Mad Bomber: il 1° ricercato arrestato grazie al Profilo Criminale

Le serie tv che vanno di moda oggi danno per scontato il fatto che, davanti a una serie di delitti collegati tra loro da qualche elemento e quindi probabilmente riconducibili alla stessa mano criminale, i poliziotti si rivolgano prontamente agli specialisti di qualche “unità comportamentale” accademica o federale, per ottenere un “profilo criminale” del responsabile e quindi concentrare le proprie ricerche solo sui soggetti corrispondenti a questo tipo di personalità.

Queste pratiche sono state diffuse in tutto il mondo dal successo del film “Il silenzio degli innocenti” che, nei primi anni ’90, fece improvvisamente diventare celebre il più famoso “mindhunter” dell’unità comportamentale dell’FBI di Quantico, John Douglas, che fece da consulente tecnico del film e poi capitalizzò la fama così ottenuta pubblicando un libro autobiografico (“Mindhunter”, appunto), in cui raccontò, tra l’altro, di aver corso il rischio di morire per le conseguenze di un burnout dovuto al superlavoro, poiché veniva chiamato in tutti gli Stati degli Usa, ogni volta che c’era bisogno di “profilare” qualche delinquente e quindi viveva praticamente in aereo.

Da allora, è aumentato notevolmente sia il numero di specialisti della disciplina sia quello delle scuole in cui si formano, attraverso una selezione assai dura, e le stesse pratiche hanno preso piede anche in Europa, soprattutto in Regno Unito e Francia (non a caso, sui profilers, sono state girate delle buone serie tv anche in questi Paesi).

Ma tutto questo era molto, molto, molto di là da venire quando, nel dicembre del 1956, un gruppo di poliziotti newyorkesi guidati dal capitano Howard Finney bussò alla porta di uno psichiatra, James A. Brussel, che fu molto seccato della visita dato che stava per partire per una crociera nel Mar dei Caraibi. Brussel era uno psichiatra un po’ particolare, eclettico e fantasioso, che scriveva romanzi gialli e perfino operette musicali, autore di teorie molto in anticipo sui tempi, come quelle sull’interpretazione edipica della musica di Ciajkovskij o sulla psicosi da cui sarebbe stata affetta Mary Todd, la discussa moglie di Abraham Lincoln. Per hobby, inventava cruciverba per il “New York Times” e altri giornali, e ne produceva talmente tanti che era costretto a pubblicarli usando tre pseudonimi. Sebbene nella comunità scientifica avesse non pochi detrattori, sembrava l’unico in grado di raccogliere la sfida di tracciare, utilizzando solo gli strumenti del suo mestiere, una sorta di credibile identikit di un criminale che stava terrorizzando gli abitanti di New York da oltre 15 anni, soprannominato “Mad bomber” dai giornali.

Sotto, il dottor James A. Brussel:

Mad bomber era attivo sin dai primi anni ’40 anche se, fortunatamente, la sua attività aveva conosciuto delle pause. Piazzava bombe artigianali nei posti pubblici più impensati e, quando queste esplodevano (in alcuni casi erano state scoperte fortuitamente prima e disinnescate), facevano sempre molti danni e feriti. Non era ancora morto nessuno, ma sembrava solo questione di tempo, perché le sue bombe si facevano sempre più pericolose. L’ultima, la trentatreesima della serie, per poco non aveva provocato una strage in un affollato cinema di Brooklin. Nelle lettere che spediva ai giornali rivendicando gli attentati, firmate con un criptico “FP”, aveva anzi dichiarato che era sua intenzione uccidere presto.

Brussel esitò un poco ma, alla fine, cedette al fascino della sfida e della possibilità di mettere alla prova una serie di teorie che stava elaborando. Quella che oggi chiamiamo “profilazione”, infatti, nacque nella mente di Brussel come “psicologia inversa”, ossia una psicologia che, anziché prevedere il comportamento in base alla personalità, ricostruiva la personalità in base al comportamento. Qualcosa che nella narrativa mystery funzionava sempre benissimo ma, nella realtà, non era stata ancora testata.

