Il punto di partenza della vicenda che stiamo per raccontare è costituito da due opere d’arte, risalenti allo stesso periodo.
La prima è una scultura che raffigura una donna dal bel personale esaltato dalla scollatura del lungo abito, con i capelli acconciati a boccoli, sdraiata sul fianco destro, con la mano a reggere la testa, opera di Jean-Jacques Pradier. Si intitola “Penserosa” ed è stata presentata per la prima volta nel 1837.
La seconda è un quadro che raffigura una ragazza dall’aria malinconica che ricama seduta a un tavolo sotto una finestra, con il panorama di una città antica al crepuscolo sullo sfondo, opera di Joseph-Désirè Court. Si intitola “Rigolette prova a distrarsi in assenza di Germain” ed è stato presentato per la prima volta nel 1842 (Rigolette e Germain sono due personaggi del romanzo “I misteri di Parigi” di Eugène Sue, un bestseller del tempo).
Dietro un’opera d’arte che mostra una figura umana, si sa, non c’è solo l’artista che ha materialmente realizzato l’opera. C’è anche chi ha posato per prestare le proprie fattezze al personaggio ritratto. A partire da Raffaello, con le sue amanti facilmente riconoscibili nei panni delle Madonne, i modelli e soprattutto le modelle hanno lasciato importanti tracce della loro identità reale. Un bellissimo quadro italiano di fine ‘800, “Sogni” di Vittorio Corcos, mette al centro lo sguardo enigmatico e sensuale (di quella sensualità che solo le persone intelligenti possono mostrare) della sua fidanzata di allora, Elena Vecchi, figlia di uno scrittore d’avventura che si faceva chiamare Jack La Bolina.
Le modelle dei Preraffaelliti inglesi erano spesso artiste anch’esse, come la sfortunata Elizabeth Siddal, moglie di Dante Gabriel Rossetti, ritratta come “Ophelia” da John Everett Millais, o la brillante Esther Kenworthy, la cui fama è oggi offuscata da quella del marito John William Waterhouse (che la ritrasse molte volte, ad esempio nello splendido “Windflowers”) ma in vita fu pittrice apprezzata e premiata. Si pensi poi alla lavandaia dai capelli rossi, Carmen Gaudin, che appare in molti quadri degli impressionisti francesi. Una vera storia delle modelle dei grandi artisti non è stata mai scritta. Ma alcune di esse hanno trovato il modo di farsi consegnare alla Storia in generale in altri modi. Per esempio, le due con cui abbiamo cominciato, che non si sono mai conosciute direttamente, anche se le loro vicende hanno finito per intrecciarsi tra loro in modo indissolubile per dar vita a uno dei più famosi (e importanti) personaggi della letteratura moderna, Emma Rouault, comunemente detta:
Madame Bovary
La modella di “Penserosa” si chiama Louise Colet, è vissuta dal 1810 al 1876 ed è stata una scrittrice (sfortunatamente per lei, molto mediocre). La modella di “Rigolette” si chiama Delphine Coutourier, è vissuta dal 1822 al 1848 ed è stata la moglie di un ufficiale sanitario di un paesino della Normandia. A tenerle insieme, un uomo che è legato a entrambe in modo diverso. Si chiama Gustave Flaubert, nato nel 1821. Vediamo come.
La storia di Delphine
Comincia quando un ufficiale sanitario di Ry, in Normandia, Eugène Delamare (ex compagno di scuola di Flaubert ed ex allievo del padre di Flaubert, professore universitario di Medicina), nato nel 1813, resta vedovo e, nel 1839, decide di risposarsi con la giovanissima Delphine. La ragazza, figlia di contadini benestanti, bella e sognatrice, dopo la nascita della figlia Alice, ha una relazione con un ricco proprietario terriero, Louis Campion Road, che tenta invano di convincere a fuggire insieme. L’uomo, per tutta risposta, la pianta e lei si consola con un giovane studente in Legge, Narcisse Bollet. Anche questi però la abbandona. Intanto, Delphine ha condotto una vita quanto mai dispendiosa e contratto moltissimi debiti. In un momento di sconforto, mentre tutto il paese è impegnato nel mercato settimanale, si avvelena. Il marito la soccorre e chiama tutti i migliori medici che conosce (compreso il padre di Flaubert) ma, nonostante le intense sofferenze, Delphine non rivela la natura del veleno e, non essendo possibile somministrarle alcun antidoto, muore l’8 marzo 1848.
