Ne hanno parlato di recente la CNN nella sua sezione Travel, e Il Sole 24 ore, perché in tempi di pandemia, luoghi isolati e covid-free saranno, pare, le mete preferite per le prossime vacanze estive.
Linosa – Scalo vecchio
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
E se c’è un luogo isolato, talmente remoto che nemmeno il virus che ha stravolto le nostre vite è riuscito a raggiungere (almeno fino ad oggi), ebbene questo è Linosa, un’isola sperduta nel mezzo del Mediterraneo che, sebbene troppo spesso dimenticata da tutti (governanti e amministratori), appartiene all’Italia, insieme alla sorella Lampedusa (quella sì conosciuta, anche se non solo per la sua straordinaria bellezza), e al disabitato scoglio di Lampione: tutte e tre formano l’arcipelago delle Pelagie.
Lampedusa, mare trasparente e spiagge bianche, è di fatto un pezzo d’Africa che si è distaccato dal continente nero, mentre Linosa è l’esatto contrario: nera di rocce laviche che si riflettono in un mare cristallino, profondo e misterioso come la vita stessa.
Tramonto sulla Punta
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Arrivarci però, a Linosa, non è cosa semplice.
Lampedusa è servita da un aeroporto e da lì si può prendere un traghetto che in due ore arriva a Linosa, oppure un aliscafo (solo nei mesi estivi), che impiega meno di un’ora. Più facile a dirlo che a farlo, perché nella realtà bisogna fare i conti con le condizioni meteo, con il mare che improvvisamente si arrabbia e sconvolge i piani di turisti e residenti, e pure con la meccanica, che a volte tradisce i mezzi trasporto.
Mare in burrasca allo Scalo Vecchio
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Stessa cosa vale per chi vuole raggiungere l’isola partendo dalla Sicilia, per la precisione da Porto Empedocle (proprio la Vigata di Andrea Camilleri, nato in questo borgo marinaro). Il traghetto e l’aliscafo partono solo e se le condizioni del mare e di manutenzione dei mezzi lo consentono.
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Adesso forse si capisce meglio perché perfino il coronavirus ha avuto difficoltà ad arrivarci.
Ma quando, ancor prima di scendere a terra, si intravede l’isola – un piccolo scoglio nero nell’infinito blu del mare – si ha la certezza di aver fatto bene ad affrontare un lungo viaggio per arrivarci.
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
In realtà, quest’isola remota è selvaggia quanto basta da ispirare sentimenti contrastanti: o te ne innamori perdutamente, oppure scappi dopo pochi giorni.
Per innamorarsene occorre amare il mare aperto, quello che mosso dal vento si alza in onde che sembrano voler spazzare l’isola stessa e poi d’improvviso si acquieta in una tavola bianca e va a confondersi con l’orizzonte.
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Occorre amare un paesaggio aspro, a tratti lunare o quasi marziano, nelle rocce gialle e rosse dei vulcani, addolcito dall’acqua trasparente che lo circonda.
Cala Pozzolana di Ponente
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Occorre amare i silenzi delle notti stellate, e farsi sorprendere dal canto notturno delle diomedee, uccelli marini che intonano un lamento simile al pianto di un bambino, quando la luna non brilla nel cielo e il buio amplifica le emozioni.
Per chi non ci è abituato, può essere troppo: tanti anni fa, una signora arrivata da Milano, ospite dell’unico villaggio turistico che ha funzionato per qualche stagione estiva (intorno agli anni ’80), isolato rispetto al paese, è ripartita dopo un paio di giorni perché quel troppo silenzio, interrotto dal canto lugubre delle berte (dette anche diomedee), le incuteva sgomento.
Berte sul mare di Linosa
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Parlando di Linosa, mi permetto di contravvenire a una regola di Vanilla Magazine, che non pubblica mai articoli relativi ad esperienze personali.
