Matteo Ricci: il gesuita che aprì le porte della Cina

Il 19 aprile 1984 la Chiesa Cattolica nomina un nuovo servo di Dio. Si tratta di Padre Matteo Ricci, vissuto tra il XVI e il XVII secolo. Sacerdote Gesuita sconosciuto ai più in Italia, è in realtà una figura molto importante per la diffusione della fede cattolica, della scienza occidentale e per la creazione di un ponte culturale stabile tra l’impenetrabile Celeste Impero della dinastia Ming e gli stati europei.

Grazie ai suoi studi, Matteo Ricci è infatti considerato il primo Sinologo della storia ed è stato inoltre il primo a comprendere che il Catai raccontato da Marco Polo nel suo libro “Il Milione” non era altro che la Cina.

Nasce a Macerata il 6 ottobre del 1552, da una nobile e benestante famiglia locale, cosa che gli consente di trascorrere un’infanzia serena e privilegiata. All’età di 8 anni inizia il suo percorso di studi presso il Collegio dei Gesuiti della sua città, che si concluderà 5 anni dopo, nel 1566. Nel corso di questo periodo si dimostra uno studente molto dotato e brillante in tutte le discipline.

Terminata questa prima fase di istruzione, nel 1568, il padre di Matteo decide di inviare il figlio a Roma, presso il Collegio Romano, per fargli studiare giurisprudenza, con l’obiettivo di consolidare la posizione familiare all’interno del sistema amministrativo dello Stato Pontificio.

Il giovane Matteo Ricci non si dimostrò molto convinto della scelta paterna decidendo, a 19 anni, di abbandonare gli studi in legge e seguire la propria vocazione divenendo Gesuita all’interno della Compagnia di Gesù, ordine religioso fondato da Ignazio di Loyola a Parigi nel 1534. Compie così il grande passo, entrando nel 1571 nel Collegio di Sant’Andrea al Quirinale.

Quelli vissuti da Ricci furono anni di grande fermento ed evoluzione scientifico/culturale (ricordiamo che tra i suoi contemporanei vi furono, tra gli altri, Galileo Galilei e Keplero). Nel secolo precedente, durante il Rinascimento, l’Italia era tornata prepotentemente al centro della cultura e della produzione artistica Europea, le grandi scoperte geografiche avevano aperto nuove rotte commerciali e la scienza aveva fatto dei passi da gigante. Le potenze Europee miravano, nel bene e nel male, ad espandere i propri domini, entrando in contatto con civiltà sconosciute e lontane culturalmente.

Celebre disegno raffigurante Matteo Ricci e il suo amico Mandarino Hsu Guanqui (battezzato Paolo)

In questo clima di queste grandi evoluzioni e scoperte geografiche, la Chiesa promuoveva con interesse le missioni finalizzate alla conversione delle popolazioni pagane che abitavano terre fino ad allora sconosciute, e i Gesuiti si trovarono in prima linea.

A differenza di quello che l’immaginario collettivo può far pensare in merito alla vita dei religiosi dell’epoca, i Gesuiti diedero molta importanza allo studio, non solo della dottrina Cattolica e delle Sacre Scritture, ma anche di materie scientifiche, quali la matematica, l’astronomia e la geografia, di cui divennero grandi conoscitori, dimostrando una grande apertura mentale.

Nel periodo di studio a Roma, anche il giovane Matteo Ricci si dedicò quindi, con grandissimi risultati, allo studio di tali discipline. Ebbe per un certo periodo come professore Padre Alessandro Valignano, che nel 1573 sarebbe stato nominato “Visitatore Generale” delle missioni delle Indie Orientali (in pratica responsabile delle missioni in India, Malacca, Cina e Giappone). Probabilmente, fu grazie all’incontro con il Valignano che nel cuore del giovane Matteo si fece strada il desiderio di dedicarsi all’attività missionaria in Asia.

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Terminati gli studi, nel 1577 viene destinato alle missioni d’Oriente. Come sognato, avrebbe quindi dedicato la propria vita alla diffusione della fede Cattolica.

In compagnia di altri confratelli, si trasferisce quindi a Coimbra, in Portogallo, in attesa di salpare alla volta della colonia portoghese di Goa, in India, partenza che sarebbe avvenuta l’anno successivo.

Da abile studioso qual era, approfittò di questo periodo di attesa per studiare anche la lingua e la cultura portoghese.

