Luigi Tenco: lo strano Suicidio dopo Sanremo

La mia più grande ambizione è quella di fare in modo che la gente possa capire chi sono io attraverso le mie canzoni, cosa che non è ancora successa”.

Con questa battuta rilasciata nel corso di una intervista con Sandro Ciotti (era l’anno 1962), si potrebbe riassumere l’essenza di Luigi Tenco, il grande cantautore che mise fine alla sua vita il 27 gennaio 1967, a soli ventotto anni, nella stanza 219 dell’hotel Savoy di Sanremo.

La sua breve vita fu segnata non solo da un ineguagliabile per quanto incompreso talento per la realizzazione di musica e testi, ma anche da un grande turbamento interiore. Il suo sguardo attirava il pubblico anche per l’irrequietezza che ne traspariva: ombroso, inintelligibile; sulle sue labbra raramente affiorava un sorriso e quando succedeva non bastava a far svanire quell’alone di malinconia che le permeava.

Luigi Tenco nasce da una relazione extraconiugale della mamma, Teresa Zoccola, con un componente di casa Micca, la ricca famiglia presso la quale prestava servizio. Non si chiarirà mai del tutto se la donna avesse concepito il bambino con il capofamiglia, Carlo, o col figlio sedicenne Ferdinando. Scoperta la gravidanza, Teresa Zoccola, già separata dal marito e con un altro figlio di nome Valentino, scappa da Torino per ritornare nel suo paese di origine, Cassine, in provincia di Alessandria. Qui il 21 marzo 1938 nasce Luigi.

Luigi Tenco in piazza San Pietro, Roma

Fotografia di sconosciuto (Mondadori) di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Il nascituro prende il cognome di Giuseppe Tenco, marito della madre; purtroppo però l’uomo non vedrà mai nascere il piccolo perché morirà poco prima a causa di un incidente nella stalla in cui lavora.

Ferdinando Micca, intanto, si fa avanti per riconoscere Luigi come suo figlio biologico, ma il padre glielo impedisce. In seguito Ferdinando si sposerà con un’altra donna ma non avrà altri figli.

Luigi Tenco cresce dunque senza una figura paterna, vivendo con la madre e i nonni tra Cassine, Maranzana e Ricaldone. Qualche anno più tardi una prima ombra cade sulla sua serenità di fanciullo: apprende che il suo defunto padre non è in realtà il suo genitore, una verità della quale persino i nonni non sanno nulla. Questa improvvisa scoperta lo segnerà nel profondo, al punto tale che più avanti deciderà di allontanarsi dalla famiglia.

Passano gli anni e Teresa e il piccolo Luigi si trasferiscono in Liguria, a Genova, dove si muovono continuamente, da un quartiere all’altro: da Genova Nervi a Foce Genova, da Albaro di Genova a Genova-San Martino.

Luigi intanto studia con profitto matematica e fisica, ma dentro sé comincia ad amare la musica. Il bambino cresce e si iscrive prima al Liceo Classico “Andrea Doria”, poi allo Scientifico “Galileo Galilei”, in cui consegue la maturità. Teresa nutre alte aspettative nei confronti di Luigi, così lo affida a una maestra privata, Sandra Novelli. L’insegnante si accorge subito dell’innato talento musicale del ragazzo. La lieta scoperta avviene quando la Novelli introduce al pianoforte Luigi che dimostra fin dal principio un’incredibile predisposizione naturale. Dal pianoforte alla chitarra, dal clarinetto al sassofono, Tenco impara in fretta e persino da autodidatta: ha talento, orecchio, è intelligente e appare oltremodo più maturo dei suoi coetanei. La frequentazione dei soliti ritrovi genovesi dice molto della sua brillante personalità: nei locali si muovono grandi nomi come quelli di Fabrizio De André, Gino Paoli, Umberto Bindi e Giorgio Calabrese.

Questa passione per la musica, però, non viene ben vista in famiglia poiché, all’epoca, la musica non era considerata un lavoro perché non bastava certo per mantenersi. Per l’intelligenza che possedeva, per Luigi Tenco si doveva prospettare più un futuro da studioso che da cantautore.

Suo zio, Tino Tenco, dirà di lui:

Luigi aveva una memoria straordinaria, gli bastava leggere una cosa per ricordarla perfettamente. In seconda media risolveva con disinvoltura complicate equazioni differenziali. A me e alla mamma sembrava logico, inevitabile che proseguisse gli studi fino alla laurea. Sprecare un talento del genere ci appariva un delitto. Ce lo immaginavamo ingegnere, o professore di fisica e di matematica. A quell’epoca cantare non era affatto considerato un mestiere”.

