Cosa si intende oggi, con l’espressione “relazione educativa”?
Se facessimo una ricerca in rete potremmo scoprire pagine e pagine dedicate all’argomento, certamente interessanti ma che, sostanzialmente, si rifanno tutte o a scuole di pensiero o riportano i concetti di educazione e relazione nel pensiero pedagogico e… si finisce lì.
Ora cercheremo di definire la relazione educativa alla luce di tutte le riflessioni che ci hanno condotto fino a qui, in chiave diversa, ovvero in chiave profondamente critica.
Non possiamo disquisire di relazione educativa se non ci riallacciamo a termini che, fino ad oggi, abbiamo trattato in modo peculiare e che tanto sono care al nostro vocabolario pedagogico, ovvero: empatia, qualità, tempo. Questi vocaboli rappresentano gli “ingredienti” fondamentali nella relazione educativa e mi permetto di dire che hanno contraddistinto il processo educativo ieri, lo caratterizzano oggi e che non dovremo dimenticare domani.
Di empatia abbiamo parlato molto ma ci tengo a sottolineare quanto questo aspetto sia importante. L’empatia è un processo dinamico, come la relazione stessa. Mi piace ricordare uno dei principi glottodidattici per eccellenza che cita: “il buon processo comunicativo porta a voler bene all’insegnante”. Soffermiamoci sulle parole “processo”, “comunicativo” e “voler bene”. Sono tutte parole che danno l’idea di qualcosa in movimento, qualcosa di assolutamente dinamico. Ecco, l’empatia è questo: qualcosa che, anche se, a volte, non è chiaramente manifesto, è in movimento, in divenire, in evoluzione. Nella relazione educativa tutto ciò è necessario. L’empatia dunque è indispensabile nella relazione educativa e mi auguro che in futuro continuerà ad esserlo.
Passiamo, ora, alla parola qualità. Cosa si intende per qualità della relazione educativa? Significa dare spazio alla relazione, significa comprendere le emozioni nei processi di interdipendenza ed interazione, ma anche comunicare (attraverso il codice verbale ma anche con il non – verbale). Definirei la qualità della relazione con il “mettersi in gioco”, tralasciare la paura dell’esporsi per fare in modo che la persona che ci sta davanti (ma questo è riferito anche a noi stessi), possa mettersi serenamente e costruttivamente in discussione, lasciando il pregiudizio e liberando la mente da ogni costrizione.
Infine il tempo. A volte lo trascuriamo ma, per essere veramente “relazione” quest’ultima ha bisogno di tempo perché possa attecchire, evolvere e consolidarsi. I verbi utilizzati non sono a caso. Tutti e tre denotano un processo, in tutti e tre è immanente la necessità del tempo. Consentitemi una metafora botanica: qualsiasi pianta ha bisogno di tempo per affondare le radici, per irrobustirsi e per dare frutti, lo stesso vale per la relazione. “Darsi”, concedersi tempo è importante, necessario ma non solo, direi che è un gesto obbligato perché altrimenti rischiamo di tessere relazioni superficiali e… “prive di radici”. Solo le piante robuste non hanno paura del vento, così anche le relazioni che si sono concesse tempo, qualità ed empatia, non hanno timore degli scossoni che la vita riserva.
In ambito educativo è importante tenere a mente che la relazione educativa si realizza in famiglia, a scuola ma anche nella società che ogni giorno viviamo. Ricordiamo, infatti, che ogni individuo (che sia bambino o adulto), ha bisogno di sviluppare in maniera integrale ed armonica la propria personalità, e per farlo deve vivere esperienze e solo l’esperienza potrà generare competenza, quella stessa competenza necessaria per evitare di incorrere nel rischio di essere costantemente condizionati dai modelli consumistici che vengono continuamente propinati dalle telecomunicazioni, dalle pubblicità e, non ultimi, dai social media su internet. Bisogna costruire la relazione educativa sulla lealtà e sulla chiarezza, e oggi abbiamo il bisogno di persone che possano pensare liberamente, che abbiano sviluppato competenze grazie alle loro azioni e che non abbiamo paura di mettersi in gioco. La “relazione educativa” per essere tale, deve costituire un processo dinamico di socializzazione (quella vera, non fittizia affidata unicamente ai social), di trasferimento di esperienze e conoscenze, in cui l’individuo non ha il timore di confrontarsi, di mettersi in discussione con i valori che rendono l’uomo un individuo unico, originale e soprattutto pensante.