Lucusta: avvelenatrice degli Imperatori Romani

L’omicidio per avvelenamento ha radici più antiche di quanto si possa pensare, che si sviluppano in tempi lontanissimi, antecedenti alla nascita di Roma, anche se, per entrare nello specifico, nell’Urbe l’avvelenamento era una delle armi di prima scelta quando si trattava di causare la morte di una personalità importante, o persino di un imperatore.

Proprio all’uso del veleno è legato il nome di Lucusta (o locusta), che divenne famosa per essere stata la prima serial killer donna documentata della storia.

Il trasferimento a Roma e l’attività di avvelenatrice

Le notizie sui primi anni di vita di Locusta – o Lucusta, come viene citata in alcune fonti – e sulla sua famiglia sono estremamente scarne. Quello che si sa di lei giunge dai resoconti degli storici Tacito, Svetonio, Giovenale e Dione Cassio, i quali ne scrissero molti anni dopo la sua morte, in un periodo di tempo in cui alcuni fatti che la riguardavano erano già entrati nel novero delle leggende.

Tutti loro concordano nel dire che Locusta fosse nata in una località imprecisata della Gallia, corrispondente all’attuale Francia e all’epoca provincia dell’Impero Romano.

Bozzetto per un costume teatrale di Locusta – Evgeny Ponomarev, 1902

Immagine di pubblico dominio

Locusta crebbe probabilmente in zone rurali e boschive, dove prese dimestichezza con piante ed erbe, apprendendone le loro proprietà officinali e, soprattutto, mortifere. Già in giovane età Locusta era in grado di creare cataplasmi, infusi e pozioni, ma ben presto si specializzò nella preparazione di veleni. Secondo le fonti, Locusta stessa, ben consapevole della pericolosità delle sostanze che preparava, era solita autosomministrarsi piccole dosi dei suoi innumerevoli veleni, in modo che il suo corpo ne sviluppasse l’immunità.

Per ragioni non note, intorno al 40 d.C., poco più che adolescente, Locusta lasciò la Gallia e si trasferì a Roma, dove aprì una bottega d’erboristeria sul colle Palatino. Qui iniziò a vendere erbe medicinali e a preparare filtri su commissione, creandosi in breve tempo una fitta rete di clienti che, tuttavia, non sempre si rivolgevano a lei per acquistare bevande terapeutiche o sostanze curative.

La clientela di Locusta era infatti composta principalmente da personalità influenti della politica e dell’economia romana, che avrebbero tratto grandi vantaggi o immensi guadagni dalla morte di un nemico, un rivale o un congiunto. Alla bottega di Locusta giungevano anche donne che desideravano interrompere una gravidanza indesiderata o uccidere un marito o un amante scomodo.

Locusta cominciò a preparare e a vendere i suoi veleni dietro un lauto pagamento, e in breve tempo la sua attività arricchì non solo le sue tasche, ma anche il numero delle sue conoscenze. La sua fama di avvelenatrice si diffuse rapidamente in tutta Roma, tanto che personalità di livello sempre più importante nella città, iniziarono a rivolgersi a lei per i suoi servigi. Gli stretti contatti con una cerchia così influente di persone procuravano a Locusta non solo fama e guadagno, ma anche protezione.

Nel corso della sua attività, Locusta fu arrestata più volte con l’accusa di avvelenamento e di infanticidio, ma i suoi ricchi protettori trovarono sempre il modo di ottenere la sua scarcerazione.

Fra le clienti di Locusta vi fu anche Valeria Messalina, moglie dell’imperatore Claudio. Messalina, stanca del suo amante Tito, chiese a Locusta un veleno per potersi sbarazzare dell’uomo. Fu questo il primo contatto di Locusta con l’ambiente imperiale.

Agrippina e l’omicidio di Claudio

Il destino e i veleni di Locusta s’intrecciarono inesorabilmente con la dinastia Giulio-Claudia, poco dopo il matrimonio tra l’imperatore Claudio e Agrippina Minore. Dopo aver fatto condannare a morte la moglie Messalina, Claudio convolò a nozze con Agrippina, vedova di Enobarbo e madre di Nerone.

Il matrimonio non si rivelò felice. Agrippina, donna intelligente, forte e ambiziosa, mal sopportava l’anziano e debole marito, e desiderava che fosse il figlio Nerone a diventare il nuovo imperatore.

Agrippina chiese l’aiuto di Locusta per uccidere il marito. L’omicidio non si prospettava di semplice attuazione: come tutti gli imperatori, Claudio aveva a sua disposizione degli assaggiatori personali, per assicurarsi che il suo cibo non fosse avvelenato; egli aveva inoltre l’abitudine di rigettare ogni pasto dopo averlo consumato, solleticandosi la gola con una piuma, in modo da espellere eventuali tracce di veleno.