Il 24 Marzo 1578 è il grande giorno: Si imbarca alla volta dell’Asia.

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Al momento della partenza aveva 25 anni e, da quanto si evince dalle lettere spedite ai familiari, si rendeva conto che molto probabilmente non avrebbe mai più rivisto l’Europa

Il 13 settembre dello stesso anno, dopo circa 6 mesi di navigazione accidentata, raggiunse la colonia portoghese di Goa, in India, dove soggiarna per poco meno di 4 anni, fino al 1582. Durante questo periodo prosegue i suoi studi teologici, venendo ordinato sacerdote (1580) e insegna lettere classiche nei collegi di Goa e Cochin (l’attuale Kochi).

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In quegli anni la Compagnia di Gesù si pone come obiettivo l’istaurazione di una missione permanente in uno degli imperi più potenti e progrediti, ma allo stesso tempo difficilmente penetrabile ai forestieri: l’Impero cinese, all’epoca retto dalla dinastia Ming (1368 – 1644).

Questo straordinario Impero fu fondato nel 221 a.C. da Ying Zheng, sovrano dello stato di Qin, uno dei tanti regni che costituiva la Cina dell’epoca. Zheng, dopo sanguinose guerre, riuscì ad assoggettare tutti gli altri regni, assumendo per sé il titolo di “Qin Shi Wang Di”, cioè Primo Imperatore della Dinastia Qin.

Statua di Matteo Ricci a Macau, fotografia di AwOiSoAk KaOsIoWa condivisa con licenza Creative Commons 3.0 via Wikipedia:

La sua Casata, che, secondo gli indovini dell’epoca avrebbe dovuto regnare su “Tutto ciò che si estende sotto il cielo” (termine con cui si identificava la Cina) per 10.000 anni, non sopravvisse a lungo dopo la sua morte, avvenuta nel 210 a.C.

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Suo figlio Qin Er Shi Huangdi, infatti, non riuscì ad evitare le numerose ribellioni che scoppiarono alla morte del padre e nel 207 a.C., venendo assassinato. Con lui cessò di esistere la Dinastia Qin, ma non la struttura dell’Impero unificato.

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Quello che accadde subito dopo, non fu infatti lo smembramento dell’Impero come ci si poteva aspettare; la dinastia Qin venne sostituita da una nuova, chiamata Han, la quale avrebbe regnato per i successivi 4 secoli.

Nel corso della Storia Cinese si sarebbero verificati molti altri avvicendamenti dinastici (generalmente a seguito di ribellioni), mantenendo però l’unità e la struttura dello Stato. L’ultima dinastia a regnare sul Regno di Mezzo (altro nome per riferirsi alla Cina), fu quella dei Ching (1644 – 1912).

All’epoca dei fatti di cui stiamo narrando, la Dinastia Ming controllava il Paese, che era di fatto uno dei più ricchi e tecnicamente avanzati del mondo, ma terribilmente sospettoso da tutto ciò che proveniva da fuori dei suoi confini (era frequente riferirsi agli europei con termini del tipo “i diavoli stranieri”, “barbari venuti dal mare” etc.).

Il cuore di questo vasto impero era il Sovrano che abitava nella sua capitale Pechino, nel nord del Paese. Si riteneva avesse natura divina (a lui ci si riferiva come Figlio del Cielo). La burocrazia di tale immenso territorio era gestita da migliaia di funzionari (i mandarini), i quali accedevano alle cariche pubbliche tramite dei concorsi pubblici annuali basati sugli studi delle opere di Confucio, uno dei più grandi filosofi cinesi, il quale aveva descritto il modo di governare in armonia con la morale e la natura divina del potere.

Questo tipo di sistema burocratico molto avanzato (e meritocratico nei periodi in cui la corruzione non prendeva il sopravvento), era stato introdotto addirittura alla fine del VI sec. d.C.

Nel 1582 Matteo riceve l’ordine di recarsi a Macao, piccola città fondata su concessione dell’Imperatore Ming, dai Portoghesi nel 1552, in un lembo di terra nel sud Est della Cina (alla foce del Fiume delle Perle). Suo sarebbe stato il compito di penetrare nell’Impero e fondare una missione stabile.