Luigi Tenco nel 1956 si iscrive al corso di laurea in Ingegneria Elettrotecnica, ma dopo un po’ passa a Scienze Politiche. Alcuni esami dopo, però, decide di mollare del tutto gli studi per darsi completamente a ciò che amava di più: la musica.

Riprende perciò a frequentare la cosiddetta “Scuola genovese” e forma la sua prima band, i Jelly Roll Boys Jazz band. Tenco esordisce suonando chitarra e alternandola al clarinetto. In questi anni nasce l’amicizia con De André, un’amicizia che si consolida nel 1960 quando lo stesso Fabrizio confesserà d’aver preso la canzone “Quando” – scritta dall’amico – per conquistar le donne. Alla morte di Tenco, sarà proprio Faber a dedicargli una canzone, scritta di ritorno dal suo funerale: “Preghiera di gennaio”.

De André ventenne (1960)

Fotografia di sconosciuto di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

In quella coda degli anni cinquanta, Tenco deve affrontare altri trasferimenti e talvolta si ritrova ospite a casa di amici, soprattutto quando va a Milano. Nella città lombarda il cantante lavora come arrangiatore per la Dischi Ricordi e aiuta nelle registrazioni artisti già importanti come Gino Paoli e Ornella Varoni. Nel 1959 riesce a incidere per la stessa casa di produzione il primo EP con quattro singoli, usando uno pseudonimo per non subire attacchi personali e danni all’immagine, poiché è iscritto al Partito Socialista (all’epoca esser iscritti al partito era una sicura stroncatura e si finiva con facilità nella “lista nera” dei servizi segreti della SIFAR).

Con la Ricordi Luigi si fa conoscere sempre di più e nel 1961 affronta la prima tournée all’estero, in Germania, con Paolo Tomelleri, Gian Franci Reverberi, Giorgio Gaber e Adriano Celentano. In questo periodo vive anche una breve parentesi cinematografia con Donatella Turri nel film “La cuccagna” e incide nuove canzoni tra cui “Cara maestra” che, censurata dalla RAI, lo porta all’allontanamento dall’azienda.

Nel 1963 si rompe l’amicizia con Gino Paoli a causa della relazione di Paoli con l’attrice Stefania Sandrelli. Tenco aveva avuto una flirt con la Sandrelli e non approvava il nuovo rapporto tra i due. Una versione smentita in anni recenti, racconta che Gino Paoli avesse tentato il suicidio, sparandosi al petto, per allontanare la ragazza da Tenco.

Nel 1965 Luigi Tenco abbandona la Dischi Ricordi per passare alla Jolly, altra casa di produzione. Nello stesso anno il cantante è chiamato al servizio militare obbligatorio. Per evitarlo si dichiara antimilitarista convinto, ma purtroppo il tentativo non è abbastanza convincente e così deve partire. La leva sarà comunque breve: a causa di svariati ricoveri per ipertiroidismo, Tenco riuscirà a congedarsi anzitempo.

Tornato a Genova e successivamente a Roma, incide il suo primo brano per la RCA Italiana. Il singolo si intitola “Un giorno dopo l’altro” che diverrà la sigla d’apertura dello sceneggiato per la tv “Il commissario Maigret”.

Durante i soggiorni romani, Luigi Tenco, conosce Dalida (al secolo Iolanda Cristina Gigliotti), cantante italo-francese con la quale inizia presto una relazione amorosa. Il cantautore ha però pure un’altra liaison, quella con Valeria, una ragazza che, rimasta incinta di Tenco, più avanti troverà una tragica fine travolta da un’auto in corsa.

Luigi Tenco con Dalida

Fotografia di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Nel 1967 arriva la svolta: Tenco è invitato al diciassettesimo Festival di Sanremo. Un contrariato Fabrizio De André lo inviterà a non prendervi parte, ma Luigi non vuole sapere ragioni: alla manifestazione vuole partecipare, per lui è una grandissima occasione per affermare la sua voce.

Tenco sale sul palco di Sanremo con la canzone “Ciao amore ciao” che, come si usava a quel tempo, è cantata da due voci: l’altra è proprio quella di Dalida.

Il brano, all’inizio, doveva portare un altro titolo, ossia “Li vidi tornare”, ma Tenco ne cambia alcune parole in corso d’opera, facendolo diventare un brano più accettabile, più da Sanremo, considerato che correva il rischio di venir censurato proprio per via del testo fortemente antimilitarista. In parte, la canzone originale contiene versi della poesia di Luigi Mercantini, “La spigolatrice di Sapri”, e fa riferimento alla sventurata spedizione di Sapri del 1857.