In questo caso è tutto molto personale: Linosa, dove è nata mia madre, è per me un luogo dell’anima, anche se non la frequento ormai da molti anni, perché a volte la vita devia dai percorsi abituali e ti porta verso altre rotte.
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Conservo però ricordi preziosi, che ogni tanto si riaffacciano senza un vero motivo.
Allora arriva la nostalgia per quelle tranquille sere d’estate, quando il nonno, vecchio lupo di mare, mi parlava di stelle e di luoghi lontani, o per la spaventosa (per me bambina) passeggiata verso la spiaggia della Pozzolana di ponente, con il buio pesto, per provare a scorgere le tartarughe marine che, chissà da quanto tempo, hanno scelto quel luogo per deporre le loro uova.
Cala Pozzolana di Ponente
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
E ricordo quando si rientrava a casa la sera tardi, con una torcia a illuminare la strada, perché ancora non c’era la luce elettrica, con i piedi sempre pieni di sabbia, perché le strade non erano asfaltate. E ricordo quando la nave ancorava al largo, perché non c’era ancora un porto, e allora bisognava trasbordare nella cosiddetta barcaccia, una lancia addirittura a remi negli anni della mia infanzia, che portava a terra persone, merci e animali.
Linosa – Anni ’80
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Questi ricordi aiutano a comprendere com’era la realtà dell’isola, le difficoltà di chi ci viveva, e se la situazione è certo cambiata da allora, ancora non mancano problemi che, riguardando un ristretto numero di persone (gli abitanti sono circa 450), non trovano mai soluzione.
Linosa ha visto passare sul suo territorio impervio e privo di attracchi naturali, diversi antichi popoli del Mediterraneo, dai greci ai fenici, ai romani, che probabilmente la usarono come base durante le guerre puniche, fino ai saraceni, con qualche temporaneo insediamento di pirati e pescatori.
Le vecchie cisterne costruite dai Romani, circa 150, risultano provvidenziali ai primi coloni che arrivano sull’isola, rimasta disabitata per un tempo lunghissimo: nel 1839 il principe Tomasi di Lampedusa (e di Linosa, che però non viene mai citata), minaccia di vendere le isole al Regno Unito, molto interessato a trasformarle in basi strategiche nel Mediterraneo. Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, si affretta ad acquistarle, pagandole 12.000 ducati. Nel 1843 inizia la colonizzazione di Lampedusa, fino ad allora regno incontrastato di predoni del mare, e due anni dopo, il 25 aprile 1845, anche a Linosa arrivano trenta pionieri, che daranno vita a un insediamento stabile. Tra loro, il governatore Capitano Bernardo Maria Sanvisente, un Deputato Sanitario con funzioni di ufficiale di Stato Civile, un medico e un sacerdote. Sono le autorità, per le quali si approntano delle abitazioni di fortuna fatte di tavole di legno, e subito viene eretta una chiesa (sempre di legno), mentre gli altri coloni devono inizialmente accontentarsi di trovare riparo nelle numerose grotte naturali (usate ancora oggi come depositi). Come incentivo, i coloni ricevono una paga di tre tarì al giorno – una bella somma per l’epoca – e la concessione in uso di 80 salme di terra (una salma equivale all’incirca a 17.500 metri quadrati).
Il Monte Vulcano
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
I trenta coraggiosi coloni devono affrontare disagi difficili da immaginare oggi, dalla drammatica mancanza d’acqua alla scarsità di cibo, fino al totale isolamento. Sanvisente scrive, in un rapporto del 1849, che usano comunicare con la sorella Lampedusa tramite “alcuni segnali convenuti, e con certi fuochi”, accesi nelle notti serene sulla sommità del Monte Vulcano.
