Mehran Karimi Nasseri: l’uomo che visse 18 anni nell’Aeroporto di Parigi

Un uomo senza passato, rinchiuso in una dimensione kafkiana di burocrazia e follia: Mehran Karimi Nasseri è il protagonista di una storia tanto assurda quanto incredibilmente reale.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Una vita, quella di Nasseri, o come voleva essere chiamato lui, Sir Alfred Mehran, che per diciotto anni si dipana in un non-luogo, un corridoio tra terra e cielo:

Il Terminal 1 dell’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi

Immagine di Saint Martin via Wikimedia Commons – licenza CC BY -SA 3.0

Nasseri è tutt’altro che un barbone, o un senzatetto che non sa dove rifugiarsi: ha sempre l’aspetto pulito e curato, legge libri e giornali, mangia al fast-food poco distante dalla panchina che in tutti quegli anni è stata la sua casa. Lì raccoglie le lettere e le cartoline che gli arrivano da tutto il mondo, i libri che qualche passeggero in transito gli regala, i vestiti che tiene in cartoni e valige, lì parla con i giornalisti incuriositi dalla sua storia, lì scrive il suo diario, meticoloso resoconto delle migliaia di giorni trascorsi ad aspettare.

Già, ad aspettare, ma cosa?

Non è facile districarsi tra le tante versioni che Nasseri ha dato nel corso degli anni per quella sua strana condizione di apolide, senza documenti, che non poteva stare in un altro posto se non quello, un non-luogo appunto. Quando poi finalmente potrebbe farlo, nel 1999, perché i suoi documenti sono arrivati, lui rifiuta di firmarli e se ne torna al Terminal 1, e ci resta fino all’agosto del 2006, quando si ammala e viene ricoverato in ospedale. Da quel momento la sua storia assume contorni più “normali”: dopo essere stato dimesso nel gennaio 2007, si fa carico di lui la Croce Rossa francese e a marzo trova rifugio in una casa di accoglienza.

Nasseri, nato in Iran (forse) nel 1943, dovrebbe aver avuto un’infanzia tutto sommato serena: suo padre è un medico che lavora per una compagnia petrolifera, ha diversi fratelli e sorelle (a quanto racconta Paul Berzgeller sul Guardian), si laurea a Teheran e poi, nel 1973 va alla Bradford University, nel Regno Unito, per specializzarsi in economia. Prima di partire per l’Inghilterra, la madre gli confessa che lui non è suo figlio, ma il frutto di un amore extraconiugale tra il padre e un’infermiera scozzese.

Nel 1976 torna in Iran, ma la polizia lo arresta per aver partecipato, a Londra, a delle manifestazioni contro lo scià Reza Pahlavi. Dopo aver trascorso tre mesi in carcere, il suo paese natale lo espelle. Inizia per Nasseri un lungo peregrinare attraverso diversi paesi (Francia, Germania,Belgio, Olanda, Gran Bretagna), dove si ripete sempre lo stesso copione:

Arresto, richiesta di asilo, espulsione

Dopo cinque anni, il 7 ottobre 1981, finalmente il Belgio riconosce la sua esistenza, e gli concede lo status di rifugiato politico. A quel punto, l’idea fissa di Nasseri è di stabilirsi in Gran Bretagna, per cercare la sua vera madre. Alla fine del 1984 prende un traghetto per Folkestone, ma all’arrivo non ha i documenti. Racconta che gli sono stati rubati, invece lui stesso li aveva inviati all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, a Bruxelles, sperando, con questa mossa, di non essere rispedito in Belgio.

Gli inglesi non si fanno commuovere, e a quel punto, di nuovo senza documenti, anche il Belgio gli chiude le porte. Dopo un paio di andirivieni tra gli aeroporti di Parigi e Londra, Nasseri finisce per qualche mese in carcere, in Francia. Quando lo rilasciano, se ne va nell’unico luogo che gli è familiare, il Terminal 1 dello scalo Charles De Gaulle, e una panchina rossa nell’area commerciale diventa la sua casa, all’incirca dalla seconda metà del 1988.

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Immagine di Docpi via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 3.0

Quell’uomo così garbato, sempre preso a leggere, studiare e scrivere, diventa il beniamino dei dipendenti dell’aeroporto, che all’inizio gli danno qualcosa per mangiare e per far lavare i suoi vestiti. Con il tempo, molta gente in transito si ferma a parlare con lui, e la sua storia intriga molti giornalisti. Sono loro che, negli ultimi anni, pagano Nasseri per qualche suo racconto. Diventa evidente che l’uomo ha qualche problema mentale: le storie divergono sempre, vuol essere chiamato Sir Alfred, una volta dice di essere di origine svedese, arrivato in Iran con un sottomarino.

Chi si prende la briga di andare a verificare la sua storia dell’espulsione dall’Iran, trova solo una debole traccia: nel 1970 Nasseri era stato interrogato, insieme a una ventina di studenti, durante delle proteste all’università di Teheran.

Comunque sia, la sua vicenda riscuote l’interesse di un avvocato francese che si occupa di immigrazione, Christian Bourget. Grazie a lui, nel 1992, la Francia acconsente a rilasciargli un permesso di soggiorno, previa presentazione della sua carta di rifugiato rilasciata dal Belgio. Peccato che a Bruxelles pretendono che sia Nasseri ad andarla a ritirare, di persona. Ma lui non può lasciare la Francia, perché non ha documenti: una situazione che Kafka avrebbe raccontato magistralmente. Dopo sette anni, a giugno del 1999, la vicenda sembra arrivare a una conclusione: Bourget accompagna Nasseri al tribunale di Bobigny, dove ci sono i suoi documenti, manca solo la sua firma.

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Ma no, non è la fine della storia. L’uomo si rifiuta di firmarli, perché lui non è l’iraniano Mehran Karimi Nasseri, è Sir Alfred Merhan, di padre svedese e madre danese.

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Se ne torna in aeroporto Sir Alfred, l’unica casa che ha, l’unico posto dove riesce a condurre una vita dignitosa, seppur sospesa in una dimensione di irrealtà, senza passato e senza futuro.

Nel 2003 il regista Steven Spielberg acquista i diritti sulla sua storia, e versa a Nasseri, nella banca dell’aeroporto, una somma (pare) di 250.000 dollari. In realtà, il film che esce nel 2004, The Terminal, poco ha a che fare con la storia dell’uomo iraniano ancora aggrappato a quella panchina rossa dell’aeroporto parigino. Aggrappato a una sicurezza che la libertà, quella di uscire fra gente sconosciuta e in un mondo che forse non gli appartiene più, probabilmente non gli offre. Finché non viene ricoverato in ospedale per una malattia sconosciuta, e da lì ricomincia la sua vita, ma non è lui, Sir Alfred, a sceglierla.


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