Secondo le direttive del Padre Valignano, i missionari avrebbero dovuto “farsi cinesi tra i cinesi” e Matteo Ricci si dedicò fin da subito negli studi della complicata lingua cinese, in attesa di entrare nel territorio dell’Impero Ming.

Nel settembre del 1583, il Gesuista di Macerata, in compagnia del confratello Michele Ruggeri, otteniene l’autorizzazione da parte dei mandarini locali a trasferirsi nella cittadina di Zhaoqing, località ad ovest di Canton, a circa 100 Km da Macao.

I due Gesuiti, ipotizzando erroneamente che le figure dei sacerdoti delle dottrine locali venissero tenute in alta considerazione, come accadeva in Europa per i prelati, decisero di radersi il capo e di abbigliarsi come Bonzi.

Presentandosi quindi in queste vesti ai funzionari di Zhaoqing, Ricci e Ruggieri dichiararono di voler unicamente adorare il Signore dei Cieli senza arrecare alcun danno all’Imperatore Ming, di cui si dichiaravano sudditi.

I funzionari, un po’ confusi vedendo stranieri vestiti come bonzi, ma non ravvisando alcun pericolo, accordarono l’autorizzazione, facendo soggiornare i 2 bonzi “barbari” presso un tempio Taoista. Purtroppo, emersero fin da subito le differenze tra le dottrine ed i 2 missionari entrarono in contrasto con i sacerdoti locali, che secondo Ricci, avevo uno stile di vita “poco spirituale”.

Matteo Ricci si recò quindi nuovamente presso il viceré, per spiegare la propria posizione e chiedere la concessione di un piccolo appezzamento di terra dove costruire una chiesa e adorare il proprio Dio.

Il viceré concesse loro uno spazio dove costruire il proprio edificio e abitare. La chiesa, fu costruita in stile occidentale nel giro di 2 anni.

Era così nata la prima missione cattolica stabile in Cina

Nel frattempo, il Ricci, consapevole dell’importanza della conoscenza della lingua, della cultura e degli usi locali per la diffusione della dottrina cristiana in Cina, continuò a studiare per migliorarsi e dare modo alla missione di progredire. Durante la permanenza a Zhaoqing avvennero le prime conversioni (anche se non molto numerose) tra la popolazione.

I Gesuiti si resero conto di come fosse difficile poter diffondere il credo Cristiano e fare proselitismo tra una popolazione le cui attività quotidiane erano scandite da rituali semireligiosi (dettati dallo stato) apparentemente incompatibili con il cristianesimo, a cui tutti dovevano partecipare, indipendentemente dalla propria fede.

Il principale di esso, su cui si basava la vita di tutte le famiglie cinesi, era il così detto “culto degli antenati”. Ogni famiglia cinese era obbligata a rendere omaggio a i propri antenati in certi periodi dell’anno o anche in caso di matrimonio. Anche i convertiti al cristianesimo era fatto obbligo dallo stato di rispettare tali rituali.

Queste pericolose e insormontabili differenze tra il cristianesimo e le tradizioni locali, preoccuparono molto il Ricci. Tramite i propri rapporti annuali, quest’ultimo cercò di spiegare al Pontefice che erano da considerarsi come rituali civili e non propriamente religiosi, che al massimo si avvicinavano alle preghiere ai defunti della Chiesa Cattolica. Pertanto, a suo avviso, non vi era alcuna blasfemia se i neo convertiti avessero continuato ad eseguirli.

Per il momento la missione era salva, anche se il dibattito sui riti cinesi andò avanti per oltre un secolo e mezzo, fino alla metà del XVIII secolo, quando Papa Benedetto XIV li dichiarò blasfemi e contro la dottrina. La reazione dell’Imperatore Cinese fu la cacciata di quasi tutti i Gesuiti, interrompendo così bruscamente la diffusione della fede Cristiana in Cina.

Giunto in terra Cinese, per Ricci fu fondamentale mostrare e mettere a disposizione dell’Impero i prodigi del progresso scientifico europeo. Sfruttando le conoscenze acquisite in anni e anni di studi diede vita ad un’opera cartografica di grandissima importanza e forte impatto emotivo:

La carta geografica chiamata “Grande Mappa dei Diecimila Paesi”

Era la prima volta che i cinesi vedevano una riproduzione del mondo reale, che mostrava una Cina decisamente ridimensionata rispetto al resto del Mondo. Secondo gli abitanti del Regno di Mezzo, il mondo era quadrato ed il cielo rotondo, di dimensioni più piccole. Tutto ciò che si estendeva sotto il cielo, e che beneficiava quindi degli influssi di esso, era il Celeste Impero, il resto il mondo barbaro, non degno di considerazione.