Locusta sperimenta un veleno su uno schiavo – tavola preparatoria del pittore Gabriel Martin

Immagine di Sébastopol76 via Wikipedia – licenza CC BY-SA 

Locusta corruppe l’assaggiatore personale di Claudio e il suo medico di corte, Senofonte. Dopodiché, fece servire all’imperatore un piatto di funghi che aveva precedentemente contaminato con dell’aconito. Quando Claudio, dopo aver terminato il piatto di funghi, ordinò che lo si aiutasse a vomitare, Agrippina gli fece portare una piuma la cui punta era stata, dietro indicazione di Locusta, intrisa di coloquintide, un’erba che accelera gli effetti del veleno.

Sofferente, Claudio chiamò Senofonte, il quale gli fornì un medicinale che era stato a sua volta corretto con del veleno da Locusta. L’imperatore morì avvelenato dopo sei ore di agonia.

Quest’improvviso decesso destò in molte persone dei forti sospetti, rivolti in primo luogo verso Agrippina e che non tardarono a giungere a Locusta, presto arrestata e incarcerata. L’omicidio dell’imperatore avrebbe sicuramente comportato la condanna a morte di Locusta, se il neo imperatore Nerone non fosse giunto in suo soccorso.

Britannico e la caduta di Nerone

Il diciassettenne Nerone sapeva di dovere molto a Locusta, ma non fu solo per gratitudine che ne orchestrò la scarcerazione. Nerone, infatti, si era trovato a dover far fronte a una minaccia che aveva sottovalutato: il fratellastro Britannico, figlio di Claudio e Messalina.

Britannico, tredicenne e cagionevole di salute – per questo escluso dal padre dalla successione al seggio imperiale in favore di Nerone – si dimostrò più caparbio di quanto Agrippina e Nerone avessero previsto, e denunciò non solo l’omicidio di Claudio, ma anche l’illegittimità di Nerone come erede.

Nerone, all’oscuro della madre, decise di ucciderlo, e chiese a Locusta di avvelenarlo.

Per motivi sconosciuti, un primo tentativo di avvelenamento fallì, poiché la dose di veleno somministrata a Britannico non fu sufficiente ad ucciderlo. Nerone era così furioso che arrivò a schiaffeggiare in pubblico Locusta. La donna, forse per timore di punizioni più severe, si difese sostenendo di aver fallito di proposito, e che quel primo avvelenamento era stato una “prova” atta ad assicurarsi che nessuno sospettasse l’omicidio. Sperava infatti che quella piccola dose di veleno sarebbe stata abbastanza da far cedere il fragile corpo del ragazzino.

Nerone l’avvertì che non avrebbe tollerato un secondo tentativo andato a monte. Locusta allora fece degli esperimenti, testando le dosi di veleno prima su una capra e su un maiale, e somministrandolo infine a uno schiavo, il quale morì dopo sole due ore.

Locusta testa il veleno su uno schiavo in presenza di Nerone – Joseph-Noël Sylvestre, 1876

Immagine di pubblico dominio

Locusta e Nerone decisero di avvelenare il vino di Britannico. Questa volta però sembrava impossibile corrompere l’assaggiatore, al quale venne dato un bicchiere di vino diluito con molta acqua calda. Britannico, dopo aver assaggiato il vino a sua volta, si lamentò del fatto che fosse bollente, e chiese che gli fosse versata dell’acqua fredda: proprio in questa vi era il veleno di Locusta.

Britannico morì in preda a terribili convulsioni e il suo decesso venne attribuito a uno degli attacchi di epilessia di cui il giovane soffriva.

Nerone fu molto soddisfatto, e ricoprì Locusta di onori: le donò denaro, gioielli e possedimenti terrieri, e le consentì di aprire una propria scuola dove poter insegnare le proprietà delle erbe.

Locusta si ritirò dall’attività di avvelenatrice e visse nel lusso e nell’agio fino al 68 d.C., anno del suicidio di Nerone.

L’avvelenatrice degli imperatori

Con la morte di Nerone, la fortuna di Locusta terminò per sempre. Il nuovo imperatore Galba ordinò l’arresto di tutte le persone che erano o erano state affiliate a Nerone, e nel 69 d.C. anche Locusta venne condannata a morte.

Leggenda vuole che Locusta venne fatta violentare da una giraffa e poi condannata a essere dilaniata dalle belve dell’arena; tuttavia, più probabilmente fu strangolata e il suo corpo dato alle fiamme.

Sebbene Locusta sia divenuta nota come la prima serial killer donna della storia, il termine risulta inappropriato, poiché i suoi omicidi erano commessi dietro commissione, e mancavano – a quanto risulta dalle fonti – della componente di gratificazione personale propria degli assassini seriali. Una psicologa e ricercatrice dell’Università del Michigan, Katherine Ramsland, ha definito Locusta come una “necro-imprenditrice”: la sua attività di omicida era fondata sul fornire ai suoi clienti gli strumenti per procurare la morte di qualcuno.

Ma sebbene in criminologia la sua definizione resti sfumata, nella storia romana Locusta è e sarà ricordata come “l’avvelenatrice degli imperatori”.


Pubblicato

in

da