Circa un anno dopo, Eugène, che era all’oscuro dei tradimenti e dei debiti della moglie ed è rimasto sconvolto nell’apprenderli, muore improvvisamente a sua volta. Di crepacuore, dicono gli amici.
Gustave Flaubert, ex studente in Legge (ha dovuto abbandonare gli studi anche per i problemi che gli provoca l’epilessia di cui soffre da bambino), sta a casa, mantenuto dalla ricca famiglia, e si sogna scrittore. Collabora con diversi giornali e ha già scritto alcuni racconti e un abbozzo di romanzo (che molti anni dopo diventerà “L’educazione sentimentale”). La vicenda lo colpisce profondamente, anche perché era affezionato al povero Eugène, che stimava molto.
La storia gli frulla in testa a lungo. Decide di farne un romanzo. Ci lavorerà sopra per 5 anni, dal 1851 al 1856, con la massima cura, a volte perdendo giornate intere alla ricerca “du mot juste” (“della parola giusta”) per descrivere qualcosa. Ma nel suo lavoro c’è un ostacolo. La protagonista del romanzo, la figura centrale, non può essere altro che Delphine. Però lui non la conosceva, non sa quasi nulla di lei, dei suoi gusti, dei suoi sentimenti, del suo mondo interiore. Ed è uno scrittore troppo dotato per abbassarsi a ridurla a un cliché.
Louise Colet
La situazione si sblocca quando gli arriva l’idea giusta. Qualche tempo prima, a Parigi, ha avuto una relazione con una scrittrice di poco talento e molte conoscenze, Louise Colet, sposata a un musicista ma abituata a vivere in modo spregiudicato (lo scultore Pradier l’ha ritratta molto realisticamente, visto che è stato uno dei suoi amanti). Questa è rimasta sempre molto attratta da lui (Flaubert è un uomo alto circa 190 cm e piuttosto atletico, nonostante la salute malferma) e non ha mai rinunciato all’idea di riprendere i contatti, dopo che lui è tornato in Normandia. Gli spedisce lettere in continuazione, anche se lui non è proprio entusiasta di riceverle. Ma, rileggendo le lettere della Colet, a Flaubert viene in mente che è proprio il tipo di donna che potrebbe fare da modello per il suo personaggio: frivola e fatua, spendacciona, si crede colta senza esserlo, se la tira come se ce l’avesse solo lei… insomma, è perfetta.
Sotto, fotografia di Gustave Flaubert:
Da quel momento, comincia a risponderle ponendole ogni sorta di domande personali, cui la Colet risponde entusiasticamente, convinta di aver ridestato in lui chissà quale interesse. E, man mano che la redazione del romanzo va avanti, Flaubert mette in bocca alla sua protagonista le parole della Colet, le attribuisce i suoi pensieri e i suoi gusti.
Il rapporto tra la corrispondenza Flaubert-Colet e la genesi del personaggio di Emma è stato oggetto di un libro di Dacia Maraini, intitolato appunto “Cercando Emma”:
Così, il libro (“Madame Bovary”) prende vita. Ry diventa Yonville. Eugène Delamare diventa Charles Bovary. Delphine/Louise diventa Emma Rouault. Louis Campion Road diventa il cinico Rodolphe Boulanger, convinto che tutto si possa comprare. Narcisse Bollet diventa Léon Dupuis, che prima fa il romantico e poi tratta Emma come una zavorra. Le tante conoscenze ed esperienze accumulate nei paesi della campagna normanna ispirano a Flaubert tutta una serie di personaggi secondari ma indispensabili al procedere della storia, come il tronfio farmacista Homais, convinto di essere chissà quale scienziato di valore, o il rapace mercante Lheureux, che manipola Emma facendo leva sui suoi desideri nascosti e la induce a dilapidare il patrimonio familiare.