James Brussels negli anni ’80:

Finney gli consegnò tutta la documentazione su Mad bomber e gli disse che della sua collaborazione al caso si sarebbe parlato sui mass media solo se avesse portato a un esito positivo, in modo che la sua reputazione professionale non ne risentisse in nessun caso. Tranquillizzato, Brussel si mise subito al lavoro.

Dopo due ore passate a esaminare fotografie e lettere, Brussel ebbe bisogno di una pausa. Si alzò dalla scrivania, andò alla finestra e si mise a osservare le persone che camminavano in strada. Ne contò diciassette in pochi minuti. Ognuna di esse avrebbe potuto essere Mad bomber, così come avrebbe potuto non esserlo. Lo stesso valeva per qualunque altro abitante di New York. La polizia non sapeva nulla di lui, non aveva l’ombra di una testimonianza o di un identikit.

Eppure Mad bomber esisteva, e doveva avere una precisa identità

Allora Brussel chiuse gli occhi e provò a immaginarne l’aspetto. Apparentemente lavorò di fantasia ma, in realtà, in quei momenti, si servì di tutte le sue conoscenze tecniche e soprattutto dei dati statistici raccolti in anni di lavoro da lui stesso e da molti suoi colleghi: tutte le sue conclusioni furono infatti il frutto di quelle che tecnicamente si chiamano “deduzioni inferenziali”.

Sicuramente Mad bomber era un paranoico, pieno di rancore non verso qualche singola persona, ma verso il mondo in generale. Ma la paranoia ha bisogno di tempo per prendere una forma patologica. Lo scoppio delle sue manifestazioni, in genere, è molto raro prima dei 35 anni di età. Dunque probabilmente Mad bomber doveva essere nato intorno al 1905 e avere sui 50 anni abbondanti.

Poco tempo prima, Brussel aveva letto uno strano studio compiuto da uno psichiatra tedesco, Ernst Kretschmer, il quale aveva esaminato clinicamente molti paranoici e ne aveva tratto la conclusione che la gran parte di essi (circa l’85%) si presentasse con una corporatura atletica e medio-alta. Dunque, era molto probabile che Mad bomber fosse un uomo alto e atletico.

Le lettere di Mad bomber erano pulitissime, senza l’ombra di una cancellatura o una sbavatura. Come tutti i paranoici, l’uomo intendeva così trasmettere il suo senso di superiorità. Sicuramente era un uomo pulito e ordinato, molto metodico e tranquillo, dall’aspetto privo di fronzoli o di qualunque altro elemento vistoso.

Probabilmente, la sua paranoia aveva un’origine sessuale. Da bambino, era passato per il Complesso di Edipo senza riuscire a risolverlo e gli era rimasta una fissazione morbosa per la madre, dalla quale si originava un senso di colpa che lo riempiva di frustrazione. Odiava tutto ciò che rappresentava l’autorità, vista come proiezione della figura paterna sua antagonista per il monopolio affettivo della madre. Quasi certamente, non aveva né interesse per le donne né rapporti con loro.

All’inizio se l’era presa con una società fornitrice di servizi pubblici, la Con Edison, e questo aveva fatto pensare ai poliziotti che potesse avere finalità puramente terroristiche. Invece Brussel ritenne che fosse un ex dipendente della stessa società o dell’indotto di questa, che per qualsiasi ragione volesse vendicarsi di chissà cosa.

La personalità di Mad bomber non gli permetteva molti rapporti con il prossimo, quindi difficilmente avrebbe potuto reggere lo stress di un ambiente di lavoro. Era probabilmente disoccupato e viveva in condizioni economiche molto modeste, anche se all’apparenza non lo si sarebbe detto per via della pulizia e della cura nel vestire.

