Masaniello: il tragico destino del Caporivolta di Napoli

18 luglio 1647 – Napoli è in fermento e migliaia di persone si stanno radunando nei pressi della Basilica di Santa Maria del Carmine. A circa due ore dal tramonto, un feretro avvolto in un lenzuolo di seta bianca, con a sinistra una spada e a destra un bastone, esce dalla chiesa e inizia a sfilare per le strade della città. Al suo passaggio, i partenopei spalancano le finestre, invocano il nome del defunto, piangono e si disperano. Alcune donne si fanno largo tra la folla, allungano la mano verso il corpo e cercano di strappare qualche ciocca di capelli da conservare a mo’ di reliquia.

Il corteo funebre avanza, attraversa via Toledo e, quando passa di fronte al Palazzo Reale, dove abita Rodrigo Ponce de León, duca d’Arcos e viceré di Napoli, questi ordina ai soldati di abbassare le bandiere spagnole in segno di lutto.

Il Palazzo Reale di Napoli – Immagine di Sordelli condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

La funzione si conclude alle tre del mattino e, dopo aver girato in trionfo per tutta Napoli, il feretro torna a Santa Maria del Carmine per aver degna sepoltura. Sembra la processione di un santo, ma non lo è. Il defunto è un uomo del popolo, un pescivendolo analfabeta che ha messo sotto scacco le autorità spagnole.

Il suo nome è Tommaso Aniello d’Amalfi.

Per gli amici, e per la storia, Masaniello

Masaniello – Immagine condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

La Spagna e il vicereame di Napoli

Nel Seicento, la Spagna sta vivendo la più grande crisi della sua storia. La Guerra dei Trent’anni infuria su tutto il continente e il governo di Madrid deve sostenere le spese militari per i vari conflitti contro l’Olanda, la Francia e la Germania. Il regno è sull’orlo della bancarotta, i creditori stranieri premono per la restituzione dei prestiti e, nel 1640, si aggiungono anche la rivolta della Catalogna e la guerra di secessione del Portogallo.

Una battaglia della Guerra dei Trent’anni – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Per risanare le finanze della Corona si decide di aumentare le imposte su tutti i territori dell’impero, inclusi Sicilia e vicereame di Napoli, dove prodotti come olio, seta, farina, sale e vino raggiungono prezzi e costi doganali altissimi.

I domini degli Asburgo di Spagna dopo il 1547 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La Spagna ha ancora un sistema feudale di tipo piramidale, e Napoli è divisa in sei circoscrizioni amministrative, dette seggi, di cui cinque sono comandate dai nobili e una dal rappresentante del popolo, quasi sempre corrotto, che di fatto non ha alcun potere decisionale. La città, che con i suoi 350.000 abitanti è una delle più grandi metropoli del regno, è soggetta a un sistema di riscossione delle tasse impopolare ma diffusissimo, sin dal medioevo, l’arrendamento (dallo spagnolo arrendar; appaltare, affittare). In pratica nobili e ricchi banchieri anticipano al viceré l’ammontare delle gabelle e acquistano la prerogativa di riscuotere dal popolo applicando tassi d’interesse altissimi.

La raccolta delle tasse in un dipinto di Jan Matsys – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Con la tassazione alle stelle e una crisi agraria che sta colpendo la città da circa un decennio, la situazione precipita nel 1647, quando il duca d’Arcos, nuovo viceré di Napoli, introduce una gabella sulla frutta, il principale alimento dei ceti bassi. Il 7 luglio di quell’anno, ha inizio una sommossa popolare che mette d’accordo il popolo – stanco, impoverito e affamato – e quei nuovi ricchi del ceto medio che vorrebbero partecipare alla politica partenopea.

La mente della rivolta è don Giulio Genoino.

La mano, l’eroe, il simbolo, è un giovane di ventisette anni dagli occhi scuri, i capelli biondi, e gli abiti alla marinaresca

Giulio Genoino e Masaniello in un’illustrazione del XVIII secolo – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Verso la rivolta

Masaniello, al secolo Tommaso Aniello d’Amalfi, nasce a Napoli il 29 giugno del 1620, dal pescivendolo Francesco d’Amalfi e dalla massaia Antonia Gargano. La sua è una famiglia di umilissimi origini. Gli Amalfi vivono nei vicoli adiacenti a Piazza del Mercato, e Masaniello cresce in un’ambiente di estrema povertà. In età adulta apre un banco di pesce e si dà al contrabbando, un’attività che lo porta spesso e volentieri a soggiorni obbligati dietro le sbarre.

Il luogo dove si trovava la casa di Masaniello a Vico Rotto al Mercato, come si presenta oggi – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Anche Bernardina, sua moglie, contribuisce al sostentamento della famiglia con attività parallele, di cui la principale è il meretricio, ma, un giorno, gli agenti doganali la arrestano per aver nascosto un sacco di farina non tassato.