Sembra incredibile, ma Emma è una delle donne più affascinanti di tutta la Storia della Letteratura. È sciocca, ignorante, irresponsabile, patetica… ma anche incredibilmente vitale e passionale, l’unica persona vera in un mondo di individui scialbi che sono capaci solo di indossare una maschera e recitare la parte loro imposta dalla società, morti dentro o peggio ancora mai vissuti, ossessionati dalle convenzioni sociali e ridotti a coltivare sogni banali che nemmeno si realizzeranno mai. È facile, per il lettore, innamorarsi di Emma e detestare quei suoi amanti che non la meritano, ancora più falsi di tutti gli altri, o solidarizzare con il povero Charles, un uomo parecchio ingenuo ma buonissimo, che si fida di tutti e si fa carico di tutte le responsabilità, comprese quelle che non gli toccano, accecato dall’amore per lei fino a morire per il dolore seguito alla scoperta dei tradimenti.
In qualche modo, Flaubert è riuscito a restituire una sincera dignità al compianto Eugène, ma anche a Delphine. La complessità del romanzo, però, va ben oltre, poiché si tratta di un’opera che affronta temi come la condizione femminile e la mediocrità borghese, riflettendo contemporaneamente anche sulla difficoltà di esprimere emozioni e sentimenti tramite il semplice linguaggio scritto (l’analisi dello stile, o meglio degli stili, di “Madame Bovary” ha sempre fatto scorrere fiumi di inchiostro in dotte analisi accademiche).
Il romanzo uscirà inizialmente a puntate sulla “Revue de Paris”, tra l’ottobre e il dicembre del 1856. Qualcuno cui non va giù la descrizione della grettezza del mondo provinciale e della sua ipocrisia si fa venire in mente di denunciare Flaubert e il direttore Léon Laurent-Pichat per oltraggio alla morale e alla religione: i due, processati nel febbraio del 1857, saranno però assolti. Il processo è un’eccellente cassa di risonanza pubblicitaria: l’edizione in volume appare il 15 aprile 1857 e in meno di due mesi vanno esaurite tutte le prime 7000 circa copie stampate (cifre che basterebbero a fare un bestseller anche oggi). E, dopo oltre 160 anni, questo successo non accenna a diminuire.
Come si può immaginare, quando lesse il romanzo e vi trovò i suoi pensieri trasposti quasi pari pari e attribuiti alla protagonista, Louise Colet non la prese molto bene. Questo evento rappresentò la ragione della sua rottura definitiva con Flaubert, del quale poi non perse occasione di parlare malissimo con gli altri intellettuali. Però sembra anche che, tutto sommato, verso la fine della sua vita, si sentisse anche un po’ lusingata da com’erano andate le cose. La fama letteraria che non le era giunta scrivendo, le stava arrivando in un altro modo, e forse immaginava che sarebbe stata una fama duratura.
Flaubert muore improvvisamente nella sua casa di famiglia, mentre si prepara a partire per una vacanza, l’8 maggio 1880. Ha scritto altri eccellenti libri, come “Salammbo” o “L’educazione sentimentale”) ma nessuno di essi ha neppure lontanamente eguagliato la risonanza di “Madame Bovary”.
Delphine Coutourier riposa nel vecchio cimitero di Ry, dove lei e Eugène furono sepolti uno accanto all’altra a un anno di distanza. Riposa per modo di dire, perché la celebrità a volte gioca brutti scherzi e, poco tempo fa, qualcuno ha rubato la lapide apposta in sua memoria dal Comune di Ry nel 1990. La sua tomba è però facilmente identificabile dalla continuità della stele che i familiari eressero in memoria di Eugène, che è ben visibile.
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