Brussel si concentrò poi sulle lettere. Erano molto formali, del tutto prive di espressioni idiomatiche e gli fecero pensare a un testo straniero tradotto in un secondo tempo in Inglese. Dunque, Mad bomber non era di madrelingua inglese ma un immigrato. I poliziotti avevano pensato la stessa cosa e ritenevano che fosse un tedesco, per il modo in cui scriveva le lettere maiuscole. Brussel però non era d’accordo. Secondo lui, Mad bomber era uno slavo. Ai poliziotti stupefatti, spiegò che le armi di Mad bomber (bombe artigianali e coltelli che usava per tagliare le superfici in cui nascondeva le bombe) appartenevano molto più alla cultura slava che a quella tedesca. Mad bomber non era una persona ignorante, ma neppure troppo istruita: sicuramente aveva cominciato le scuole superiori ma difficilmente le aveva finite. Probabilmente, non era andato oltre il secondo anno.

La fantasia di Brussel, nutrita di suggestioni freudiane, si scatenava. Quelle lettere dalla strana forma allungata, non potevano simboleggiare dei peni? La violenza con cui aveva tagliato i sedili del cinema in cui aveva messo le ultime bombe, assolutamente incongrua con il suo essere sempre ordinato e pulito, non poteva rappresentare la sublimazione di uno stupro da parte di un uomo sessuofobo, represso al massimo grado e forse impotente? Mad bomber poteva giustificare il suo odio per il mondo con tutte le scuse possibili, ma ogni elemento riconduceva al rapporto non risolto con la figura materna.

Gli immigrati slavi e i loro discendenti, a New York, erano concentrati nella zona settentrionale, ai confini con il Connecticut, o nel Connecticut stesso. Era lì che occorreva cercarlo, in una zona povera, in una casa modesta. Era molto facile che vivesse o solo o con una o più parenti anziane.

In ultimo, Brussel disse a Finney che l’uomo avrebbe indossato un abito a doppio petto, abbottonato. Non seppe spiegarsi il perché, ma questa immagine si presentò alla sua mente con molta insistenza.

Brussel rinunciò al paracadute del silenzio sui mass media perché, ora che c’era un identikit, era importante divulgarlo sui giornali per dare ai cittadini la possibilità di collaborare con notizie e sospetti. In seguito alla pubblicazione di un articolo su questo, Brussel ricevette anche delle telefonate minatorie, in una delle quali gli parve di riconoscere il vero Mad bomber.

Gli articoli sui giornali ebbero l’effetto sperato. Di segnalazioni ne arrivarono fin troppe. I poliziotti della squadra di Finney le vagliarono tutte, finché se ne trovarono per le mani una che sembrava davvero perfetta, giunta da parte di Alice Kelly, un’impiegata della Con Edison che, riordinando un archivio, si era trovata davanti la pratica relativa a un ex dipendente che aveva molti punti in comune con il profilo di Mad bomber.

La sera del 21 gennaio 1957, gli agenti della squadra di Finney, muniti di regolare mandato, fecero irruzione in una casa a tre piani di Waterbury, Connecticut, in un quartiere abitato quasi esclusivamente da immigrati provenienti dall’Est europeo. In uno degli appartamenti, insieme a due sorelle maggiori, viveva George Metesky, un immigrato lituano di 54 anni che alcuni anni prima aveva dovuto lasciare il lavoro di meccanico presso la Con Edison dopo un incidente che gli aveva provocato una malattia respiratoria, poi evoluta in tubercolosi: tuttavia, nonostante diverse cause legali, non aveva ottenuto alcun risarcimento.

Sotto, George Metesky al momento dell’arresto:

Aveva imparato a costruire le bombe servendo nei Marines da giovane. Metesky era un uomo dall’aria atletica e dall’aspetto molto ordinato. Nella sua stanza, gli agenti rinvennero blocchi di carta coperti da una scrittura simile a quella di Mad bomber. Soprattutto le G, W e Y maiuscole erano inconfondibili. Gli dissero di vestirsi e di seguirli alla centrale di polizia. Metesky indossò un abito a doppio petto, abbottonato.

