Luigia Manfrini Farnè, al secolo Luisa Ferida, fu una delle più acclamate dive cinematografiche del periodo del ventennio fascista. Nata a Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna, dotata di eccezionale bellezza, dopo alcune esperienze teatrali, esordì nel cinema interpretando numerosi film, che le procurarono i consensi della critica e la visibilità presso il grande pubblico grazie al talento drammatico e alla recitazione intensa ed espressiva, così dissimile dall’interpretazione esasperata ed enfatica tipica di molte attrici dell’epoca.
Il vero successo, tuttavia, giunse tra il 1937 ed il 1938, quando recitò accanto al celebre Amedeo Nazzari in pellicole quali “La fossa degli angeli” o “Il conte di Brechard”.
Sotto: Amedeo Nazzari e Luisa Ferida ne “La fossa degli angeli”, film considerato definitivamente perduto:
Nel 1939 Alessandro Blasetti la chiamò ad interpretare il film “Un’avventura di Salvator Rosa”, sul cui set incontrò Osvaldo Valenti, un fascinoso attore di successo, cui si legò sentimentalmente.
Sotto, Luisa Ferida e Gino Cervi in una scena del film “Un’avventura di Salvator Rosa”:
Erano gli anni del cinema dei “telefoni bianchi”, un filone della commedia cinematografica degli anni Trenta che usava spesso, nelle sue ambientazioni borghesi in stile Déco, accessori come i telefoni bianchi che – a differenza dei più popolari ed economici telefoni in bachelite nera – rappresentavano un oggetto di desiderio, espressione di uno status symbol che pochi potevano permettersi.
Le trame della produzione di questo genere cinematografico italiano presentavano spesso caratteristiche ricorrenti: una ragazza di umili origini conquistava il cuore di un uomo di condizione sociale più fortunata e, a seguito di vari equivoci e fraintendimenti, riusciva infine nell’intento di sposarlo. I soggetti e le sceneggiature dei film erano solitamente ambientati in immaginari stati dell’Est europeo per ragioni legate alla censura, in quanto temi ricorrenti erano anche la minaccia di divorzio, all’epoca illegale in Italia, oppure di adulterio, perseguibile come reato contro la morale.
Nel filone rientravano pellicole come “Mille lire al mese”, il film che lanciò l’omonima, famosissima canzone, e che segnò in modo indelebile un’epoca dipinta nella finzione cinematografica come spensierata, ma distante anni luce dalla realtà dell’Italia povera e rurale della vigilia del secondo conflitto mondiale.
Sotto, Alida Valli canta Mille Lire al Mese. L’attrice interpretò, insieme a Osvaldo Valenti, l’omonimo film:
L’incontro con Osvaldo Valenti segnò un felice sodalizio sentimentale ed artistico per la Ferida, che venne giudicata dai critici un’attrice di grande sensibilità interpretativa in film quali “La corona di ferro” del 1941 o “Fari nella nebbia” del 1942, per il quale ottenne il premio come migliore attrice italiana dell’anno.
Sotto: Osvaldo Valenti e Luisa Ferida in “La bella addormentata” (1942) di Luigi Chiarini:
Ma il dramma era ormai alle porte
Se durante gli anni del regime Osvaldo Valenti e Luisa Ferida non avevano aderito in maniera manifesta al fascismo – anzi, era famosa, in alcuni ambienti romani, la divertente imitazione che l’attore faceva del leader fascista – dopo l’Armistizio dell’8 settembre del 1943 entrambi i divi furono tra i pochissimi ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana, partendo entrambi alla volta di Cinevillaggio, la struttura per la produzione cinematografica, sorta su iniziativa del Ministero della Cultura Popolare della Repubblica Sociale Italiana, come alternativa al complesso romano di Cinecittà.
A Cinevillaggio, presso Venezia, la Ferida e Valenti nel 1944 girarono il loro ultimo lungometraggio dal titolo ”Un fatto di cronaca”. L’attrice, che era incinta, in quel periodo perse anche il figlio Kim, poco dopo la nascita. Il lutto subito colpì profondamente entrambi i divi, e Valenti rinunciò ad un contratto molto remunerativo in Spagna, sentendo il dovere di restare nel proprio paese, come ebbe a scrivere in una lettera ad un caro amico.
Sotto, l’attore con la divisa della Xª Flottiglia MAS:
L’attore decise di unirsi quindi, con il grado di tenente, alla Xª Flottiglia Mas, un corpo militare indipendente al comando del principe Junio Valerio Borghese, entrando in contatto con la tristemente nota banda di Pietro Koch.
Koch fu un criminale di guerra che, insieme ai suoi accoliti, caratterizzò il panorama convulso dei mesi successivi all’Armistizio, impiegando metodi di repressione violenti e terroristici che inclusero la tortura e l’omicidio dei partigiani ma anche di persone innocenti non impegnate nella guerra.
Nella notte del 30 aprile del 1945, dopo un processo sommario in cui era stata accusata di collaborazionismo e di tortura nei confronti di alcuni partigiani, Luisa Ferida, a soli 31 anni, nuovamente incinta, cadde vittima di una raffica di mitra a Milano insieme ad Osvaldo Valenti.
Mentre fronteggiava il plotone di esecuzione, Valenti aveva tentato di scherzare con lei ricordandole che era il momento di provargli sul serio che lo avrebbe seguito fino alla morte, così come aveva promesso di fare tante volte nei momenti di passione. La Ferida però, terrorizzata, piangeva. Aveva ancora in mano la scarpina azzurra acquistata per il figlio Kim, quando la ritrovarono.
Più tardi lo stesso responsabile dell’esecuzione materiale dell’attrice, Giuseppe Marozin, ebbe a dichiarare che la donna era estranea ai fatti, e che la sua morte fu semplicemente dovuta all’essere la compagna di Osvaldo Valenti. La sua estraneità alle vicende politiche dell’epoca e il suo non coinvolgimento in atti di sangue ai danni della popolazione civile o partigiana furono successivamente confermati da un’inchiesta compiuta dai carabinieri di Milano all’atto dell’istanza, da parte della madre della Ferida negli anni ’50 (Luisa Pansini), di ottenimento di una pensione di guerra, essendo Luisa l’unica sua fonte di sostentamento.
Il diritto alla pensione fu riconosciuto all’anziana signora perché l’attrice fu ritenuta estranea ai fatti
Calava così tragicamente il sipario su di un’artista che era stata una stella del cinema italiano dei telefoni bianchi, la cui unica colpa era probabilmente stata il seguire il suo compagno fino alla fine.
Sotto, la fotografia dei corpi dove si legge, in un cartello sulla pancia dell’attrice:
Giustiziata perché collaboratrice del seviziatore O Valenti
La vicenda dei due divi, caduta per molti anni nel dimenticatoio, è tornata alla ribalta nel 2008 con il film “Sanguepazzo”, interpretato da Luca Zingaretti e da Monica Bellucci, per la regia di Marco Tullio Giordana, che ripercorre le brevi vite dei due attori belli e dannati, dai momenti di fama agli ultimi atti del comune, atroce destino.