Grazie a questa prima opera alcuni mandarini si dimostrarono curiosi di interagire con le scienze europee, guardando con interesse ai Gesuiti e al loro sapere.

Naturalmente non tutti i cinesi della zona presero bene questa nuova visione del mondo presentata dai “barbari”. Per loro era la prova che i gesuiti erano dei sovversivi entrati nell’Impero con l’obiettivo di distruggerlo.

Inoltre, la fede professata dagli europei era molto distante dalle abitudini locali e quindi il sospetto nei loro confronti non faceva che aumentare.

Tutto questo rendeva insicuro il futuro della missione in terra cinese. Le manifestazioni di insofferenza della popolazione, che accusarono i Padri di stregoneria (accuse fomentante spesso anche dai monaci taoisti e buddhisti locali, che vedevano nella fede cristiana una rivale) sfociarono purtroppo anche in atti violenti come il lancio di pietre contro la chiesa locale.

La situazione a Zhaoquing si fece talmente pesante che nel 1589 il viceré fu costretto ad espellere i missionari, i quali riuscirono a trasferirsi a Shaozhu, più a nord, dove, sempre guidati da Ricci, fondarono una nuova residenza missionaria.

Qui avvenne una svolta importante per il futuro della diffusione del cristianesimo in Cina: l’incontro con lo studioso confuciano, Chu Tai Shu, di cui Ricci divenne grande amico.

Lo studioso cinese, incuriosito dalla scienza occidentale, chiese al Gesuita di insegnargli i rudimenti della matematica occidentale. Naturalmente il sacerdote accettò di buon grado.

Grazie a Chu Tai Shu, Ricci approfondì gli studi e la conoscenza della filosofia confuciana, perno dell’Impero e della complicata struttura statale cinese, fondamentale per poter presentare in maniera corretta la dottrina Cristiana.

Chu Tai Shu spiegò inoltre ai gesuiti che commettevano un grave errore nel vestire come bonzi, in quanto questi ultimi, a differenza dei preti in Europa, erano presi in scarsa considerazione dalla popolazione, che li vedeva come parassiti.

Degni di rispetto invece erano i mandarini, i quali, grazie ai loro anni di studio sui testi filosofici, erano i detentori della cultura e del sapere del Celeste Impero.

Secondo Chu Tai Shu, i gesuiti avrebbero dovuto comportarsi come letterati, in quanto portatori del sapere occidentale e degni studiosi delle materie cinesi. Per poter conquistare il popolo cinese, il missionari dovevano puntare a convertire la classe dirigente.

Matteo Ricci accolse con grande felicità i consigli del suo amico e decise quindi di cambiare abbigliamento, indossando quindi tuniche e copricapo dei letterati, mettendo al servizio del potente Imperatore Ming le conoscenze occidentali.

Per ottenere maggiore rispetto, Ricci adottò un nome cinese. D’ora in poi sarebbe stato conosciuto come “Li Madou”.

Sempre più padrone della lingua e della filosofia locale, la sua fama tra la classe dirigente locale crebbe notevolmente. Il suo sapere lo rendeva degno di rispetto e furono molti i mandarini e letterati che, nel corso degli anni, si recarono presso la sua residenza per discutere con lui di filosofia, religione e scienza.

Nonostante questi grandi risultati, la Cina rimaneva comunque un Paese ostile ai “barbari” e anche a Shaozhu i gesuiti vi erano numerosi nemici che non accettavano il loro modo di porsi.

Moltissime furono le false accuse di stregoneria da cui dovettero difendersi.

Nel corso del 1592 la residenza dei Gesuiti viene addirittura assalita, non si sa se da ladri o da cinesi intransigenti, e Ricci si ferisce seriamente ad un piede. La conseguenza di tale evento fu che il prelato avrebbe zoppicato per il resto della sua vita.

Senza mai lasciarsi scoraggiare, nel 1593 Li Madou inizia a scrivere il “Catechismo” in lingua cinese, una sorta di manifesto della fede cristiana, da diffondere soprattutto tra la classe colta.