Per pagarle la cauzione, il marito è costretto a vendere tutti i suoi averi

Iscrizione presso la casa dove Masaniello è nato e vissuto – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Masaniello giura di farla pagare ai gabellieri e, durante uno dei periodi in carcere, un suo compagno di cella lo mette in contatto con don Giulio Genoino, anziano giurista con un passato da agitatore politico.

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La casa di Masaniello, da un quadro di Micco Spadaro – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Il popolo è stanco dei soprusi degli appaltatori (coloro che riscuotono le tasse per conto dei nobili) e la goccia che fa traboccare il vaso porta la data del 3 gennaio 1647, quando il viceré Rodrigo Ponce de Léon, duca d’Arcos, introduce una gabella sulla frutta.

Rodrigo Ponce de León, duca d’Arcos e viceré di Napoli – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Seguono mesi di tensioni, e il malcontento dei ceti bassi esplode a Piazza del Mercato, il centro nevralgico del commercio cittadino. È lì che Masaniello e tante altre persone hanno le loro attività, ed è lì che gli appaltatori gestiscono i luoghi adibiti alla riscossione delle imposte. Nella notte fra il 6 e il 7 giugno qualcuno distrugge i banchi delle gabelle e il 30 giugno Masaniello e 300 popolani sfilano davanti al Palazzo Reale, vomitando qualsiasi insulto possibile ai notabili spagnoli affacciati alle finestre.

Punizione dei ladri al tempo di Masaniello, Micco Spadaro, circa 1647 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Viva il re di Spagna, a morte il malgoverno

Tutto è pronto per dare inizio alla rivolta e il 7 luglio, sempre a Piazza del Mercato, gli ortolani si rifiutano di pagare la tassa sulla frutta. Fra commercianti e gabellieri nasce un faccia a faccia che quasi finisce in rissa, ma l’intervento del rappresentante del popolo Andrea Naclerio è tempestivo… per peggiorare la situazione.

Piazza del Mercato, Napoli – Immagine di Baku condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

In virtù della sua ben nota corruzione, Naclerio dà ragione ai gabellieri e impone agli ortolani di pagare quanto dovuto, ma questi gettano la frutta per terra in segno di protesta e alcuni bambini iniziano a lanciarla contro le autorità. Le voci della sommossa giungono alle orecchie di Masaniello, che raduna quanti più uomini possibile, marcia su Piazza del Mercato e aizza la plebe contro i funzionari spagnoli al grido di…

Viva il re di Spagna, a morte il malgoverno

Dietro Masaniello i partenopei incendiano tutti banchi del dazio e, nel pomeriggio, circondano anche il Palazzo Reale, con il duca d’Arcos che è costretto a rifugiarsi nel vicino Convento di San Luigi e chiedere la mediazione del cardinale Ascanio Filomarino.

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Il cardinale Ascanio Filomarino – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Il viceré gli affida una lettera da consegnare ai rivoltosi in cui accetta di trattare con il popolo, e Genoino riunisce nella Basilica di Santa Maria del Carmine un comitato intellettuale che deve discutere sulle condizioni da imporre agli spagnoli. Gli animi, però non si placano e, nella notte fra il 7 e l’8 luglio, Masaniello guida l’assalto alle prigioni e alle case dei gabellieri, inclusa quella di Girolamo Letizia, il responsabile dell’arresto della moglie.

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La Basilica di Santa Maria del Carmine – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Da pescivendolo a Capitan Generale

Se Genoino è la guida intellettuale della rivolta, Masaniello è il leader sul campo. Riesce a organizzare un contingente armato, perfettamente operativo, composto solo da cittadini analfabeti, poveri e senza alcuna esperienza militare. La folla pende dalle sue labbra, è un’icona del popolo e la nobiltà, che non vuole rinunciare ai suoi privilegi, tenta un gesto estremo: la congiura.

Masaniello in un ritratto attribuito a Onofrio Palumbo – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Il 10 luglio alcuni banditi al soldo del Duca di Maddaloni si introducono a Santa Maria del Carmine e aggrediscono Masaniello. L’attentato fallisce e i rivoltosi si vendicano sul fratello del duca, Giuseppe Carafa, che viene ucciso, decapitato e portato in trionfo per le strade di Napoli.

La folla decapita Giuseppe Carafa, accusato con il fratello di aver tentato di uccidere Masaniello. Dipinto di Micco Spadaro, 1647 – Immagine di pubblico dominio

Il giorno successivo, d’Arcos si gioca l’asso nella manica e prova a corrompere Masaniello. Niente da fare. Il capo popolo non è in vendita e il viceré non può che accettare i termini proposti da Genoino, ventitré capitoli di pace che includono l’abolizione di tutte le tasse imposte nell’ultimo anno, l’amnistia generale e un’equa spartizione del potere politico fra plebe e nobiltà.

