Maurizio Gucci: un Maledetto Omicidio di Lusso

Milano, 28 ottobre 1972. Gli amanti della cronaca rosa aspettano notizie e foto di quello che è il matrimonio dell’anno in Italia, quello tra Maurizio Gucci, giovane rampollo dell’omonima casa di moda, e Patrizia Reggiani, giovane di origini popolari, poi adottata dal marito della madre, l’imprenditore Ferdinando Reggiani. Giovanissimi, ventitré anni ciascuno, bellissimi e appartenenti a una delle famiglie più in vista d’Italia. Ciò che quel giorno non si poteva immaginare era l’epilogo tragico che avrebbe avuto quel matrimonio apparentemente da favola, epilogo degno di uno sceneggiato televisivo come Dallas, molto in voga pochi anni dopo.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Rodolfo Gucci – Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Il matrimonio era mal visto da Rodolfo Gucci, padre di Maurizio, che non presenziò alla cerimonia. Fu invece ampiamente apprezzato da Aldo Gucci, fratello di Rodolfo, che regalò alla coppia un appartamento di ottocento metri quadri sulla Fifth Avenue, a New York. Dal matrimonio tra Maurizio e Patrizia nacquero Alessandra nel 1976 e Allegra nel 1981. Nel frattempo, i fratelli Rodolfo e Aldo litigavano sulla gestione dell’azienda. Aldo creò una linea indipendente di profumi e tenne l’80% dei ricavati per sé e i figli. Nel 1983 Rodolfo morì e Maurizio divenne erede della parte del padre, diventando così il maggior azionista di Gucci.

Aldo Gucci -Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Intanto, Aldo continuò la faida con il figlio Paolo, il quale tentò di lanciare una linea indipendente usando il nome Gucci, e per questo venne querelato dal padre. Quando Maurizio divenne il maggior azionista, Paolo chiese aiuto al cugino per buttare fuori dall’azienda il padre Aldo, denunciandolo anche al Fisco statunitense per un’evasione di circa sette milioni di dollari. Aldo venne così arrestato e rimase in carcere per circa un anno. Nel 1989 rientrò a Roma, dove morì l’anno dopo per un cancro alla prostata, e decise di vendere la sua parte delle azioni Gucci all’Investcorp, come conseguenza alla nomina del nipote Maurizio a presidente della compagnia, dopo circa sei anni di faida familiare per il controllo dell’azienda.

Maurizio Gucci – Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Maurizio, però, non aveva né conoscenza né esperienza nel settore finanziario, tanto che la casa di moda si trovò in gravi difficoltà economiche. Anche la vita privata di Maurizio era vicina al tracollo: il matrimonio con Patrizia Reggiani non era idilliaco come si era prospettato il giorno delle nozze.

Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani – Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

I due si separarono nel 1985, anno in cui Maurizio lasciò la famiglia per trasferirsi a Firenze, dove cominciò una relazione con una donna più giovane, Paola Franchi. Questo evento scatenò la gelosia di Patrizia. Nel 1994 i due divorziarono, arrivando a un accordo che prevedeva il pagamento di un miliardo e mezzo di lire all’anno per Patrizia. Nel 1995 Maurizio ufficializzò la sua relazione con Paola Franchi, portandola a vivere nell’appartamento a Piazza San Babila a Milano, dove aveva vissuto con Patrizia, che nel frattempo continuava a usare il cognome Gucci, nonostante le fosse stato vietato dall’accordo di divorzio, dichiarando di “sentirsi la più Gucci di tutti”.

Il 27 marzo 1995, Maurizio uscì dal suo appartamento e si recò in ufficio, in via Palestro 20. Salì pochi scalini e salutò il portinaio, Giuseppe Onorato. Dietro Maurizio arrivò un uomo. Come raccontò successivamente Giuseppe Onorato:

Arriva il dottor Gucci. Lo saluto, è elegantissimo come sempre. Sale sette gradini fino alla porta a vetri, che avevo aperto per pulire. Dietro di lui entra un uomo, altrettanto elegante, abbronzato con un giaccone di cammello. Sembrava un altro dottor Gucci, insomma nulla che facesse presagire qualcosa… senonché apre la giacca e io rammento perfettamente queste mani enormi da cui spunta solo il silenziatore di una pistola. Era davvero come un film, pensavo a uno scherzo, non c’era niente di vero. Invece spara i colpi, poi si gira, mi vede. Sgrana gli occhi, come se non se l’aspettasse, e spara anche a me. Io alzo un braccio istintivamente, sento qualcosa, poi mi siedo sui gradini. Pensavo, giuro, che a quel punto dovessi morire, proprio come in un film”.

