Il 30 maggio del 1921 era giorno di festa in tutti gli Stati Uniti: si celebrava il Memorial Day, giorno di commemorazione dei caduti di tutte le guerre.
Eppure, in un quel giorno festivo di primavera avanzata, proprio nel centro della cittadina di Tulsa (Oklaoma) ci sono almeno due persone che lavorano. La maggior parte dei negozi sono chiusi, ma la giovane bianca Sarah Page è al suo posto, a far funzionare l’ascensore del palazzo Drexel, al 319 di South Main Street.
Chissà perché, anche il diciannovenne nero Dick Rowland quel giorno si trova lì. Il ragazzo lavora come lustrascarpe in un negozio della Main Street e conosce bene l’edificio dove lavora Sarah Page, perché lì c’è l’unico bagno che i neri possono usare.
Quasi certamente Sarah e Dick si conoscono, almeno di vista, o forse hanno scambiato qualche parola quando capita che il ragazzo usi l’ascensore per andare al bagno. Fatto sta che in quella maledetta mattina di primavera succede qualcosa sulla quale non è mai stata fatta chiarezza:
L’unica cosa certa è che la ragazza lancia un urlo e poi si vede scappare dall’edificio Dick
Il testimone è un uomo che lavora in un negozio di abbigliamento al primo piano del Drexel: racconterà di aver udito un grido e poi di aver visto un giovane uomo di colore uscire di corsa dall’edificio. Lui comunque va a controllare se dalle parti dell’ascensore è tutto a posto e trova Sarah molto agitata. Il bravo cittadino, pensando ad un tentativo di “assalto” (la parola stupro in quegli anni non viene usata), chiama la polizia. Di cosa racconta in merito all’episodio la ragazza, unica fonte attendibile, non rimane traccia nei verbali della polizia. Si sa solo che, dopo i tragici eventi dei giorni successivi, lei dichiara di non aver avuto nessuna intenzione di denunciare il fatto.
Edifici in fiamme durante la rivolta di Tulsa
Dick scappa, è vero, ma solo perché sa benissimo che per un mero sospetto avrebbe comunque rischiato il linciaggio da parte dei bianchi, pratica comune in quegli anni (in particolare dopo la fine della 1ª guerra mondiale) che vedono una crescente adesione al Ku Klux Klan.
Peccato che il racconto di quel presunto assalto voli di bocca in bocca tra tutti i bianchi della città, con sempre nuovi ed esagerati particolari. Il giorno dopo la polizia arresta Dick Rowland, che si è rifugiato a casa della madre, nel quartiere nero di Greenwood.
Il quartiere di Greenwood in fiamme
Non è una baraccopoli Greenwood, anzi. E’ conosciuta come “Black Wall Street”, una fiorente cittadella di 10.000 abitanti che può vantare svariate attività commerciali e professionali, due teatri, luoghi di ritrovo e ristoranti, una biblioteca e un ospedale, tutti gestiti da imprenditori di colore.
E probabilmente tanta prosperità non va giù a molti dei bianchi di Tulsa
Cosa resta di Greenwood incendiata
La polizia quindi arresta Dick Rowland la mattina del 31 maggio, e lo rinchiude in una cella del tribunale della contea di Tulsa. Proprio da lì, l’anno precedente, lo sceriffo aveva lasciato portar via un uomo di colore accusato di omicidio, poi linciato dalla folla. La comunità afroamericana ha seri motivi per temere che lo stesso accada a Rowland, anche perché nel pomeriggio di quello stesso giorno il Tulsa Tribune pubblica un articolo ad effetto, dove descrive “l’attacco” di un negro a una ragazza bianca, ma non solo.
L’editoriale To Lynch Negro Tonight sembra un incitamento al linciaggio del ragazzo, ma di quella pagina non ne è rimasta nemmeno una copia ed è scomparsa anche dal microfilm dove sono archiviati tutti gli articoli di quel numero.