Nel corso di questi primi 10 anni in terra cinese, il numero di convertiti non raggiunse mai cifre elevate, ma la presenza fissa di gesuiti nel territorio e l’aver costituito alcune missioni ufficiali, rendevano senza dubbio il decennio appena trascorso incredibilmente positivo, che faceva ben sperare per il futuro.

Fin dall’inizio, le speranze, o meglio i sogni di Ricci lo vedevano raggiungere Pechino, la capitale e fondare la residenza principale della missione cattolica in Cina.

Improvvisamente, nel 1594 questo sogno sembrò vicino alla sua realizzazione.

In quegli anni la Cina era coinvolta in una guerra per difendere la Corea, suo stato vassallo, invasa dagli aggressivi Samurai Giapponesi. Al mandarino di alto rango Shi Lou, estimatore ed amico del Ricci, venne ordinato di recarsi nella capitale per discutere della situazione militare. Il mandarino invitò il Gesuita ad unirsi al suo seguito.

Al maceratese ovviamente non sembrava vero di poter intraprendere questo viaggio ed accettò di buon grado.

Purtroppo però i tempi non erano ancora maturi e la sfortuna ci mise il suo zampino. Durante la navigazione lungo il Canale Imperiale, alcune chiatte che facevano parte del seguito del Mandarino Shi Lou, fecero naufragio e Ricci rischiò seriamente di affogare.

Shi Lou ritenne questo avvenimento un segnale negativo del cielo e ritenne quindi sconveniente far proseguire il viaggio al Gesuita fino alla capitale. Il Mandarino decise quindi di proseguire da solo, invitando il sacerdote a tornare indietro.

Ricci, rattristato, si recò quindi a Nanchang dove fondò una nuova residenza e venne comunque accolto con cortesia da diversi mandarini, desiderosi di conoscere il letterato straniero.

Durante la permanenza a Nanchang, Matteo si dedica anche alla composizione di un saggio filosofico, ovviamente in cinese, intitolato “Dell’amicizia”. Quest’opera, scritta con l’obiettivo di avvicinare fraternamente l’occidente alla Cina, verrà apprezzata notevolmente dai letterati locali.

Nel 1597, visti gli ottimi risultati e prestigio ottenuti da Ricci, la Compagnia di Gesù lo nominò “Superiore della missione cinese”.

Un altro incredibile passo verso l’obiettivo finale venne percorso l’anno successivo. Ricci, al seguito del Ministro dei Riti Wang Zhongming, raggiunse per la prima volta il cuore dell’Impero Ming, entrando a Pechino.

Il fato però aveva evidentemente un disegno differente: Ricci fu costretto a lasciare la capitale dopo pochi mesi, a causa della guerra che continuava ad imperversare in Corea. A causa del conflitto, tutti gli stranieri erano visti come potenziali spie giapponesi, e la presenza del gesuita nel cuore dell’Impero era considerata inappropriata, se non addirittura pericolosa.

Ricci quindi a malincuore abbandona l’agognata Pechino per trasferirsi a Nanchino, la “Capitale del Sud” dove proseguì con la sua opera missionaria. Durante il suo soggiorno, perfezionò il dizionario Portoghese – Cinese, il primo della storia, su cui stava lavorando da anni.

La sua fama di sapiente tra i mandarini (alcuni dei quali convertiti al cristianesimo), raggiunse comunque la capitale, superando anche le alte mura della Città Proibita, giungendo direttamente alle orecchie dell’Imperatore Wan Li (che regnò tra il 1572 e il 1620). Il sovrano, dimostrò immediatamente molto interesse e curiosità nei confronti del Gesuita.

Consigliato dai mandarini a lui vicino, Ricci decise di appellarsi direttamente all’Imperatore e, con l’aiuto di alcuni letterati, presentò un memoriale presso la Corte chiedendo udienza per consegnare doni provenienti dall’Occidente e rendere omaggio al Sovrano come fedele suddito.

Wan Li, ricevuta la richiesta, incredibilmente accordò immediatamente l’udienza al Gesuita italiano che si mise in viaggio nel 1600, portando con sé ricchi doni provenienti dall’Europa, tra cui orologi meccanici, strumenti musicali, la mappa del mondo aggiornata e dipinti raffiguranti il Cristo e la Vergine Maria.