Maurizio venne colpito due volte alla schiena, una volta al gluteo e una volta alla tempia, colpo che gli fu fatale. Onorato venne colpito al braccio sinistro, senza subire particolari conseguenze. L’assassino, dopo aver portato a termine il suo compito, scappò via, salendo a bordo di una Renault Clio verde dove lo aspettava il complice. Sul posto arrivarono le forze dell’ordine, e quella mattina era di turno il pubblico ministero Carlo Nocerino. Le indagini si concentrarono immediatamente sul patrimonio familiare, che portò a una faida intestina riportata sui giornali scandalistici.

Come già detto, nel 1990 Maurizio era stato nominato presidente dell’azienda, ma, essendo incapace di gestirla, nel 1993 vendette le sue azioni all’Investcorp, la stessa società a cui Aldo, lo zio di Maurizio, aveva già venduto la sua parte di azioni. L’Investcorp riuscì quindi ad avere il totale controllo sull’azienda, buttando fuori la famiglia toscana. Subito dopo questa vendita, Maurizio fondò una nuova società, la Viersee, che nel 1995 aveva in progetto l’apertura di un casinò a St. Moritz e di un porto turistico a Palma di Maiorca. Le indagini finanziarie portarono alla luce debiti in giro per il mondo, ma niente di realmente utile per risolvere l’omicidio. Per circa due anni il lavoro degli investigatori non portò a nulla.

Una mattina del 1997, Filippo Ninni, capo della Criminalpol milanese, ricevette una telefonata: l’interlocutore era Gabriele Carpanese, il quale raccontò nei particolari di essere diventato molto amico con Ivano Savioni, portiere di un albergo di infima categoria in via Lulli, il quale si lamentava del fatto che non aveva ancora ricevuto il compenso pattuito per l’omicidio di Maurizio Gucci. Ninni decise di affiancare a Carpanese un poliziotto di madrelingua spagnola, che sarebbe stato presentato come un narcotrafficante sudamericano con alle spalle non meno di centoventi omicidi. Riuscì a convincere Savioni, che gli raccontò l’omicidio in ogni particolare.

A seguito della scoperta di questa nuova pista si cominciarono a ricostruire tutti gli indizi che portavano a patrizia Reggiani, ma che fino ad allora erano rimasti ignorati. Da una delle sue cameriere al proprietario di una rosticceria al centro di Milano, erano tante le persone che potevano testimoniare di aver udito almeno una volta Patrizia Reggiani chiedere

Ma c’è qualcuno che ha il coraggio di ammazzare mio marito?

Ma nessuno la prese mai sul serio, tranne una persona. Giuseppina Auriemma, di Somma Vesuviana, era stata proprietaria di due boutique, una a Portici e l’altra a Napoli, e si dilettava a Milano a fare la maga, cosa che la avvicinò molto a Patrizia Reggiani, tanto da diventare la sua confidente. La Criminalpol cominciò a tenere sotto controllo le reti telefoniche delle due donne, e riuscì a intercettare una telefonata tra la Auriemma e Savioni, subito dopo che Ninni annunciò una proroga delle indagini in corso: “Sò svenuta in coppa a ‘o giornale quando ho letto che l’inchiesta prosegue”.

Savioni riuscì a tranquillizzarla, e lei chiuse la telefonata così: “Dammi retta, Ivà: se non facciamo qualche cazzata, non ci piglieranno mai”. Purtroppo per loro la “cazzata” l’avevano già fatta. Gli investigatori ricostruirono la vicenda molto in fretta: Patrizia Reggiani aveva incaricato Pina Auriemma di trovare un killer; la Auriemma si era messa in contatto con Savioni, il quale aveva incaricato Orazio Cicala, sommerso dai debiti di gioco, che a sua volta si era rivolto a Benedetto Ceraulo, siciliano di trentacinque anni.