Verso sera gruppi di bianchi, armati e pieni d’odio, si radunano davanti al tribunale, reclamando a gran voce la consegna di Rowland. Accorrono una trentina di uomini di colore, tra i quali molti veterani della 1ª guerra mondiale, anche loro armati, più che decisi ad impedire il linciaggio. Verso le ore 20.00, sono circa duemila i bianchi sempre più inferociti accalcati davanti al tribunale, e i sempre più preoccupati abitanti di Greenwood formano piccoli gruppi e fanno giri di ricognizione intorno a quella folla, anche per dimostrare che non avrebbero abbandonato Rowland al suo destino.
Si fanno le dieci di sera, la situazione è quasi fuori controllo e difatti esplode quando un bianco cerca di farsi le consegnare le armi da un uomo di colore. Parte un colpo, non si sa se accidentalmente o meno, che innesca la miccia dei primi tafferugli. Rimangono a terra 10 bianchi e due afroamericani.
I neri sono però in minoranza e si ritirano nel loro quartiere, inseguiti dalla folla dei bianchi che iniziano anche a saccheggiare i negozi di Greenwood.
Gli agenti di polizia non sanno gestire la situazione, sono anzi spesso al fianco dei facinorosi e forniscono loro armi e munizioni. Alla fine si arriva al paradosso che sono i neri di Greenwood ad essere considerati rivoltosi. Interviene la Guardia Nazionale che arresta moltissimi afroamericani (circa 6.000), mentre nel loro quartiere iniziano a divampare gli incendi, che i vigili del fuoco non possono spegnere perché viene impedito loro l’accesso. Nelle prime ore del mattino la distruzione arriva anche dal cielo: da sei biplani della 1ª guerra mondiale vengono lanciati bombe incendiarie e sparati colpi di mitraglia.
La Guardia Nazionale porta via dei feriti
Alla fine di quell’incredibile battaglia il fiorente quartiere di Greenwood è distrutto, ottomila persone rimangono senza casa, i morti ammontano a un numero imprecisato, intorno ai 300, i feriti sono oltre 800. I neri arrestati vengono rilasciati solo c’è un bianco che può garantire per loro.
Senzatetto alloggiati nel quartiere fieristico di Tulsa
Nessuno pagò mai per quella terribile vicenda, i finanziamenti promessi alla comunità afroamericana per la ricostruzione non giunsero se non in minima parte, e ci fu addirittura il tentativo di impedirla: imprenditori bianchi cercarono di impadronirsi dei terreni di Greenwood, ma almeno quel furto fallì.
La devastazione di Greenwood
Nel giro di poco, l’argomento “rivolta” diventa tabù a Tulsa: nessuno, né bianchi né neri, vuole parlarne (tanto che i nipoti di alcuni sopravvissuti lo scoprono da altre fonti).
Solo nel 1996 viene istituita una commissione d’inchiesta che dopo cinque anni arriva ad alcune conclusioni: quasi certamente non ci fu nessun “assalto” da parte di Rowland, che infatti fu rilasciato subito dopo e se ne andò per sempre dalla città. Sul perché la ragazza abbia gridato sono state fatte diverse ipotesi che nessuno è in grado di confermare (un litigio? Rowland inciampò e si aggrappò alla ragazza che si spaventò?); le autorità locali dell’epoca cancellarono qualsiasi documento inerente al caso, i registri della polizia scomparvero, così come le copie del Tulsa Tribune, mentre i neri deceduti furono sepolti in fosse comuni ancora non individuate.
Folla di afroamericani dopo il massacro
L’unica cosa certa è che molti abitanti di colore di Tulsa abbandonarono la città, mentre gli altri vissero probabilmente in preda al terrore gli anni successivi. Nel 2011, in un articolo del New York Times, il giornalista A. Sulzberger scrive: “la sommossa razziale di Tulsa del 1921 è stata raramente menzionata nei libri di storia, nelle aule scolastiche e addirittura in privato dai neri e dai bianchi allo stesso modo; sono cresciuti fino alla mezza età del tutto inconsapevoli di ciò che fosse realmente accaduto in quel luogo”.
Eppure, l’unico percorso verso la realizzazione di una società che voglia chiamarsi civile deve passare attraverso la memoria: non dimenticare per non ripetere gli stessi orrori. Purtroppo, però, sono in molti ad avere la memoria corta…