Una delle caratteristiche che i critici sociali hanno più spesso imputato allo star system è la morbosa necrofilia, ossia l’uso (che quasi sempre diventa abuso) delle figure di celebrità defunte per alimentare ricchi merchandising. Un esempio classico potrebbe essere quello di Marilyn Monroe. Un altro è sicuramente quello di James Dean, che dal momento della sua prematura morte è diventato il cliché più gettonato del giovane ribelle, anche se tutto sommato nella vita reale non era stato poi così ribelle e i suoi personaggi sono più che altro dei ribelli all’acqua di rose (quando furono girati i tre film che interpretò, Hollywood era ancora dominata da una censura onnipotente).
E’ singolare, in questa situazione, che la figura di un altro bel giovane dalla vita sregolata e dalla morte prematura non sia stata a sfruttata per farne un nuovo James Dean. Forse la sfortuna postuma di Mark Frechette sta nel fatto che non lavorò mai per le majors di Hollywood, ma solo in tre produzioni italiane.
O forse il problema è che Frechette un ribelle lo era sul serio, e che questo gli è costato la vita
Mark Frechette nasce a Boston il 4 dicembre 1947, da una famiglia di origine franco-canadese. Come molti altri bambini, viene iscritto a una scuola religiosa e qui finisce abusato da un alto prelato, il reverendo Brett della diocesi di Bridgeport, un’esperienza che sicuramente lo segna duramente.
A 18 anni, quando lascia la scuola senza averla finita, si è già cacciato nei guai, mettendo incinta una ragazza che è costretto a sposare. Per mantenere moglie e figlia, dopo aver vagabondato in cerca di fortuna tra Boston e New York, accetta un posto di operaio in una falegnameria di Roxbury, una periferia di Boston abitata soprattutto da neri.
Nel tempo libero è un accanito lettore di “Avatar”, una rivista edita dalla comune di Fort Hill, messa su da Mel Lyman, un musicista che negli anni ’50 aveva goduto di una certa fama. In quel periodo, negli Usa, ci sono parecchie comuni soprattutto di hippies, ma quella di Lyman è un po’ particolare, perché non è pacifista ed esalta l’uso delle armi, assomiglia più che altro a una organizzazione paramilitare. Frechette vorrebbe entrare a farne parte ma Lyman, che lo considera un povero sfigato, respinge più volte la sua richiesta.
Ma il vento nella vita di Mark cambia all’improvviso, nel 1969. Un giorno, mentre sta litigando in strada con una donna affacciata a una finestra, contro la quale tira anche un vaso di fiori, viene notato da Sally Dennison, un’assistente del regista italiano Michelangelo Antonioni. In quel periodo, Antonioni sta battendo tutti gli Usa in cerca del volto adatto a interpretare il suo prossimo film, “Zabriskie Point”, ma i casting hanno dato esiti sconfortanti. La Dennison gli propone Frechette, che l’ha colpita per la sincerità della sua rabbia e aggressività, e Antonioni ne resta entusiasta. Frechette non altrettanto, ma intascare 60.000 dollari per fare un film è sicuramente meglio che sudare in falegnameria per quattro spiccioli, e accetta la proposta.
Sotto, Mark Frechette e Daria Halprin:
“Zabriskie Point” è un film molto controverso, che inizialmente fu un flop (2 milioni di dollari incassati a fronte di 7 spesi per la produzione) ma poi è stato rivalutato e viene regolarmente proiettato in rassegne e cineforum. Tratta di contestazione giovanile e del contrasto tra questa e il potere sia politico sia economico, anche se la vicenda è un po’ confusa e troppo rarefatta per essere facilmente compresa dal pubblico.
Comunque, Frechette diventa lo stesso famoso, finisce sulla copertina di importanti riviste di cinema e viene perfino ingaggiato come modello per un servizio su “Vogue”. Adesso, chissà perché, Lyman non lo considera più uno sfigato e gli propone di entrare nella sua comune. Frechette ne è talmente entusiasta da donare alla comune i 60.000 dollari del suo compenso per il film e convince la co-protagonista del film, Daria Halprin, con cui si è messo dopo aver lasciato la moglie, a seguirlo. Ma, alla Halprin, le idee e i metodi di Lyman non piacciono proprio, per cui dopo qualche tempo molla Frechette e va a sposarsi con un altro importante attore emergente, Dennis Hopper, quello di “Easy rider”.