Fu rubata un’automobile per commettere l’omicidio, ma, la sera prima del giorno prestabilito, questa era stata lasciata in sosta vietata e rimossa dai vigili urbani. Cicala aveva preso dunque in prestito la Renault Clio verde del figlio. La cifra totale pattuita per l’omicidio fu di seicento milioni di lire così suddivisa: cinquanta milioni per l’Auriemma, cinquanta per Savioni, trecentocinquanta per Cicala che stava scontando una pena per droga in carcere, centocinquanta per Ceraulo che però non vide mai una lira. Inoltre, il giorno dell’omicidio Patrizia Reggiani si era presentata a casa dell’ex marito, intimando a Paola Franchi di lasciare l’appartamento, lasciando tutto, compresi gli abiti di Maurizio, al loro posto, e il giorno dopo Patrizia si era trasferita nell’appartamento con le figlie. A Paola non venne permesso nemmeno di partecipare al funerale. Fu Ninni stesso a presentarsi all’appartamento di San Babila per arrestarla, e quando le consigliò di lasciare la pelliccia di visone e i gioielli a casa, Patrizia rispose candidamente: “La mia pelliccia e i miei gioielli vanno dove vado io”.

Patrizia Reggiani il giorno del suo arresto – Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

La combriccola venne giudicata durante un solo processo, ma le condanne furono diverse: la Reggiani e Cicala, rispettivamente mandante e autista dell’assassino, si videro comminati ventinove anni di detenzione; Ceraulo, l’esecutore materiale, fu condannato all’ergastolo; l’Auriemma, accusata di favoreggiamento, ebbe venticinque anni; Savioni, l’organizzatore dell’omicidio, ebbe ventisei anni. Il PM che seguì il processo fu Carlo Nocerino, il quale, durante la requisitoria, riuscì a sintetizzare molto bene la situazione:

Ho pensato molto anche a quella morte assurda e incredibile. La morte di un uomo che mai nessuno, qui, ha tratteggiato con luce chiara. Quell’uomo è stato ammazzato perché Orazio Cicala voleva i soldi da giocare al casinò; Benedetto Ceraulo voleva portare la figlia in una casa più grande; Ivano Savioni per pochi spiccioli; Pina Auriemma per poter continuare ad essere la dama di compagnia che era. Ecco, queste sono le ragioni per le quali è morto Maurizio Gucci”.

Patrizia Reggiani e Pina Auriemma, le due organizzatrici del delitto, si accusarono a vicenda di essere state la mente dell’omicidio: la Reggiani disse che aveva promesso all’Auriemma due miliardi di lire se si fosse presa la colpa di questo “regalo” che le aveva preparato; di contro, l’Auriemma confessò di essersi convinta a organizzare tutto solo perché la Reggiani le promise di addossarsi tutte le colpe. Gli avvocati della Reggiani tentarono di ribaltare la situazione a loro favore, ricollegandosi a un intervento del 1991 per la rimozione di un tumore al cervello, e le conseguenti cobaltoterapie avevano reso la loro assistita “incapace di intendere e di volere, e soprattutto incapace di organizzare un delitto”.

Questa nuova dichiarazione fece diminuire a ventisei anni la condanna della Reggiani, di cui ne scontò diciassette a San Vittore, e nel 2014 uscì per finire di scontare la sua la pena con i servizi sociali. Di San Vittore la Reggiani disse: “Victor’s Residence lo chiamo io, mi sono trovata benissimo lì, sono stati anni di pace: dormivo, mi lavavo e scendevo giù in giardino, avevo un trattamento speciale”.

Tornando al caso Gucci, anche Pina Auriemma e Ivano Savioni uscirono prima del termine previsto dalla pena, mentre Cicala morì in carcere e Ceraulo è ancora rinchiuso in carcere. Quando Patrizia uscì da San Vittore si riaccesero le liti familiari, stavolta con le figlie Alessandra e Allegra. Durante i primi anni del processo, entrambe dichiararono:

Se noi avessimo avuto il minimo dubbio del fatto che la mamma non fosse innocente, o comunque sapessimo che la mamma veramente fosse la mandante di quello che è successo, sicuramente non l’avremmo difesa come la stiamo difendendo adesso”.

