L’orrenda vendetta di Veronica: Gelosia omicida nella Firenze del ‘600

La storia di Veronica Cybo-Malaspina è quella di uno dei delitti più efferati nella Firenze del Seicento. Un delitto, lo vedremo, dovuto alla folle gelosia per il marito.
Il suo spirito inquieto si aggira ancora fra le mura dell’ospedale di Figline Valdarno? A quanto pare sì… Scopriamo questa storia a metà fra il noir e il paranormale.

La nobildonna e il suo sogno d’amore

Stemma Cybo-Mapaspina, Signori di Massa e Carrara (Immagine di pubblico dominio via Wikipedia)

Veronica Cybo-Malaspina nacque a Massa il 10 dicembre 1611, figlia quartogenita del Principe Carlo I e della nobile genovese Brigida Spinola. Lo stato governato dal padre, che allora comprendeva Massa e Carrara, ne faceva il centro della strategia politica del confinante Granducato di Toscana. Poter contare su di un’alleanza con il Principe metteva al sicuro i dominii settentrionali dei Medici da eventuali mire espansionistiche dei vicini.

Maria Maddalena d’Austria, granduchessa vedova di Cosimo II de’ Medici, ritratto di Tiberio Titi, 1610, Museo del Tesoro di Santa Maria dell’Impruneta, Impruneta Firenze (Immagine di pubblico dominio via Wikipedia)

A tal proposito, la quindicenne Veronica fu oggetto di interesse da parte della vedova del Granduca Cosimo II de’ Medici, Maria Maddalena d’Austria. La ragazza, anche se non particolarmente bella (dobbiamo fidarci delle fonti, dato che non possediamo suoi ritratti coevi), portava in dote la benevolenza del padre e anche una notevole ricchezza familiare. La ricerca di un potenziale marito portò a un risultato: Jacopo Salviati, marchese di Giuliano di Roma, esponente di una nobile famiglia fiorentina imparentata con i Medici.

Stemma Salviati, Patrizi fiorentini, Marchesi e poi Duchi di Giuliano Romano (Immagine condivisa su licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia)

Jacopo, nato nel 1607, aveva perso il padre ad appena due anni, ereditandone il titolo e i vasti possedimenti nella campagna romana: per lui le nozze rappresentavano un salto di qualità con l’apparentamento a un’importante stirpe. E probabilmente niente più. Per Veronica, giovane romantica e non particolarmente affascinante, il matrimonio con ogni probabilità era il sogno di una vita. E questo, vedremo più avanti, diventerà un problema.

Il contratto matrimoniale fu stipulato nell’aprile del 1627, mentre le nozze si svolsero a Massa durante il carnevale dell’anno successivo. Le cronache dell’epoca testimoniano il particolare sfarzo della cerimonia e dei festeggiamenti successivi.

La coppia, apparentemente felice, si trasferì a Firenze, nel centralissimo palazzo Salviati. Il 10 dicembre del 1628 il papa, il fiorentino Urbano VIII (al secolo Maffeo Vincenzo Barberini) nominò Jacopo Duca di Giuliano. L’anno successivo Veronica diede alla luce l’erede, Francesco Maria.

Jacopo era soddisfatto della piega che aveva preso la sua vita: era benvoluto nelle corti italiane più importanti del periodo, aveva un titolo di prestigio e una moglie ricca, anche se non bella.

Anche Veronica, dal canto suo, si sentiva realizzata: aveva un marito affascinante che amava profondamente e a cui aveva dato un figlio. La sua vita sarebbe stata felice d’ora in avanti. Forse.

La folle gelosia

Jacopo, come detto, aveva realizzato il sogno della sua vita: aveva ricchezza, potenza e anche un erede. Poteva quindi darsi alla pazza gioia e frequentare altre donne, magari più giovani e belle di sua moglie.

Presto si legò a una donna fiorentina che era celebre in tutta la città per la sua avvenenza: la ventenne Caterina Brogi. Ironia della sorte, la giovane signora era sposata con uno degli uomini più brutti e laidi di tutta Firenze, un tal Giustino Canacci, molto più vecchio di lei e con un primo matrimonio alle spalle.

Presto la relazione fra Jacopo e Caterina divenne di pubblico dominio e Veronica, sentendosi scivolare via il marito che amava tanto, decise di correre ai ripari.

Incontrando, forse per caso forse no, la rivale in amore in chiesa, la avvicinò e, apostrofandola con epiteti poco cortesi, arrivò a minacciarla pubblicamente di “fiera vendetta” se non avesse interrotto i rapporti con il marito. Caterina, però, non si fece intimidire. La tresca continuò come se niente fosse. Anzi presto Caterina rimase incinta e tutta la città sapeva chi fosse il padre: non il vecchio Canacci con cui la donna viveva da separata in casa, ma Jacopo Salviati.

