Ivan Sirko è un guerriero leggendario in Ucraina, simbolo di forza, astuzia e coraggio, protagonista di saghe e storie di guerra. La sua vita trascorse sui campi di battaglia, ma se ancor oggi è ricordato in tutto il mondo non è per le sue imprese belliche, pur considerevoli, ma per la lettera di risposta al sultano ottomano Maometto IV, che gli fece recapitare nel 1675. Quella lettera e Ivan sono anche il soggetto per uno splendido quadro di Ilya Repin, pittore russo vissuto fra ‘800 e ‘900, che fra il 1880 e il 1891 dipinse un quadro che mostra Ivan mentre ride sbeffeggiando il sultano con i suoi compagni cosacchi, tutti attorno alla persona che scrive la lettera.
Cosa era successo, e cosa aveva scritto il Sultano Mehemet IV ai cosacchi per provocare quelle risate?
Gli ottomani avevano appena perso una battaglia contro i cosacchi zaporoghi dell’Ucraina meridionale, e Maometto pensò di scrivere all’atamano Ivan Sirko, il capo per intenderci, una lettera in cui chiedeva loro di arrendersi:
“In quanto Sultano; figlio di Maometto; fratello del Sole e della Luna; nipote e viceré per grazia di Dio; governatore del regno di Macedonia, Babilonia, Gerusalemme, Alto e Basso Egitto; imperatore degli imperatori; sovrano dei sovrani; cavaliere straordinario e imbattuto; fedele guardiano della tomba di Gesù Cristo; fido prescelto da Dio stesso; speranza e conforto dei Musulmani; grande difensore dei Cristiani. Io comando a voi, cosacchi dello Zaporož’e, di sottomettervi a me volontariamente e senza resistenza alcuna, e cessare di tediarmi con i vostri attacchi“.
Il Sultano Turco Mehmet IV
Immaginiamo la faccia di Ivan e dei suoi compagni quando il dotto del campo lesse loro le parole di Maometto. Immaginiamola per i 3 secondi in cui non scoppiarono a ridere e a sbeffeggiare il turco. Dopo le risate e gli insulti i cosacchi fecero scrivere una lettera che è l’esempio migliore della schietta volgarità e pragmatismo degli uomini del ‘600.
“I cosacchi dello Zaporož’e rispondono al sultano dei turchi. – Tu, diavolo d’un turco, maledetto compare e fratello del demonio, servitore di Lucifero stesso. Che cazzo di cavaliere sei, tu che non riesci ad uccidere un riccio col tuo culo nudo? Il demonio caca, e il tuo esercito si mangia la sua merda. Non avrai mai, figlio di puttana, dei cristiani ai tuoi ordini; non temiamo il tuo esercito e per terra e per mare continueremo a combatterti, sia fottuta tua madre.
Tu sguattero di Babilonia, carrettiere di Macedonia, birraio di Gerusalemme, fottitore di capre di Alessandria, porcaro d’Alto e Basso Egitto, maiale d’Armenia, ladro infame della Podolia, pigliainculo dei Tartari boia di Kam’janec’ e più grande sciocco di tutto il mondo e degli inferi, idiota davanti al nostro Dio, nipote del Serpente (quindi del demonio) e ruga del nostro cazzo. Muso di porco, culo di giumenta, cane di un macellaio, fronte non battezzata, scopati tua madre!
Questo dichiarano gli Zaporozi, essere infimo. Non puoi dare ordini nemmeno ai maiali di un cristiano. Concludiamo, non sappiamo la data e non possediamo calendario; la luna è in cielo, l’anno sta scritto sui libri: il giorno è lo stesso sia da noi che da voi. Puoi baciarci il culo!
l’Atamano Ivan Sirko, con l’intera armata dello Zaporož’e.
Se forse abbiamo immaginato la faccia di Ivan quando lesse la lettera del sultano è difficile immaginare quella di Maometto quando ricevette la risposta…
Un riferimento concreto
I riferimenti nella lettera sono innumerevoli, proviamo a spiegarne uno. Quando i cosacchi dicono al sultano “Piglianculo dei Tartari” si tratta di un’allusione alla presunta pederastia dei turchi, leggendaria nel mondo cristiano dell’epoca. Forse furono i veneziani a diffondere questa voce, di ritorno dai viaggi in Anatolia o in Arabia. I mercanti veneti raccontarono le abitudini “contro natura” degli ottomani dell’epoca, che bestemmiavano senza ritegno e “si sbaciucchiavano con gli amici del cuore”, ovviamente sottintendendo che questi fossero solo i preliminari. Sui campi di battaglia europei inoltre i turchi erano leggendari sodomizzatori dei prigionieri, una “tortura” che spiega perfettamente l’insulto che rivolgono al sultano i cosacchi.
Realtà o leggenda?
Oggi è difficile sapere se questa lettera fu davvero recapitata a Maometto IV o se si tratti solo di una leggenda. Forse il racconto popolare volle celebrare il coraggio e l’essere indomabili dei Cosacchi di fronte al potente sultano. La missiva potrebbe essere un falso storico, oppure pura verità, oggi è quasi impossibile appurare la realtà dei fatti. Vera o falsa che sia ci racconta lo spirito del ‘600, l’ultimo secolo di grandi guerre fra cristiani e ottomani, quando anche piccoli gruppi di coraggiosi riuscivano a tener testa ad eserciti messi in campo da grandi potenze del Mediterraneo. Facendo un riferimento agli Ucraini odierni mi vien da pensare, altri tempi, altri modi di comunicare, stessi cosacchi.