Interrogato, Metesky vuotò il sacco (dimostrandosi, come prevedeva Brussel, un uomo estremamente preciso), raccontando di altre bombe che aveva disseminato per la città. L’ultima fu scoperta e disinnescata otto mesi dopo il suo arresto. Dalla sua confessione, la polizia apprese che non tutti gli attentati a lui attribuiti gli si potevano ascrivere, in quanto alcuni erano stati compiuti da altri cervelli bacati desiderosi di emularlo (su questi casi, in effetti, esistevano già dei dubbi). La sigla “FP” con cui si firmava stava semplicemente per “Fair Play”.

Metesky fu esaminato da un pool di periti del Tribunale, che lo giudicò completamente pazzo e incapace di intendere e volere

Il giudice Samuel Liebowitz stabilì che in quelle condizioni non poteva essere processato per i 47 capi d’accusa che pendevano sulla sua testa. All’inizio fu portato in un manicomio di New York: ma, qui, i medici che lo esaminarono, giudicarono molto grave la tubercolosi da cui era affetto e, dandogli poche settimane di vita, lo fecero trasferire in un sanatorio.

Probabilmente, la condizioni di salute di Metesky si erano deteriorate perché l’uomo, al di là delle apparenze, non prestava la dovuta attenzione alle cure cui avrebe dovuto sottoporsi. Infatti, dopo un anno e mezzo di soggiorno in sanatorio e di assidue terapie farmacologiche, si riprese benissimo e fu riportato in manicomio. Qui, si dimostrò un paziente tranquillo e collaborativo, e ricevette regolari visite da parte delle sorelle e perfino da parte di Brussel, con cui instaurò un rapporto quasi amichevole.

Nel 1973, una sentenza della Corte Suprema stabilì che i malati di mente non pericolosi non potevano essere rinchiusi nei manicomi, perciò Metesky fu trasferito in un ospedale psichiatrico, dove pure continuò a comportarsi benissimo. Il suo avvocato fece richiesta di libertà vigilata, dato che l’uomo aveva già scontato due terzi della massima pena che avrebbe potuto essergli inflitta se fosse stato processato (25 anni) e questa fu accolta. Metesky fu dunque liberato il 13 dicembre 1973, con il solo obbligo di sottoporsi a visite periodiche presso il centro di Igiene Mentale più vicino a casa sua. Non diede più nessun problema fino alla morte, giunta il 23 maggio 1994.

Dopo il caso Metesky, James A. Brussel divenne una celebrità e finì per occuparsi di diversi altri casi criminali, affinando sempre più i suoi metodi di profilazione e spesso ottenendo clamorosi successi, anche se non mancarono casi di insuccessi o di mancata collaborazione con poliziotti o giudici che non lo prendevano abbastanza sul serio. Nel 1971 pubblicò anche un libro in cui narrò in modo avvincente le storie dei principali casi criminali da lui risolti, tradotto in Italiano da Garzanti con il titolo “Le inchieste di uno psichiatra criminologo” e ancora reperibile, sebbene da tempo fuori catalogo, in qualche sito di usato o vintage. Continuò a lavorare sui profili criminali fino alla morte, giunta nel 1982 all’età di 77 anni.

Sotto, il notiziario del suo arresto:

Roberto Cocchis

Barese di nascita, napoletano di adozione, 54 anni tutti in giro per l'Italia inseguendo le occasioni di lavoro, oggi vivo in provincia di Caserta e insegno Scienze nei licei. Nel frattempo, ho avuto un figlio, raccolto una biblioteca di oltre 10.000 volumi e coltivato due passioni, per la musica e per la fotografia. Nei miei primi 40 anni ho letto molto e scritto poco, ma adesso sto scoprendo il gusto di scrivere. Fino ad oggi ho pubblicato un'antologia di racconti (“Il giardino sommerso”) e un romanzo (“A qualunque costo”), entrambi con Lettere Animate.