Italiani: popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di trasmigratori. E pure di maghi. Secondo un’indagine del Codacons, infatti, in Italia ci sarebbero oltre 4.000 maghi (anche se altre fonti alzano il livello a un incredibile numero di 155.000 esperti dell’occulto) cui si rivolgono ogni anno 13 milioni di italiani per conoscere il proprio futuro e per ricevere consigli di ogni sorta.
Il popolo italiano è decisamente affascinato dall’occulto e dalla magia. Tra gli anni ’60 e l’inizio degli ’80 un certo successo mediatico è stato raggiunto da un mago di origini siciliane. Parliamo di Vittorio Scifo, classe 1937, nato a Niscemi, provincia di Caltanissetta, diventato famoso col nome di mago di Tobruk.
È nel piccolo e isolato centro agricolo siciliano che il mago di Tobruk mette le basi della sua fama, che presto valicherà il mare posto a confine della sua isola natia, fino a permettergli di aprire un frequentato studio nella Capitale.
A Roma il mago è solito predire il futuro indossando abiti orientali che contribuiscono a trasmettere ancora più fascino nei confronti dei suoi spettatori. Oltre all’aspetto estetico, le profezie del chiaroveggente spesso si avverano. Tali operazioni però cominciano ad attirare anche le forze dell’ordine: è il 1969 quando Scifo viene mandato via da Niscemi con un foglio della questura che lo obbliga al soggiorno per due anni a Urbe, in provincia di Savona.
Nonostante la misura restrittiva il mago decide di lasciare la cittadina ligure e si trasferisce a Parigi, dove ricomincia a esercitare la sua professione prima di venire riacciuffato dalle forze dell’ordine e spedito a Cotignola, provincia di Ravenna, per un nuovo soggiorno obbligato. Anche da questo nuovo “confino”, però, l’indovino scappa riparando in Germania.
Rientrato finalmente in Italia, nella sua Niscemi, Vittorio Scifo non viene abbandonato dalla giustizia italiana, che lo tiene sott’occhio, così un giorno organizza una messinscena facendo “crocifiggersi” nella piazza del paese per protesta, sostenendo di essere perseguitato dalla giustizia per le sue capacità magiche.
Nella stessa piazza è costretto così qualche anno più tardi ad aprire un bar, insieme alla moglie Angela Rosa. Ormai, anche nel piccolo contesto di Niscemi gli è impossibile proseguire il suo mestiere di mago.
Il passato burrascoso di mago sembra essere ormai alle spalle. Ma non sarà così.
È il 4 dicembre 1981 quando una bomba viene fatta esplodere davanti casa della famiglia Scifo. L’azione non sarà succeduta da altre; fino al giugno 1983.
Il mago Vittorio Scifo si trova a Parigi, dove si reca ancora spesso. Qui riceve una terribile telefonata: sua figlia Patrizia, 19 anni, è improvvisamente scomparsa. Il mago di Tobruk cade nel dramma. Ritorna in Sicilia e insieme alla moglie si mette alla ricerca della figlia.
Patrizia Scifo convive da circa un anno con un pregiudicato di nome Giuseppe Spatola, malvivente del Nisseno. I due hanno una bambina di qualche mese che la giovane ha lasciato a casa della madre prima di svanire nel nulla. Lo Spatola è il primo su cui cadono i sospetti, ma l’uomo ha un alibi per la sera della scomparsa, inoltre dice di non avere rapporti con la ragazza da mesi e quindi viene prosciolto.
Vittorio Scifo non ci sta, lui è siciliano, è nato in quella terra e sa come funzionano certe cose
Comincia delle indagini private. Ha un solo obiettivo: quello di riabbracciare la sua Patrizia; non importa come. Probabilmente si sta avvicinando alla risoluzione del caso. Da alcune confessioni con la consorte appare fiducioso ma preoccupato per la propria incolumità.
È la sera del 19 luglio 1983: l’ormai ex mago si trova fuori dal bar di sua gestione nella piazza di Niscemi.
Si avvicina un uomo, lo chiama per nome: “Vittorio!”
Scifo si gira. Lo sconosciuto, a volto scoperto, estrae una pistola ed esplode una serie di colpi, al torace e al volto.
Vittorio Scifo muore subito
Le indagini condotte sulla scomparsa di Patrizia sono immediatamente collegate all’uccisione del padre. Si indaga negli ambienti di Cosa Nostra, nei giri della prostituzione locale, nelle lotte di alcuni pacifisti contro la costruzione della base missilistica Nato di Comiso, cui la figlia del mago si era avvicinata. Non se ne caverà nulla. L’impressione degli inquirenti è che Vittorio Scifo avesse scoperto qualcosa sulla figlia entrando però in un giro molto più grande di lui, e che quindi andava ucciso prima che svelasse quel che aveva scoperto.
Nell’ottobre 1984, anche Spatola, il compagno di Patrizia, cade nella guerra di mafia scoppiata a Niscemi. Il suo delitto, come quello del mago di Tobruk, si mischia ai tanti omicidi che insanguineranno la comunità del Nisseno per tutti gli anni ’80. “Una sparizione e due omicidi rimasti avvolti dal mistero.” (Andrea Accorsi, Massimo Centini, I grandi delitti italiani risolti o irrisolti, Newton Compton Editori, Roma 2013, p.456)
Nel 2003 per la scomparsa di Patrizia Scifo, in mancanza di nuovi elementi, il Tribunale di Caltagirone ha dichiarato la morte presunta.
Quando tutto ormai sembra essere scivolato nel fondo del grande dimenticatoio dei delitti italiani, nel 2011, dopo 28 anni di indagini, è stata emessa una ordinanza di custodia cautelare verso Giovanni Passaro, identificato come l’autore materiale dell’uccisione del mago.
Passaro, tra i killer più spietati della cosca dei Madonia di Gela, sarebbe stato incaricato proprio da Giuseppe Spatola – come detto ucciso un anno dopo la scomparsa di Patrizia e l’uccisione di Vittorio Scifo – di far fuori il padre della ex compagna perché si era avvicinato troppo alla risoluzione della sparizione della giovane donna. Passaro è recluso, per l’omicidio del mago di Tobruk e altri reati legati alla sua appartenenza a Cosa Nostra, nel carcere di Spoleto.
Importante nello sviluppo delle indagini nel corso di tutti questi anni anche l’apporto fornito dalla tenace figlia di Patrizia Scifo e nipote del mago, oggi adulta, e da alcuni collaboratori di giustizia.
Su questa oscura vicenda ha scritto un libro Giuseppe D’Alessandro dal titolo “L’ assassinio del mago di Tobruk e la misteriosa scomparsa della figlia” (Bonanno).