Il 13 luglio, d’Arcos giura solennemente di rispettare l’accordo. È un grande passo in avanti per i napoletani, ma il vero trionfo è di Masaniello, che viene tributato di onori e si guadagna la nomina a Capitan generale del fedelissimo popolo napoletano.

Masaniello – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La “follia” di Masaniello

La rivolta, però, non è ancora finita, perché, dopo d’Arcos, l’altro ostacolo da superare è Madrid. Senza l’approvazione del re, le conquiste dei rivoltosi non possono essere ratificate, e il neoeletto rappresentante del popolo Francesco Antonio Arpaja, un membro del ceto medio candidato su consiglio di Genoino, deve lavorare a stretto contatto con il viceré per ottenere l’approvazione della Corona.

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Statua di Masaniello in terracotta – Immagine condivisa con licenza GNU Free Documentation License via Wikipedia

In teoria, ci sono i presupposti per far tornare tutto alla normalità, ma Masaniello non è d’accordo e, nonostante le proteste del comitato intellettuale, continua a tenere il suo esercito popolano sul piede di guerra.

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A questo punto della storia, il Capitan Generale impazzisce; o almeno così ci tramandano i suoi contemporanei

Masaniello raffigurato dall’incisore olandese Pieter de Jode, 1660 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Masaniello dismette i panni di umile pescivendolo, si dà arie da nobiluomo e inizia a frequentare il Palazzo Reale. In poco tempo assume atteggiamenti da tiranno: pone un veto su qualsiasi ordine impartito dal viceré e procede con esecuzioni sommarie degli oppositori. Si registrano episodi di squilibrio mentale in cui lancia coltelli contro la folla, smette di dormire, mangia poco e beve molto. Teme che qualcuno voglia attentare alla sua persona e non si fida più di nessuno.

Nei giorni della sua follia, Masaniello è sempre sul chi vive

Masaniello precocemente invecchiato. Dipinto di Onofrio Palumbo, 1647 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Apriamo una parentesi. Secondo la tradizione dell’epoca, la pazzia di Masaniello sarebbe riconducibile alla reserpina, un potente allucinogeno somministratogli dal viceré durante una delle sue visite al Palazzo Reale. In epoca moderna si è parlato di un possibile disturbo bipolare, ma è anche probabile che, come vuole il detto, il potere gli abbia dato alla testa. Ragionando col senno di poi, Masaniello non aveva alcuna esperienza militare ed era solo un giovane analfabeta indottrinato dal ben più colto Genoino. Era l’uomo giusto al momento giusto, l’uomo del popolo che doveva guidare una Napoli affamata e in cerca di riscatto. A lui va il merito di aver permesso ai ceti bassi di far fronte comune, di compattarsi e operare sotto forma di esercito, ma mettiamoci nei suoi panni…

Come poteva gestire tutto questo improvviso potere?

Masaniello, però, su una cosa aveva ragione: qualcuno voleva sbarazzarsi di lui.

Napoli in rivolta – Immagine di pubblico dominio

La congiura di d’Arcos e la morte di Masaniello

La fama da valente condottiero, da eroe della plebe, lascia il tempo che trova, e i suoi stessi compagni d’armi meditano sul da farsi. Genoino vorrebbe solo esautorarlo dalla catena di comando, ma una frangia più estrema dei rivoltosi lo vede come un elemento scomodo da eliminare prima che la situazione degeneri.

Giulio Genoino – Immagine di pubblico dominio

Anche il popolo è stufo dei suoi strani comportamenti. I napoletani desiderano riaprire le botteghe e tornare a lavoro, ma per Masaniello la rivolta è ancora nel vivo e a Napoli deve continuare l’anarchia.

Seguono insulti e manifestazioni. L’ultima protesta contro il Capitan Generale ha luogo la mattina del 15 luglio, quando una folla si riunisce sotto casa sua e gli dà del folle e del tiranno. Masaniello risponde che il popolo ha dimenticato com’era la vita prima del suo intervento, che i napoletani sono degli ingrati e stanno voltando le spalle a colui che li ha aizzati contro gli arrendatori, i nobili e il viceré.

Nessuno vuole sentir ragioni e Masaniello scappa nella Basilica di Santa Maria del Carmine, dove interrompe la messa del cardinal Filomarino, si spoglia e inizia a delirare davanti a tutti i presenti.

La Basilica di Santa Maria del Carmine – Immagine condivisa con licenza GNU Free Documentation License via Wikipedia

Filomarino gli si avvicina, lo calma e lo invita a passare la notte in una cella del convento. Intanto, d’Arcos ha saputo che fra i ribelli c’è chi vorrebbe sbarazzarsi di Masaniello e trama l’attentato promettendo agli esecutori materiali ampi privilegi.