Il Monte Vulcano
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Nonostante queste difficoltà, nonostante le pessime condizioni igienico-sanitarie (nei primi anni c’è una mortalità infantile elevatissima), la piccola comunità va avanti, anche quando ai Borbone subentrano i Savoia, con l’Unità d’Italia. Il passaggio non è indolore, perché nessuno riceve più la paga concordata e l’isola viene praticamente dimenticata, salvo ricordarsene quando bisogna mandarci qualcuno al confino (accade nel 1872, ma di nuovo all’incirca un secolo dopo, quando qualche esponente della mafia viene spedito a Linosa), o richiamare gli uomini alle armi.
Linosa rimane per decenni e decenni nel suo isolamento.
La consegna del latte appena munto – 1980
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Per comprendere quanto il minimo sindacale di “progresso” tardi ad arrivare, bisogna fornire qualche data:
Nel 1963 la SIP installa un posto telefonico pubblico (i telefoni nelle case arriveranno molto dopo); per avere l’elettricità pubblica occorre aspettare il 1967, mentre l’allacciamento ai privati avverrà l’anno seguente; sempre in quegli anni qualcuno al governo (l’allora ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani) constata con i propri occhi quanto l’isola sia abbandonata: non c’è un asilo, né un edificio che ospiti la scuola elementare, e le medie non esistono. Nel 1968 viene inaugurato l’asilo infantile e la sede delle scuole elementari e medie.
Nel 1973 entra in funzione il dissalatore, che dovrebbe sopperire – anche se non completamente – alla cronica mancanza d’acqua (un bene preziosissimo: guai a sprecarne anche una goccia). Fino ad allora si poteva contare solo sull’acqua piovana raccolta nelle cisterne e su approvvigionamenti esterni, che arrivavano tramite le navi cisterna della Marina Militare.
Nel 1976 sbarca sull’isola anche la Rai, a collegare con il mondo esterno i linosani, e quattro anni più tardi arrivano anche le tivù commerciali. E’ solo nel 1985 che il traghetto può attraccare sull’isola, dopo la costruzione di una banchina adeguata
L’isola di Lampedusa sul filo dell’orizzonte
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
Nonostante le cose siano cambiate negli ultimi anni, l’isola è ancora afflitta da molti problemi: i trasporti che lasciano a desiderare, l’assistenza sanitaria garantita solo da una guardia medica (per le visite specialistiche e gli esami di laboratorio bisogna andare “a terraferma”, con costi certo non indifferenti), le medicine che a volte volte scarseggiano quando non mancano addirittura, e ancora, l’annoso problema delle scuole, dove mancano gli insegnanti e certe materie non vengono insegnate anche per lunghi periodi.
Eppure, nonostante questo, chi è nato a Linosa, dopo viaggi ed esperienze significative in altri luoghi e mondi molto diversi, sente irresistibile il richiamo dell’isola.
Fotografia ©Annalisa Lo Monaco:
E’ proprio questa la spiegazione che mi ha dato Salvatore Tuccio, oggi affermato filmaker, che ha fatto l’educatore per i bambini di strada in Brasile, si è occupato di reportages dalla Tunisia durante le primavere arabe, e nel 2018, a New York, ha ricevuto il premio per il miglior documentario naturalistico al Film Festival SDGs, nell’ambito di un Forum sullo sviluppo sostenibile organizzato dall’ONU.
Salvatore, quando gli ho domandato perché continuasse comunque a vivere su un’isola sperduta come Linosa, mi ha risposto semplicemente che “è l’isola che ti chiama”, che ogni linosano è come “una patella attaccata allo scoglio”, perché incredibilmente, su quel minuscolo lembo di terra così isolata, dove il mare a volte sembra un confine invalicabile, si respira una libertà sconosciuta in altri luoghi, quella di essere se stessi “senza bisogno di indossare una maschera”.
Linosa in un minuto – Video di Salvatore Tuccio
Alla fine dunque è questo il segreto del fascino di quest’isola remota e selvaggia, baciata dal sole e spazzata dal vento, sempre diversa e pur sempre uguale a se stessa: il sapore della libertà, per chi sa ancora apprezzarlo.
Tutte le immagini sono di Annalisa Lo Monaco e Laura Rubboli