Mada’in Salih: la magnifica città dei Nabatei che fa concorrenza alla più famosa Petra

I Greci la chiamavano Hegra, gli Arabi Mada’in Salih (Città di Salih), nome poi adottato dai Romani, ma anche Al-Hijr (luogo roccioso): tanti nomi per un solo magico luogo, perso da secoli tra le sabbie del tempo e del deserto, che l’hanno protetta e conservata, reliquia di una civiltà per molti versi ancora misteriosa, quella dei Nabatei.

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Un popolo ricco e molto conosciuto nel periodo compreso tra il IV secolo a.C e il I d.C., che praticamente scompare dalla storia quando i Romani, nel 106 d.C, arrivano a conquistare il loro territorio (Giordania, Penisola del Sinai, e qualche area di Siria, Arabia Saudita e Israele) e aprono nuove rotte commerciali che escludono le città nabatee.

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Nel 1812 l’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt, travestito da mercante arabo, scopre la Città di Petra, in Giordania, capitale dei Nabatei, diventata famosa anche grazie al film del 1989 Indiana Jones e l’ultima crociata.

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A differenza dell’archeologo cinematografico interpretato da Harrison Ford, Burckhardt vive davvero una vita avventurosa, che lo porta a esplorare il Vicino Oriente in tutti i suoi aspetti: studia l’arabo, il Corano, si avvicina alla religione islamica e adotta il nome di Sheikh Ibrahim ibn ʿAbd Allah. Prima di morire di dissenteria, a soli 33 anni, fa in tempo a viaggiare in Siria, Libano, Egitto (dove scopre il Tempio di Abu Simbel), Nubia, Arabia Saudita…

Immagine di Véronique Dauge via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 3.0 igo

Forse, se fosse vissuto più a lungo, Burckhardt avrebbe scoperto anche le rovine del sito di Mada’in Salih, la seconda città più importante dei Nabatei, che sorgeva all’estremo limite meridionale del loro regno.

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La ritrova invece l’inglese Charles Montagu Doughty, nel 1876, partito alla sua ricerca sull’onda della scoperta di Petra, dopo aver saputo che esistevano rovine simili vicino alla città ottomana di Hegra.

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Nonostante qualche ricerca archeologica condotta nel secolo scorso, l’antica Mada’in Salih è rimasta praticamente sconosciuta fino ad oggi. Solo a partire dal 2000 il governo saudita ha promosso l’esplorazione del sito, e solo dalla fine del 2019 ha aperto l’accesso ai visitatori stranieri, nell’ottica di uno sviluppo turistico del paese.

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L’isolamento tra le montagne dell’Higiaz – in un territorio affascinate quanto remoto (Al-Ula), distante dalla capitale saudita, ma sulla strada per raggiungere Medina (luogo sacro dell’Islam) – il clima secco, la presenza umana praticamente nulla da molti secoli a questa parte, hanno preservato Mada’in Salih dallo scempio del tempo e degli uomini.

Mappa della ferrovia dell’Hejaz che attraversava Mada’in Salih

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L’antica città può raccontare qualcosa dei misteriosi Nabatei, un popolo nomade del deserto che divenne ricco grazie al commercio di incenso, mirra e spezie, ma anche zucchero e cotone.

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Mada’in Salih era proprio al centro delle vie carovaniere che trasportavano le merci verso il Mar Rosso, e diventa nel tempo il più frequentato luogo di sosta sulla rotta commerciale che andava da nord a sud.

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Sappiamo che lì si praticava l’agricoltura (come a Petra), grazie al sapiente scavo di pozzi e canali che convogliavano l’acqua piovana che scendeva dalle montagne.

Sotto e in copertina fotografia di Sammy Six condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

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Eppure, nonostante l’evidente grandezza della loro civiltà, poco si sa dei Nabatei, e quel poco è raccontato da fonti esterne, negli scritti di greci, romani ed egizi. Ma quale fosse la loro concezione della vita e della morte, quali dei adorassero, rappresentano ancora un mistero.

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Ma quelle enormi rocce di arenaria, trasformate in tombe monumentali dall’opera di sapienti scultori, possono raccontare qualcosa grazie allo stile architettonico e al grande numero di iscrizioni.

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Gli artigiani/artisti che lavorano nella decorazione delle tombe mostrano di conoscere lo stile di molti altri popoli (dagli Assiri ai Fenici, dagli Egizi ai Greci di età ellenistica), che poi rielaborano in modo originale e inconfondibile, come ad esempio nella “corona”: due scale contrapposte formate da cinque gradini, scolpite nella parte alta della roccia, che probabilmente dovevano consentire l’ascesa del defunto verso un regno celeste.

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Le iscrizioni sulle tombe evidenziano invece quanto fosse considerato importante il riposo eterno. Diverse maledizioni sono incise sulle facciate, come deterrente alla violazione dei sepolcri: “Possa il signore del mondo maledire chiunque turbi questa tomba o la apra…”, ed anche “… un’ulteriore maledizione su chiunque possa cambiare le scritture in cima alla tomba”.

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Anche le date, incise nella roccia, aiutano a inquadrare meglio la storia del sito: tra le tombe che riportano l’anno di costruzione, la più antica risale all’anno 1 a.C. mentre la più recente al 70 d.C. Riposano lì personaggi importanti del regno, come Lihyan Figlio di Kuza, sepolto nella più impressionante delle tombe, Qasr al-Farid, solitaria e magnifica, anche se rimasta incompiuta.

Immagine di Tomasz Trzesniowski condivisa con licenza CC BY-SA 2.0 via Flickr

Delle abitazioni di Mada’in Salih invece non rimane praticamente nulla, perché non scavate nella dura roccia come le necropoli, ma costruite con ben più deteriorabili mattoni di fango.

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Dal 2008 il sito archeologico di Mada’in Salih è patrimonio dell’UNESCO, il primo dell’Arabia Saudita, non troppo visitato dagli arabi perché ritenuto un posto maledetto dove, com’è scritto nel Corano (sura XV), gli abitanti “infedeli” che adoravano falsi idoli, furono puniti da Allah con fulmini e un terremoto. Ma questo molto, molto prima che i Nabatei costruissero la loro magnifica città.

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