La mattina del 16 luglio, i congiurati, tutti suoi ex compagni d’armi, si recano nella Basilica del Carmine, corrompono le guardie e sorprendono Masaniello nel sonno, freddandolo con cinque colpi d’archibugio.

Lapide commemorativa del luogo in cui fu ucciso Masaniello – Immagine condivisa con licenza GNU Free Documentation License via Wikipedia

In città c’è un tacito assenso all’omicidio. Il popolo non insorge e non protesta, nessuno piange la morte del Capitan Generale e il corpo di Masaniello viene decapitato e gettato in una fossa comune. I partenopei vanno a letto convinti che il giorno successivo le cose sarebbero andate meglio, ma d’Arcos ha riservato un amaro risveglio ai suoi sudditi. All’alba del 17 luglio le massaie si recano a Piazza del Mercato e scoprono che il viceré ha di nuovo aumentato il prezzo del pane, ignorando quello fissato in precedenza da Masaniello.

Masaniello ritratto da Aniello Falcone, 1647 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La scintilla della rivolta si riaccende, i napoletani recuperano il corpo e la testa dell’eroe rinnegato per dargli degna sepoltura. Il corteo funebre di Masaniello sfila per tutta la città come se si trattasse di un santo, e d’Arcos ordina ai gendarmi di non intervenire per evitare che la situazione degeneri.

La rivolta guidata da Masaniello a Napoli nel luglio del 1647 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’eredità di Masaniello

I dieci giorni del Capitan Generale, però, non sono altro che la prima fase del moto popolare, che continua fino al 1648 e si conclude con il fallimento della brevissima Real Repubblica Napoletana.

Resa di Napoli a Don Giovanni d’Austria nel 1648, Carlo Coppola, 1648 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Dopo la sua scomparsa, Masaniello diventa sinonimo di libertà, e molti storici suoi contemporanei lo associano al repubblicano Oliver Cromwell, che proprio in quegli anni sta insorgendo contro re Carlo I d’Inghilterra.

Cromwell osserva il corpo di Carlo I, dipinto di Paul Delaroche – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Quanto a Napoli, la pace è lontana e, nel 1799, Ferdinando IV di Borbone è costretto a sedare una nuova insurrezione. Il Capitan Generale è ancora vivo nella memoria dei partenopei e il monarca opta per una sorta di damnatio memoriae, con tanto di dispersione dei resti di Masaniello, fino ad allora custoditi nella Basilica di Santa Maria del Carmine.

Lapide commemorativa del luogo in cui fu sepolto Masaniello – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Ma il nome di Masaniello resiste all’usura del tempo. Con il Risorgimento la sua figura assume i connotati del patriota che guida il popolo contro lo straniero e diventa un simbolo della causa dell’Unità d’Italia. Qualcuno lo paragonerà anche a Che Guevara.

Presunto ritratto di Masaniello nelle vesti di capitan generale. Dipinto di Micco Spadaro – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Masaniello non era un repubblicano e non ha mai tramato per sovvertire il dominio spagnolo a Napoli. La sua è stata una ribellione che mirava a cambiare il sistema interno del vicereame, ad alleggerire la pressione fiscale e dare al popolo maggior voce in capitolo nella politica cittadina. Nient’altro. Il suo merito è quello di aver costruito dal nulla un esercito, di aver arringato la massa con il suo animo focoso e aver costretto d’Arcos a scendere a patti col popolo.

Silvestro Bossi, Lazzari giocano a carte, 1824 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

In una lettera a papa Innocenzo X, il cardinal Filomarino scrisse:

Questo Masaniello è pervenuto a segno di tale autorità, di comando, di rispetto e di ubbidienza, in questi pochi giorni, che ha fatto tremare tutta la città con li suoi ordini. […] Ha dimostrato prudenza, giudizio e moderazione. Insomma, era divenuto un re in questa città”.

Il cardinale Ascanio Filomarino – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Un re. La stessa denominazione che compare su una moneta coniata in Olanda nella seconda metà del Seicento. Su di un lato c’è Cromwell, con la dicitura “protettore d’Inghilterra, Scozia e Irlanda”; sull’altro c’è Masaniello, ritratto non con il classico berretto alla marinaresca, ma con una corona e un’iscrizione che recita:

Masaniello, pescatore e re di Napoli

 

Fonti:

  • AA. VV., Chiaroscuro 1: Dall’età feudale al Seicento, Società Editrice Internazionale, Torino, 2010
  • Aurelio Musi, Le vie della modernità, Sansoni, Firenze, 2015
  • Masaniello e la rivolta di Napoli – Puntata di Passato e Presente disponibile su Raiplay
  • Masaniello e la rivolta dei “Lazzari” – Storica National Geographic
  • La vera storia di Masaniello, il “Che Guevara” napoletano – Focus
  • Masaniello – Wikipedia italiano

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