Pazza di gelosia, Veronica arrivò a progettare un piano per attuare la “fiera vendetta”, poco tempo prima minacciata. Doveva avvicinare l’amante del marito in qualche modo e poi avrebbe fatto il resto. Certo non poteva, però, bussare alla sua porta. Caterina non era stupida, non l’avrebbe fatta di certo entrare. Ci doveva essere un modo, e la sua lucida follia glielo fece trovare.

Alla fine 1633 assoldò dei sicari provenienti da Massa per compiere il delitto. Poi avvicinò i fratelli Bartolomeo e Francesco Canacci, figli di primo letto di Giustino, e pigiò il giusto tasto: accennando al disonore del loro padre per il tradimento della loro matrigna, conosciuto in tutta Firenze, accese i loro animi.

La casa della famiglia Canacci in via dei Pilastri, n.4 a Firenze in venne compiuto il delitto di Caterina Brogi (Immagine condivisa su licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia)

Il piano sarebbe scattato la sera del 31 dicembre 1633. Ufficialmente, in Toscana, ancora in quel periodo, l’anno cominciava il 25 Marzo, ma, dalla riforma gregoriana del calendario (1582), si era cominciato a festeggiare anche il 31 dicembre come ultimo giorno dell’anno.

I sicari, complici Bartolomeo e Francesco, entrarono nella casa dei Canacci, e, approfittando del clamore della festività, colpirono a morte la povera Caterina, ma anche la governante che aveva cercato di difenderla. La vendetta era così compiuta, ma dovevano nascondere i corpi.

I cadaveri delle due poverette vennero fatti a pezzi e gettati parte in un pozzo e parte nell’Arno nottetempo. Non tutto, però, scomparve fra le acque. Su espressa richiesta di Veronica, gli assassini dovevano portarle in un cesto una prova dell’assassinio avvenuto, anzi LA Prova per eccellenza: la testa mozzata della rivale in amore.

E così fu. I sicari tornarono alla loro terra e i fratelli si sentivano al sicuro. Era tutto finito, ma non la follia di Veronica, la moglie tradita.

La tremenda vendetta

La casa della famiglia Canacci in via dei Pilastri, n.4 a Firenze in venne compiuto il delitto di Caterina Brogi (Immagine condivisa su licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia)

Veronica, morbosamente gelosa, doveva ancora placare la sete di vendetta verso il marito fedifrago. Il giorno dopo, Jacopo trovò in camera il consueto cesto con la biancheria da indossare. Ma, appena lo prese, si accorse che era straordinariamente pesante. La stoffa era poi macchiata di sangue. C’era qualcosa di strano, qualcosa che non andava. Tolse i panni, per capire cosa fosse successo; con orrore vide la testa di Caterina. Fu uno shock tremendo. Il palazzo Salviati, nel pieno centro di Firenze, fu scosso dalle sue urla e dai suoi pianti.

La moglie, perversamente soddisfatta, confessò candidamente il delitto, credendo, nella sua follia, che quell’atto potesse far tornare il marito da lei. Ma così non fu.

Ferdinando II de’ Medici Granduca di Toscana ritratto di Justus Sustermans, 1653, Gallerie degli Uffizi, Firenze (Immagine di pubblico dominio via Wikipedia)

Jacopo Salviati, comprensibilmente inorridito dal gesto della moglie, decise di agire in modo da poter salvare almeno l’onore. Si rivolse direttamente al Granduca Ferdinando II, narrandogli i fatti.

Il problema per lui, in quel momento, era mantenere i buoni rapporti con la potente famiglia Cybo, preservare la sua apparenza onorabilità di capo di famiglia, padre amorevole e marito “fedele”. Insabbiare, insomma, per quanto possibile, ogni voce di un coinvolgimento di sua moglie in un delitto tanto efferato, che aveva evidentemente scosso la città toscana.

Così la modesta famiglia Canacci fu tirata in ballo come unica responsabile dell’assassinio di Caterina e la scomparsa della sua governante. Erano loro che avevano ucciso la parente dai facili costumi che li disonorava. I figli di Giustino, diretti interessati, furono i maggiori sospettati e le autorità, come era uso nel tempo, li sottoposero a tortura per farli parlare. Francesco riuscì a resistere e, dopo un lungo periodo di detenzione, fu esiliato da Firenze. Il fratello Bartolomeo, invece, parlò. Nel tentativo di far cessare il tormento confessò tutto, anche troppo: si autoaccusò di aver ucciso la moglie del padre.

