie decisive e, con Napoleone alle strette, Ney e altri Marescialli chiesero al sovrano di abdicare in favore del figlio.

Dopo la restaurazione della monarchia, Ney si guadagnò l’amicizia di Luigi XVIII, che lo nominò Comandante in Capo della Cavalleria e lo elevò a Pari di Francia. In un certo senso, la sua vita si tranquillizzò, ma dall’isola d’Elba giunse la notizia che un certo Napoleone Bonaparte aveva ancora qualcosa da dire, e Luigi XVIII gli chiese di fermare l’ex imperatore, che, nel frattempo, stava marciando sulla la capitale
Se occorre, lo riporterò a Parigi in una gabbia di ferro

Il ritorno sotto le insegne di Napoleone
Ma in quella gabbia di ferro Napoleone non ci entrò. Era l’8 marzo del 1815; i due si incontrarono ad Auxerre, dove, stando alle testimonianze dell’epoca, ebbero un dibattito molto acceso. Napoleone non aveva dimenticato la defezione dei suoi uomini di fiducia nel 1814, ma il Maresciallo gli riproverò di aver avuto troppi eccessi da tiranno. Il tutto si concluse con Ney che tornò sotto le insegne del precedente imperatore.

Il successivo 15 marzo, pubblicò un proclama in cui annunciava il cambio di fazione e invitava l’esercito a insorgere contro la monarchia.
“La causa dei Borbone è persa per sempre. La legittima dinastia che la nazione francese ha scelto va riportata al trono: spetta all’Imperatore Napoleone, nostro sovrano, regnare sul nostro bel paese. […] Soldati! Vi ho portato spesso alla vittoria, adesso voglio portarvi sotto questa moltitudine immortale che l’Imperatore Napoleone sta conducendo a Parigi e che sarà lì a breve. […]”.

Waterloo e l’accusa di alto tradimento
L’ultimo atto dei cosiddetti Cento Giorni fu la battaglia di Waterloo del 18 giugno del 1815. Intorno alle 15:30 di quel lungo giorno della storia contemporanea Ney ordinò una grande carica contro alcune truppe della Settima Coalizione e riuscì a sfondarne le prime linee, ma Napoleone non supportò l’azione con l’invio di altra fanteria e l’offensiva si risolse in un nulla di fatto.

Si narra che, mentre si stava scagliando contro il nemico per l’ennesima volta, a un certo punto Michel Ney urlò:
Venite a vedere come un Maresciallo di Francia incontra la sua morte
Alcuni sui subalterni dissero che “era come se stesse cercando la morte, ma la morte non lo voleva”.

Nonostante l’avventatezza e le numerose ferite, Ney sopravvisse alla disfatta napoleonica e tornò a Parigi, dove, su ordine di Luigi XVIII, la polizia lo arrestò il 3 agosto con l’accusa di alto tradimento. In un primo momento si stabilì che spettasse a un consiglio di guerra il compito di giudicarlo, ma Ney si appellò al suo grado di Pari di Francia per sottrarsi a un’eventuale giuria di ex membri della Grande Armée che non lo avevano in simpatia a causa del suo ben noto caratteraccio.

Il processo e la condanna a morte
La parola passò alla Camera dei Pari e il processo ebbe inizio il 4 dicembre del 1815. Nel frattempo, però, il 20 novembre c’era stata la firma del trattato di Parigi, che sanciva il passaggio dalla Francia alla Prussia di alcune zone di confine, inclusa la città natale di Ney.

L’avvocato André Dupin colse al volo l’occasione e tentò un escamotage che scongiurasse la condanna del suo cliente. Alla luce dei nuovi avvicendamenti territoriali, di fatto, Ney era un prussiano e un tribunale francese non poteva giudicarlo per alto tradimento. Non sappiamo se avrebbe potuto funzionare, ma sappiamo che Ney rese tutto vano non appena interruppe il suo legale e urlò:
Sono francese e rimarrò francese!

La Camera dei Pari sentenziò la condanna a morte il 6 dicembre e, il giorno successivo, Ney si presentò dinanzi al plotone d’esecuzione nei pressi dei jardin du Luxembourg. Allo stesso modo di Joachim Murat, rifiutò di essere bendato e, impetuoso fino alla fine, disse:
Non sa che da venticinque anni ho l’abitudine di guardare in faccia i proiettili?

Comandò personalmente i soldati e le sue ultime parole furono:
Ho combattuto cento battaglie per la Francia, e non una contro di lei. Soldati, fuoco!

Così, con undici pallottole nel petto, si concluse la vita del Maresciallo Michel Ney. Quattro anni più tardi nacque la leggenda del suo fantasma.

Il mistero di Peter Stuart Ney
Nel 1819, gli abitanti della Carolina statunitense videro la comparsa di un certo Peter Stuart Ney. L’uomo, che parlava tante lingue, francese incluso, si stabilì nel paesino di Cheraw e iniziò a insegnare in una scuola del posto. Sembrava sbucato dal nulla. Nessuno lo aveva mai visto e il suo corpo aveva numerose cicatrici. Il mistero si infittì nelle serate in taverna. Peter Stuart beveva molto e, col favore dell’alcool, era solito professarsi un ex soldato della Grande Armée. Si narra che un giorno sfidò a duello un maestro di scherma e lo sconfisse senza alcuno sforzo. Quando seppe della morte di Napoleone, la notizia lo sconvolse al punto che prima svenne, poi tentò il suicidio.

Morì il 15 novembre del 1846 e, prima di esalare l’ultimo respiro, rivelò la sua vera identità.
Per tutto ciò che è santo, io sono il Maresciallo Ney di Francia!
In qualche modo, i locali lo credettero e lo seppellirono nel paesino di Cleveland, nella Carolina del Nord, con un epitaffio molto particolare.
In memoria di Peter Stuart Ney, originario della Francia e soldato della Rivoluzione francese sotto Napoleone Bonaparte

Leggenda narra che la loggia massonica di cui faceva parte Michel Ney inscenò l’esecuzione e lo trasse in salvo per farlo emigrare negli Stati Uniti, ma è bene specificare che la tomba originale nel cimitero parigino di Père-Lachaise non è mai stata aperta per scoprire se sia effettivamente vuota.

È più probabile che Peter Stuart fosse un semplice impostore o un mitomane, ma, sotto un’ottica romantica, è bello pensare che, riprendendo le parole di chi combatté al suo fianco a Waterloo, nemmeno dinanzi al plotone d’esecuzione la morte abbia voluto prendersi Michel Ney, l’uomo che Napoleone definì il più coraggioso fra i coraggiosi.