E’ calda l’estate di quel 1321. E’ calda perché, oltre alla calura del solleone di Luglio/Agosto, nel mare Adriatico si svolge una battaglia fra le Galee del comune di Ravenna, guidato dai signori Da Polenta, e le Navi della Repubblica di Venezia. Una battaglia e probabilmente diverse schermaglie, un continuo conflitto che non fa bene ai commercianti veneti.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
La disputa verte sul commercio del sale nell’Adriatico, ma affonda le radici nell’antica rivalità che contrapponeva i ravennati, alleati decenni prima ai padovani, e i veneziani, rei, fra le altre cose, di tentare di guadagnare territorio sulla terraferma allargandosi anche nella zona d’influenza di Ravenna.
Ritratto di Dante di Sandro Botticelli:
In un clima molto teso la guerra fra le due città sembra inevitabile. Ravenna, dal canto proprio, non può certo schierare un esercito di prim’ordine. Sono lontani i tempi in cui era capitale dell’Impero Romano d’Occidente, dal 402 al 476 d.C., ma sono lontani anche i tempi di Teodorico, quando la città diventa capitale del Regno dei Goti, oppure quando Giustiniano la rende Capitale dell’Esarcato d’Italia, abitata da circa 60.000 persone. Ravenna è una città piccola, con modestissime risorse, ormai popolata da uno sparuto pugno di abitanti, 10.000 persone, contadino più contadino meno.
Di fronte alla ricchezza dei commercianti Veneziani, alle risorse del suo esteso Stato da Mar, la città romagnola assomiglia a un micro staterello di fronte a una grossa potenza.
Per Ravenna non ci sarebbe quindi storia, ma la città può mettere in campo una stella della diplomazia medievale:
Dante Alighieri
Il sommo poeta, che noi oggi celebriamo moltissimo per la Divina Commedia e decisamente meno per la sua storia personale di politico e diplomatico, è ospite a Ravenna da circa 3 anni. Da quando, per un motivo a noi sconosciuto, ha lasciato Verona per dormire sotto il tetto dei Da Polenta.
Andrea Pierini, Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello, 1850, dipinto a olio, Palazzo Pitti-Galleria D’Arte Moderna, Firenze:
Il suo mecenate, Guido Novello Da Polenta, gli chiede di andare a Venezia per tentare una mediazione che scongiuri una guerra fra le due città. Durante Alighieri, detto Dante, accetta la proposta e raggiunge la Serenissima. Non si sa esattamente quando Dante sia arrivato a Venezia, dovrebbe comunque essere un giorno fra la fine di luglio e l’inizio di Agosto, ma quel che è certo è che l’ambasceria non è seguita, come si pensava, da un’appassionata orazione. A Dante viene impedito di parlare ai notabili della città perché i veneziani “temono di farsi convincere”, e gli stessi veneti gli impediscono di far ritorno in Romagna via mare perché l’Alighieri avrebbe potuto portare dalla propria parte l’ammiraglio della flotta di Venezia.
Queste, naturalmente, sono tutte testimonianze e voci che sono bel al di là dal rappresentare una certezza storica. Le fonti sono diverse, e tutte poco concordi fra loro.
Dante, che non riesce a ottenere il diritto di parlare in senato o di fronte al consiglio dei Dieci, torna a Ravenna, e in quei giorni Venezia sigla un’alleanza con la città di Forlì, guidata dagli Ordelaffi di fede ghibellina, che farebbero volentieri la pelle ai guelfi Ravennati.
Non è certo se la sua missione riscosse quel successo che Guido da Polena sperava, ma lui e una nuova ambasceria ravennate, di cui rimane traccia nei giorni di Ottobre a Venezia, evitano la guerra. Venezia, e la sua alleata Forlì, non attaccano Ravenna, che rimarrà ancora libera e indipendente fino al 1441, quando la Serenissima la annette ai suoi domini e ne ribalta in meglio una situazione economica disastrosa.
Luca Signorelli, Dante, affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle Storie degli ultimi giorni, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto:
Di quel viaggio di Dante rimane una curiosa testimonianza, un aneddoto della furbizia del poeta, raccontata da Giovanni Villani nel suo “Nova Cronica”, che ci spiega come andarono le cose fra il Poeta e il Doge Giovanni Soranzo: “fu invitato dal Dose a desinar a tempo di pesce. Erano oratori che lo procedevano e loro avevano grossi pesci davanti e Dante più piccoli, il quale ne tolse uno e se lo pose all’orecchio. Il Dose gli domandò che cosa volesse dir questo. Rispose che suo padre era morto in mare e che domandava al pesce novella di lui. Il Dose disse: Ben, che ve dìselo?. Rispose Dante: El dise lui e i suoi compagni esser troppo giovini e non si ricordano, ma che qui ne sono di vecchi e grandi, che mi sapran dar novella. E il Doge, capito il bèrgamo (lo scherzo), gli fece servire un pesce più grande“.
Alla fine di Agosto del 1321 Dante torna nella sua città d’adozione, ma il viaggio attraverso il Polesine, gli acquitrini di Comacchio e le paludi della Pianura Padana ne hanno gravemente minato la salute. Non si sa se il cinquantaseienne fiorentino si fosse ammalato durante il viaggio d’andata a Venezia o durante quello di ritorno a Ravenna, oppure addirittura in città, ma quel che è certo è che al suo ritorno in Romagna sta malissimo.
Il poeta fiorentino, ormai martoriato dalla malaria, muore a Ravenna nel Settembre di quell’anno
Almeno così ci dice il Boccaccio, ma la data non è certa. Gli epitaffi funebri testimoniano che sale in cielo il 14, di lunedì, mentre Boccaccio e altre fonti riportano domenica 13 settembre. Oggi si propende per un’ipotesi di compromesso, ovvero la morte il 13 settembre, anche in tarda notte o vicino alla mezzanotte, e poi la comunicazione del triste evento da parte dei figli e dei familiari a Guido Novello e agli amici soltanto il lunedì, quando bussano alle porte dei palazzi ravennati per dare notizia della morte di Durante, detto Dante, Alighieri.
A Ravenna si svolgono funerali degni di un capo di stato, nella chiesa di San Pier Maggiore (oggi San Francesco) a Ravenna, alla presenza delle massime autorità cittadine e dei figli del politico e poeta.
Veduta della Basilica di San Francesco, Ravenna. Fotografia di Paolobon140 condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia:
Le sue spoglie, da allora, rimangono custodite qui, in questa zona di silenzio dantesco, un luogo magico della mia città, non insignito del riconoscimento “UNESCO – patrimonio dell’umanità”, probabilmente perché non ha un valore artistico d’eccezione come gli altri monumenti mosaicati di Ravenna. Un ambiente che solo chi lo ha visto misterioso immerso in una brumosa nebbia di novembre, oppure “nell’ora che volge il disio”, magari mentre leggeva un canto della divina commedia studiando per un’interrogazione in terza liceo, può apprezzare il suo unico calore. Un luogo poetico, ma che per me sa tanto di casa.