14 aprile 1912, ore 23.40 – Oceano Atlantico: il transatlantico RMS Titanic fila a tutta velocità nel freddo di quella stellata notte di primavera.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
La nave sembra sfiorare appena un gigantesco iceberg, ma la parte sommersa dell’enorme blocco di ghiaccio, come la lama affilata di un coltello, taglia l’acciaio della murata di dritta.
Il fuggi fuggi generale e il panico non sono immediati: i passeggeri di prima classe sentono appena tintinnare i lampadari e qualche oggetto cadere dai comodini, quelli di seconda avvertono “una vibrazione ovattata, strana e breve”, mentre i viaggiatori di terza classe parleranno di un “botto sordo”.

Solo i fuochisti, quelli che lavorano nel ventre caldo della nave, sentono uno spaventoso rumore di ferraglia un attimo prima che l’acqua cominci ad allagare quel transatlantico considerato inaffondabile, ma che invece si inabissa nel giro di un paio d’ore.
I passeggeri del Titanic si svegliano in un incubo che non avrebbero mai pensato di vivere: tutti cercano di raggiungere il ponte lance, e allora sì che si scatena il panico. I passeggeri di terza classe faticano a trovare la strada verso la salvezza (un terzo di loro morirà nel naufragio), quelli di seconda ce la fanno meglio, mentre quelli di prima sono facilitati. In ogni caso l’ordine del comandante è “prima le donne e i bambini”.

Tra i passeggeri di seconda classe c’è Masabuni Hosono, l’unico giapponese a bordo. L’uomo, che è un importante funzionario del ministero dei trasporti giapponese, sta tornando a casa da un viaggio di lavoro in Russia, dove si è recato per studiare alcune innovazioni del sistema ferroviario. Non è ben chiaro perché scelga un giro così lungo – dalla Russia alla Gran Bretagna e poi in Giappone traversando due oceani – ma qualunque sia stato il motivo, non gli porta bene, nonostante sia riuscito a sopravvivere al naufragio.

Sopravvivere: è questa l’unica cosa importante, per lui come probabilmente per tutti gli altri passeggeri (tranne alcune eroiche eccezioni). In quella notte maledetta Hosono viene svegliato da uno steward e cerca di salire al ponte lance. Prima che possa raggiungerlo, un membro dell’equipaggio lo blocca perché pensa che sia un passeggero di terza classe (quelli sacrificabili, visto che non ci sono sufficienti scialuppe per tutti).
In quella terribile confusione riesce comunque a farsi strada e arriva fuori, sul ponte, che non significa salvezza. Anche lassù, all’aperto, la situazione è angosciante:
L’aria è gonfia dello strepitìo dei razzi d’emergenza, lampi blu percorrono il cielo e il rumore, il rumore della paura è terrificante

Hosono non può “in alcun modo dissipare la sensazione di terrore totale”. Vede calare quattro scialuppe, e quasi si rassegna a una morte imminente, con il pensiero che va all’amata moglie e ai figli. Cerca di prepararsi alla morte “senza agitazione” comportandosi in un modo che non possa essere considerato “vergognoso” per un giapponese. Intanto però l’istinto di sopravvivenza, quello comune a tutte le etnie di questo mondo, gli dice di afferrare al volo, se sarà possibile, la salvezza.
In mare c’è la scialuppa di salvataggio 10, sulla quale stanno salendo, come da protocollo, “donne e bambini”. Hosono sente il marinaio addetto urlare “spazio per altri due” e poi vede un uomo che salta sulla lancia. A quel punto il giapponese agisce d’istinto:
L’esempio del primo uomo che fece un salto mi portò a cogliere quell’ultima possibilità
E’ buio e tutti sono presi a guardare il Titanic, distante solo una sessantina di metri, da dove arrivano le urla di quelli rimasti a bordo. E poi il rumore terrificante delle “esplosioni”, quando la nave si spezza in due e affonda, e di nuovo “le spaventose e acute grida di coloro che affogavano in acqua”.

I giornali americani pubblicano le storie dei sopravvissuti, e chiamano Hosono “Lucky Japanese Boy”. Quando poi l’uomo arriva in Giappone, grazie all’aiuto di alcuni connazionali che gli pagano il viaggio, la sua vita si fa complicata:
La stampa sia statunitense sia giapponese si scaglia contro di lui, colpevole di non aver rispettato la regola del “prima le donne e i bambini”
Altri sopravvissuti parlano di lui definendolo un “clandestino”, mentre il marinaio addetto alla scialuppa 10 afferma che doveva essere travestito da donna, non poteva essere salito in altro modo sulla lancia.

Le accuse sono infondate, ma Hosono è sottoposto a Hachibu mura, un ostracismo che gli fa addirittura perdere il lavoro. E’ considerato un codardo, colpevole di aver tradito “lo spirito di sacrificio del samurai”, di aver causato imbarazzo all’intero Giappone, e in un libro di testo di etica viene criticato per non essersi attenuto al protocollo. Quel protocollo lì, quello del “prima le donne e i bambini” in Giappone però non esiste, ma il paese del Sol Levante avrebbe preferito per Hosono una “morte onorevole” piuttosto che una sopravvivenza disonorevole.

Hosono non reagisce, non fa mai dichiarazioni pubbliche, e qualche anno dopo gli eventi viene reintegrato nel lavoro. Passa il tempo, Hosono muore nel 1939, ma la famiglia soffre della cattiva reputazione rimasta attaccata al loro nome. Solo dopo l’uscita del film del 1997, il colossal Titanic, la sua storia viene paragonata a quella di tanti uomini occidentali sopravvissuti al disastro: Masabumi Hosono non aveva fatto nulla di vergognoso, era un uomo come tanti altri, attaccato alla vita e alla famiglia. Chi può biasimarlo per questo?