Durante il processo, le figlie ereditarono il patrimonio di Maurizio Gucci, e ascoltando le accuse, si allontanarono dalla madre. Quando Patrizia uscì, pretese che le figlie, eredi universali, rispettassero gli accordi del divorzio stipulati con l’ex marito. Con la rivalutazione in euro, si trattava di pagare alla madre un vitalizio pari a un milione di euro all’anno. Il pomo della discordia fu anche il veliero Creole.

Il Creole – Immagine di Liliane Paingaud via Wikipedia condivisa con licenza CC-BY 3.0

Il veliero, o più correttamente goletta, Creole, considerato il più bello al mondo, ha un passato torbido degno dell’omicidio DI Maurizio Gucci. Venne varato nel 1927 con il nome Vira per Alexander Smith Cochran, e il suo primo viaggio fu da Gosport, vicino Portsmouth, a Montecarlo, con un equipaggio di ventuno uomini. Dimostrò anche la sua eccellente fattura tecnica stabilendo diversi record già al primo viaggio. L’anno successivo, nel 1928, venne comprato dal maggiore Maurice Pope del Royal Yatch Squadron, e venne rinominato Creole. Nove anni dopo, nel 1937, venne acquistato da Sir Connor Gutrie, marinaio di lungo corso, il quale riportò il Creole allo splendore originario, eliminando le modifiche apportate dal proprietario precedente.

Durante la guerra, l’imbarcazione venne impiegata dalla Royal Navy come dragamine e venne rinominata Magic Circle. Dopo la guerra, nel 1947, venne restituita a Sir Connor Gutrie, che la lasciò in disarmo. L’anno dopo, nel 1948, l’armatore greco Stavros Niarchos vide l’antica bellezza nel relitto che si trovò davanti, acquistò la goletta e la fece trasferire a Kiel per il restauro. Dopo spese folli, i lavori di restauro resero l’imbarcazione lo yacht più bello, più grande e più lussuoso del mondo.

Niarchos lo utilizzò per crociere extra lusso nel Mediterraneo, ospitando reali, capi di stato e importanti industriali. Purtroppo, nel 1970, la moglie di Niarchos, Eugene Livanos, fu trovata morta sull’imbarcazione a seguito di un’overdose di barbiturici. Niarchos non ne volle più sapere del Creole. Nel 1977, il governo danese notò l’imbarcazione e, ispirandosi all’Amerigo Vespucci della Marina Militare Italiana, decise di comprarla per trasformarla in una nave scuola. L’avventura in Danimarca durò molto poco: nel 1983, sei anni dopo l’acquisto da parte del governo danese, l’imbarcazione era di nuovo in stato di abbandono e prossima alla demolizione. Fu allora che Maurizio Gucci vide la bellezza del veliero sotto strati di incuria nella quale versava. Patrizia se ne innamorò e lo chiese in regalo al marito. Una volta acquistata la goletta venne affidata alle cure dello Studio di Architettura Navale Giorgetti&Magrini di Milano, che dopo il restauro ridiede alla goletta il titolo di yacht più bello del Mediterraneo. Dopo la morte di Maurizio, la goletta passò alle figlie Alessandra e Allegra, che la possiedono ancora oggi.

Tornando al momento della scarcerazione di Patrizia Reggiani, reclamava alle figlie l’utilizzo dello yacht almeno un mese all’anno, così come la villa di St. Moritz. Nonostante le figlie si rifiutassero, la Corte di Cassazione diede ragione alla Reggiani, appellandosi al parere dei giudici risalente al 1993, anno del divorzio: “vi era “un’indubbia volontà delle parti a correlare la tutela dell’interesse di Patrizia Reggiani con i tempi successivi alla fine della vita di Maurizio Gucci. L’assegno, che sostituiva quello di divorzio, evitava per la Reggiani il rischio che l’ex coniuge chiedesse la revisione degli alimenti e si cautelava in caso di morte dell’obbligato”. Come se già il mantenimento annuale non bastasse, le figlie furono obbligate a risarcire la madre anche degli arretrati, pari a ventisei milioni di euro.

Da questa vicenda è tratto il film House of Gucci, produzione hollywoodiana che tenta di ricostruire il matrimonio di Patrizia e Maurizio, un matrimonio all’apparenza da favola, ma in realtà complicato e segnato dai vizi del lusso, che sembra uscito da una soap opera tanto in voga proprio in quegli anni ’80 e ’90.

Sotto, il trailer del film House of Gucci del 2021 con Lady Gaga e Adam Driver:


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