Fu condannato alla decapitazione, ma il Granduca, forse ascoltando le suppliche della figlia forse su pressioni del Salviati che, ricordiamo, voleva solo insabbiare tutto, accordò una grazia speciale: il condannato non sarebbe stato condotto in processione nel tradizionale luogo delle esecuzioni, fuori Porta alla Croce, ma dentro il cortile del Bargello, dove il boia avrebbe fatto il suo triste lavoro al riparo da occhi indiscreti (e di scomodi testimoni).

E Veronica?

Veronica Cybo-Malaspina non fu nominata neanche una volta nelle indagini per la morte di Caterina Brogi. Sparì quasi subito. Il marito, scandalizzato da quel comportamento, non la volle più in casa sua. La confinò nella sua Villa di San Cerbone, presso Figline Valdarno, un paese a una trentina di chilometri a sud di Firenze. Così reclusa non avrebbe più visto nessuno, in modo da non poter rivelare quello che era successo.

Lapide che ricorda Veronica Cybo nell’ex Villa di San Cerbone, oggi ospedale Serristori, a Figline Valdarno (FI) (Immagine condivisa su licenza CC BY 3.0 via Wikipedia)

Evidentemente sbagliò i suoi calcoli, dato che i pettegolezzi si propagarono in lungo e in largo. La voce incontrollabile della donna folle ed assassina rinchiusa a poca distanza dalla città si diffuse prestissimo. Già nel 1634 la famiglia Salviati lasciò la Toscana per stabilirsi a Roma, in un palazzo di proprietà in Via della Lungara.

Non conosciamo i rapporti personali fra i due coniugi, perlomeno nella sfera privata, ma una lettera del cardinale Alderano Cybo, fratello di Veronica, ci attesta che, almeno dal 1641, la coppia tornò a convivere.

Jacopo aveva forse ritrovato l’amore perduto per la consorte? O forse fu una mossa di convenienza, poiché abbandonare una donna appartenente a una famiglia tanto potente gli avrebbe causato dei danni? Questo noi, oggi, non lo sapremo mai.

Jacopo Salviati si dedicò all’arte e alla poesia per il resto della sua vita: fu membro dell’accademia della Crusca e collezionista di quadri. Morì a Roma nel 1672. Veronica lo seguì nella tomba il 10 settembre 1691, venendo sepolta nella cappella di famiglia nella basilica di Santa Maria sopra Minerva.

La chiesa di Santa Maria sopra Minerva: nella cappella Cybo è sepolta Veronica (Immagine condivisa su licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia)

Veronica è ancora fra noi?

La sinistra fama di Veronica Cybo, moglie gelosa e mandante di un assassinio, non finì dimenticata. Fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fu argomento di romanzi, poemi, opere tragiche e perfino un film muto. Le opere a lei dedicate ebbero un discreto successo, se contiamo quante opere le siano state dedicate (si veda la bibliografia, a questo proposito). Tuttavia, la sua fama non è dovuta alle opere letterarie che raccontano la sua macabra vicenda.

La Villa San Cerbone, oggi ospedale Serristori, Figline Valdarno (FI) (Immagine condivisa su licenza CC BY 3.0 via Wikipedia)

Il fantasma di Veronica, per chi ci crede, abita ancora le mura della Villa di San Cerbone a Figline Valdarno, che è stata trasformata nell’odierno Ospedale Serristori. Non conosciamo il motivo della sua presenza proprio in questo edificio, forse è dovuta a un particolare attaccamento quando era in vita o a un trasporto emotivo eccezionale quando vi fu confinata dal marito; fatto sta che, nel corso degli anni, si sono avute molte testimonianze della presenza dello spirito di Veronica nella villa.

Rumori a volte molesti o profumi provenienti da fonti invisibili si manifestano di tanto in tanto, soprattutto in estate e a ridosso della fine dell’anno. Spesso folate di vento gelido, senza che vi sia alcuna finestra o porta aperta, segnalano la presenza, almeno per coloro che vi abitano vicino o vi lavorano, dell’antico ospite. Lo spirito che vi abita sembra essere attivo principalmente d’estate e a ridosso di capodanno.

Una volta un imbianchino, la mattina dopo aver tinteggiato alcune stanze, vide che qualcuno aveva tappezzato il pavimento con piccole impronte dipinte di intonaco. E non solo: le tracce di piccole scarpe femminili si vedevano per tutte le pareti, come se qualcuno avesse camminato anche in verticale anziché in orizzontale. Inutile dire che la stanza fosse chiusa e che quell’ala dell’ospedale, che ospitava uffici amministrativi, fosse deserta di notte…

Un altro episodio narra di un padre che stava attendendo in sala di aspetto l’esito di un’operazione per il figlio, reduce da un grave incidente stradale. Quando il chirurgo uscì dalla sala per comunicare l’esito favorevole del suo intervento si sentì dire dal padre che una signora dai capelli scoperti e in abiti borghesi era già uscita da lì per dargli la lieta notizia. Anzi, l’uomo confessò le sue perplessità per l’abbigliamento della donna, perché pensava che, in ambienti sterili, si dovesse essere abbigliati perlomeno con camice e cuffia. Il medico e l’infermiere che era sopraggiunto nel frattempo si scambiarono una lunga occhiata: era stata certamente Veronica a comunicare che il bambino stava bene.