Intanto, Frechette riceve delle ottime proposte di lavoro, che lo portano in Italia. E’ protagonista di un piccolo capolavoro del cinema bellico, “Uomini contro” di Francesco Rosi, tratto da “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu, e se la cava benissimo, nonostante debba confrontarsi con mostri sacri come Gian Maria Volontè (un altro che, quanto a spirito ribelle, non è secondo a nessuno) e il francese Alain Cuny.
Sotto, la copertina di “films and filming” del Marzo 1970:
Ritrova Cuny anche nel film successivo, che però non è affatto memorabile: “La grande scrofa nera” dello sconosciuto Filippo Ottoni, una confusa storia di conflitti familiari, ricordato solo per la presenza dei due attori e della bella Rada Rassimov.
Mentre è impegnato nella lavorazione di questi film, Frechette conosce un giovane cineasta ungherese, Deszo Magyar, di cui diviene amico. I due si appassionano alla storia di “Delitto e castigo” di Dostoevskij e decidono di ricavarne un film, che però ambienteranno negli States degli anni ’70: Magyar lo dirigerà e Frechette sarà il protagonista.
Purtroppo, tornato negli Usa, Frechette non trova nessuno disposto a finanziare il suo progetto, che richiede almeno 5 milioni di dollari. Un po’ la rabbia esistenziale che non lo ha mai completamente abbandonato, un po’ la disinvolta idea di libertà individuale che si propaganda nella comune di Mel Lyman, dove è tornato a vivere, gli fanno balenare per la mente un’idea folle per procurarseli.
La mattina del 29 agosto 1973, Frechette e altri due membri della comune, armati di pistole giocattolo, assaltano la filiale di Roxbury della New England Merchant’s Bank. La polizia interviene prontamente e uno dei due complici di Frechette, Christopher Thein, viene ucciso dagli agenti. Frechette e l’altro complice, Sheldon Bernhard, arrestati e processati per direttissima, si beccano una condanna da 6 a 15 anni di reclusione.
Sotto, “Films and filming” del settembre 1970:
Poiché è incensurato, Frechette viene rinchiuso nel carcere di minima sicurezza di Norfolk, Massachusetts, dove non viene mai chiuso in cella ed è libero di svolgere diverse attività. Inizialmente, sembra che vi si inserisca bene: i suoi rapporti con gli altri detenuti sono molto amichevoli e collabora volentieri anche con gli operatori carcerari, senza mai dare problemi.
Ma, nel tempo, la situazione si deteriora. Nella solitudine e nella forzata inattività, Frechette ha troppo tempo per pensare e finisce per far emergere le ferite che dilaniano la sua anima. Cade in depressione perché si incolpa della morte del giovane Thein, di cui era molto amico e che ritiene di aver plagiato. Diventa praticamente anoressico: mangia sempre meno ed è ossessionato dagli esercizi fisici. Il suo avvocato chiede di farlo uscire per ricoverarlo, ma la commissione che deve occuparsi del suo caso si riunirà troppo tardi.
La sera del 27 settembre 1975, un compagno di detenzione lo vede per l’ultima volta nella palestra del carcere. La mattina dopo, Mark Frechette viene ritrovato morto su una panca bassa. Secondo i risultati della successiva inchiesta, mentre cercava di sollevare un bilanciere di 70 kg, questo gli è sfuggito di mano, cadendogli sul collo, facendogli perdere conoscenza e poi soffocandolo.
Anche se in seguito si parlerà di omicidio o di suicidio, questa rimane la verità ufficiale sulla sua fine.
Di Mark Frechette, in seguito, si parlerà pochissimo. Solo nel 2008, il regista Michael Yaroshevsky gli dedicherà un film, “Death Valley Superstar”, ma anche questo film avrà una limitatissima diffusione.