Nonostante fosse stato l’Imperatore in persona ad autorizzare il viaggio del Gesuita, le difficoltà non erano terminate. Il potente eunuco Ma Tang, avido e stretto consigliere del sovrano, fece arrestare il gesuita appena giunto nella capitale che fu richiuso in una prigione di Tianjin (la moderna Tiensin, vicino a Pechino).

Ancora una volta, l’imperatore intervenne a favore del Ricci. Wan Li, venuto a conoscenza della prigionia del sacerdote e del suo seguito, emise un decreto il 24 gennaio 1601 ordinandone la scarcerazione e autorizzandolo a recarsi presso la Città Proibita per presentare i doni.

Fu così che Li Madou potè varcare le porte della Città Proibita e prostrarsi davanti al trono del Sovrano. Ricci non incontrò mai personalmente il sovrano, ma il fatto di essere stato accolto a corte era il segno della benevolenza dell’Imperatore Wan Li del gesuita, che fu preso così sotto la sua ala protettiva.

Secondo alcune voci, il Sovrano, il giorno della cerimonia di presentazione dei doni, avrebbe comunque osservato il Gesuita, nascosto da un paravento.

Wan Li, come segno di stima nei confronti del saggio Gesuita, donò alla Compagnia di Gesù un pezzo di terra nelle vicinanze del Palazzo Imperiale, dando la sua autorizzazione alla costruzione di una chiesa. Il tutto era a carico dell’erario imperiale.

Le conoscenze scientifiche che i gesuiti portarono a Pechino furono di fondamentale importanza per la pubblicazione del calendario annuale dei riti.

Secondo le credenze locali, la stabilità dell’impero cinese si fondava su antichi rituali basati sul movimento delle stelle e sulle previsioni di eclissi. Era pertanto necessario preparare ogni anno un calendario che prevedesse con precisione tali fenomeni. Le conoscenze matematiche locali però avevano dei grossi limiti, il che portava a gravi errori di calcolo e notevoli imprecisioni.

Le nozioni introdotte dai missionari consentirono invece una maggiore precisione nei calcoli e nella previsione degli eventi astronomici, facendo aumentare l’ammirazione del Sovrano nei confronti di Li Madou e del suo seguito.

Nei nove anni successivi di permanenza a Pechino, Ricci lavorò a stretto contatto di numerosi mandarini che lo aiutarono nella scrittura, traduzione e pubblicazione di saggi scientifici e religiosi.

Strinse inoltre amicizia con il mandarino Hsu Kuang Chi, il quale si convertì al cristianesimo e venne battezzato con il nome di Paolo (il Dottor Paolo, come veniva chiamato all’interno della comunità cristiana di Pechino, che sarebbe stato il perno della comunità cristiana in Cina negli anni 20 del XVII secolo, sarebbe arrivato a ricoprire la carica di Viceministro dei Riti, una delle più alte cariche dell’Impero).

I due collaborarono gomito a gomito nella traduzione in cinese dei primi sei libri della geometria di Euclide.

Nel 1610 Matteo Ricci si ammalò e non si riprese mai più, morendo nella casa dei Gesuiti a Pechino, il giorno 11 maggio.

Si narra che prima di spirare, disse ai presenti di aver “fatto di tutto per poter diventare cinese, imparandone la complicata lingua e la scrittura, adottando gli usi e costumi locali e vestendomi come un letterato. L’unica cosa che mi mancava era il poter accorciare il naso e rendere gli occhi più piccoli, grazia però negatami dal Signore”.

L’Imperatore Wan Li, sinceramente rattristato per la perdita di un amico che mai aveva potuto incontrare, decise di onorare Li Madou con i funerali di Stato, concedendo un terreno per la sua sepoltura. Era la prima volta che veniva concesso un onore simile ad un non cinese.

Li Madou aveva aperto le porte della Cina

Bibliografia:

Padre Fernando Bortone “I gesuiti alla corte di Pechino” Ed. Desclée & C. Roma; Filippo Mignini “Matteo Ricci – Il chiosco delle fenici” Ed. Lavoro Editoriale; Padre Matteo Ricci “Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina” Ed. Quodlibet; Giulio Andreotti “Un Gesuita in Cina. 1552-1610: Matteo Ricci dall’Italia a Pechino”; Michela Fontana “Un Gesuita alla corte dei Ming” Ed. Mondadori.


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