Il cortile della Villa San Cerbone, oggi ospedale Serristori, Figline Valdarno (FI) (Immagine condivisa su licenza CC BY 3.0 via Wikipedia)

Storie e leggende come ce ne sono tante in tanti vecchi edifici d’Italia. C’è chi dice anche di aver parlato con lo spettro: in particolare il fantasma avrebbe provato a scagionarsi dal delitto di cui la si incolpa, dicendo che in realtà fu la sua famiglia a voler punire Jacopo Salviati, e che non apprezza molto la biancheria di colore rosso che si indossa a capodanno, dato che le ricorda i panni arrossati dal sangue di Caterina Brogi fatti recapitare al marito proprio in quel giorno.

Più volte il personale e i pazienti dell’Ospedale di Figline Valdarno si sono sentiti tirare per la giacca o hanno visto una figura furtiva sgattaiolare via per un angolo o giù per le scale.

Ormai, a quanto pare, non ci badano più di tanto.

La presenza di Veronica Cybo, forse dispettosa ma mai molesta, è dunque parte della Villa di San Cerbone, dove fu confinata?

Per chi ci crede è ancora lì, a vegliare le mura entro le quali fu rinchiusa.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

https://it.wikipedia.org/wiki/Veronica_Cybo-Malaspina
https://it.wikipedia.org/wiki/Jacopo_Salviati,_I_duca_di_Giuliano
https://www.treccani.it/enciclopedia/veronica-cibo_(Dizionario-Biografico)

AA. VV. Cronica della Città di Firenze dall’anno MDXLVIII al MDCLII (codice pergamenaceo scritto a più mani), pubblicato in Storie dei municipj italiani illustrate con documenti inediti – Vol. 4, a cura di Carlo Morbio, Manini, Milano, 1838.
G. O. Corazzini, La strage della Caterina Canacci, in Miscellanea fiorentina di erudizione e storia, 1902
G. Viani Memorie della famiglia Cybo e delle monete di Massa di Lunigiana, 1808.
G. Notaro L’amante di Jacopo Salviati e altre storie, 2011

Drammi su Veronica Cybo (lista parziale)

F.A. Angeloni Veronica Cibo – Poemetto storico-romantico in tre canti, 1867
V. Bellagambi Veronica Cybo penitente, dramma storico in 4 atti o epoche, 1864.
R. Forti Veronica Cybo: cantica drammatica, 1859
P. Gasperi Veronica Cybo Duchessa di San. Giuliano, Tragedia, 1863
F. D. Guerrazzi Veronica Cybo Duchessa di San Giuliano, 1837/1857.
M. Mielvacque de Lacour Veronica Cybo, duchesse de San-Giuliano. Histoire d’un tableau . Récit authentique tiré des Annales Florentines, 1888.
Véronique Cybo ou La duchesse de San Giuliano. Mélodrame tragique en trois parties, opera in francese musicata da A. Graffigna su libretto di G. Peruzzini e M. Marcelliano Marcello rappresentata in Francia nel 1855, e in Italia, con titolo tradotto in italiano, fino al 1881
Veronica Cybo, duchessa di S. Giuliano melodramma tragico in 4 atti musicato da G. su libretto di G. Peruzzini) rappresentato al Teatro della Pergola di Firenze nel 1866.
A. G. Valori Veronica Cybo nei Salviati ovvero effetti tragici della gelosia – 1636 – romanzo storico, 1841
I. Zauli Sajani Veronica Cybo, dramma storico in 5 parti
E. Zwonar Veronica Cibo tragedia lirica in tre atti, 1857.
Anonimo Veronica Cybo ovvero il terribile assassinio commesso sulla persona di Caterina Canacci, 1873
Nel 1910 fu anche tratto un film, diretto da M. Caserini, tratto dall’opera mai rappresentata Veronica Cybo di R. Olivieri (1907)

Leonardo Conti

Informatico che combatte ogni giorno con i più strani problemi al pc dei suoi clienti. Ho perso il conto delle mie passioni, fra le tante: la lettura, la scrittura, la storia, la filosofia e, naturalmente, Siena, la mia bellissima città. Colleziono giraffe e penne stilografiche e vivo praticamente sommerso da fogli, blocchi degli appunti, libri (alcuni dei quali prima o poi li leggerò), in un ordine tutto mio (spiegazione di comodo), dove riesco (quasi sempre) a trovare tutto. Mi dicono che dormo poco, e io rispondo sempre che “dormo il giusto”.