“Ciao amore ciao” non viene apprezzata, neppure con le modifiche attuate. Il brano non convince né giuria, né pubblico e Tenco crolla in un vorticoso sconforto. Già in procinto di salire sul palco per la sua esibizione, la sera del 26 gennaio 1967, visibilmente alterato e più inquieto del solito, Luigi Tenco aveva detto a Mike Bongiorno, conduttore della rassegna, le seguenti parole:

“Questa è l’ultima volta”.

Bongiorno, non immaginando il senso di quelle parole, risponde: “L’ultima volta che canti un brano fox”.

Il Casinò di Sanremo in una immagine d’epoca

Fotografia di Jose Antonio di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

L’esibizione di Luigi Tenco si rivela un vero disastro: l’esecuzione del brano “Ciao amore ciao” viene del tutto alterata dall’autore stesso che, prima di salire sul palco, avrebbe anche assunto un farmaco bevendoci su una grappa. Un cocktail micidiale. Tenco non tiene il ritmo e lo stesso maestro Gian Piero Reverberi fa una gran fatica a mantenerlo, per stare dietro al cantante. Dietro le quinte sono tutti sbigottiti dall’esibizione imbarazzante, tanto è vero che Dalida si lamenta urlando: “Così mi rovina la canzone”.

Quella sera, Luigi Tenco e Dalida vengono definitivamente eliminati dal festival. A caldo, il cantautore dichiara di volersi ritirare come cantante e fare soltanto l’autore.

Tempo prima, in un’intervista aveva detto:

“Canterò finché avrò qualcosa da dire e quando nessuno vorrà più ascoltarmi, bene, canterò soltanto in bagno facendomi la barba, ma potrò continuare a guardarmi nello specchio senza avvertire disprezzo per quello che vedo”.

Luigi Tenco durante Sanremo ’67, poche ore prima del suicidio

Fotografia di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Queste parole cadono perfette per ciò che accadrà quella sera all’hotel Savoy di Sanremo, successivamente alla puntata del festival.

Luigi Tenco viene ritrovato cadavere poco dopo la mezzanotte del 27 gennaio nella sua stanza, al numero 219. A trovarlo per primi sono Lucio Dalla e Dalida. Lo trovano disteso sulla schiena, gambe divaricate e piedi infilati sotto il comò. Camicia aperta e sulla canottiera una chiazza di sangue; un rivolo sgorga anche dalla bocca semiaperta. Frammenti di materia cerebrale son presenti vicino alla testa. Una pistola è abbandonata in mezzo alle gambe.

Da questo momento le dinamiche sono poco chiare: a quanto pare, Tenco, fino a un’ora prima il ritrovamento del cadavere è stato al telefono con Valeria, la presunta fidanzata, e, secondo la sua testimonianza, sembrava essersi calmato. I due avrebbero persino parlato di un viaggio in Kenya. Prima di queste parole, però, Luigi avrebbe espresso l’intenzione di denunciare alcuni fatti, con annessi nomi e cognomi, circa il sistema del festival, “fatti che vanno ben al di là della manifestazione”. Il cantante, ancora arrabbiato per l’esito della serata, avrebbe espresso la volontà di voler procedere tenendo una conferenza stampa. Probabilmente voleva denunciare delle scommesse clandestine che avrebbero offuscato la limpidezza del festival.

Il ritrovamento del corpo fa subito pensare al suicidio, anche se la scena viene inquinata: nella stanza entrano ed escono tantissime persone e il cadavere dell’artista viene spostato più volte, portato via e ricondotto nella camera. Suo fratello Valentino, arrivato all’hotel, si rende immediatamente conto che l’arma con la quale si sarebbe tolto la vita il fratello minore non solo è pulita, ma pare non essere mai stata usata. Oltre a ciò, l’uomo nota dei segni di ecchimosi sul volto del fratello.

E la pistola? L’arma era stata acquistata da Tenco per difesa personale, perché, una settimana prima un’automobile lo avrebbe speronato con l’intento di farlo uscire fuori strada.

Si è trattato davvero di un suicidio?

Una nuova autopsia sul corpo di Luigi Tenco è stata disposta nel 2005, trentotto anni dopo la sua misteriosa morte. Nulla di nuovo, però, è saltato fuori.

Le spoglie di Luigi Tenco riposano nel cimitero di Ricaldone, in provincia di Alessandria.

Questa storia finisce con l’ultima lettera del cantautore al suo amato pubblico, che poco lo comprese; una lettera che ha il sapore amaro della sconfitta e che avvalora il sospetto che Luigi Tenco non si sia tolto la vita, ma che qualcuno gliela abbia strappata:

“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda ‘Io tu e le rose’ in finale e ad una commissione che seleziona ‘La rivoluzione’. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno”.


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