L’importanza degli stimoli nel bilinguismo

Oggi proseguiamo con il tema del bilinguismo cercando di riassumere brevemente ciò che abbiamo visto in questi ultimi articoli e comprendere meglio in che modo questo fenomeno possa costituire una risorsa.

I benefici che si verificano sia a livello linguistico che cognitivo sono:

  • una maggiore conoscenza da parte dei bambini bilingui della struttura del linguaggio
  • la conseguente facilità nell’apprendere un’ulteriore lingua

I bambini, infatti, tendono spesso a giocare con i codici linguistici, traducendo vocaboli e a volte creandone dei nuovi.

Dal punto di vista cognitivo coloro che sono esposti a bilinguismo appaiono avvantaggiati nella risoluzione di compiti complessi e in tutte quelle azioni che coinvolgono il controllo esecutivo.

La ricerca scientifica, così come le istituzioni a livello mondiale e  nazionale si stanno impegnando per trovare delle risposte ad alcune domande e sfatare quei falsi miti che, ahimè, creano ancora molta confusione. Ciò che preme sottolineare è che per fare in modo che il bilinguismo abbia i suoi effetti, devono sussistere determinate condizioni: la famiglia e la scuola hanno il compito di creare un ambiente adeguato, che promuova lo scambio linguistico in modo tale che  una lingua prevalga sull’altra.

Come espresso più volte durante la nostra ricerca, per favorire lo sviluppo del linguaggio è necessario fornire una giusta quantità di input, ovvero, promuovere un adeguato, e soprattutto costante, tempo di esposizione a una lingua. Sicuramente, nel caso di bilinguismo, questo sarà inferiore rispetto a quello ricevuto da una persona monolingue: è normale, ma bisogna comunque assicurarsi che si raggiunga una determinata soglia, al di sotto della quale è difficile raggiungere una buona competenza in entrambe le lingue. Senza entrare in tecnicismi, esistono degli indici che aiutano a calcolare il tempo di esposizione tenendo conto dell’età del bambino, del momento in cui è stato esposto per la prima volta a una lingua, dell’utilizzo della stessa in base al contesto e ai suoi interlocutori, dell’origine e della forma, scritta o orale, di questi input/stimoli.

Quindi, maggiore è il numero di stimoli e più alto sarà il livello raggiunto nelle due lingue? Non è detto, bisogna tenere conto anche di altri aspetti. Uno di questi è la qualità degli input: devono essere vari, comprendere registri linguistici diversificati proprio per permettere al bambino esposto a bilinguismo di ampliare il proprio vocabolario ed adeguarlo al contesto in cui si trova.

Proprio perché una delle due lingue tende a essere utilizzata solo a casa, l’altra prevarrà in tutte le altre occasioni, diventando quindi la lingua maggioritaria. Di conseguenza la persona bilingue avrà un grado di competenza molto superiore nella seconda lingua (L2).

Questo cosa comporta? Perché dovremmo fermarci a riflettere?

Il più delle volte, soprattutto se i soggetti coinvolti hanno avuto esperienze migratorie, la prima lingua (L1), ovvero la lingua d’origine, verrà trasmessa in modo orale, prediligendo la forma colloquiale. La L2 invece, essendo utilizzata a scuola, riceverà una quantità infinita di stimoli diversi, scritti, orali, secondo un registro informale e uno formale. Lo studio sui banchi di scuola di L1 ed L2 in questo caso diventa fondamentale perché permette di acquisire vocaboli, strutture grammaticali, abilità nell’utilizzo della lingua che altrimenti si perderebbero per strada e che invece possono costituire una risorsa molto preziosa.

Capire ed assimilare il funzionamento di due linguaggi può voler dire, per esempio, passare da una lingua all’altra con estrema facilità, utilizzare toni diversi, adeguarsi al contesto e al proprio interlocutore. Lo scritto è importante quanto il parlato, ciò che avviene appreso sui libri diventa complementare rispetto a quanto è prettamente legato al contesto familiare.

Un altro aspetto che è doveroso sottolineare e su cui è necessario fare chiarezza riguarda la distinzione tra lingue considerate “prestigiose” e quelle minoritarie, ovvero quelle lingue che nel paese ospitante non godono di un elevato prestigio sociale e che finiscono per essere utilizzate sempre meno, fino a quasi a essere abbandonate. Questo fenomeno può portare a conseguenze negative in quanto mina i rapporti all’interno della famiglia, facendo allontanare le nuove generazioni, che prediligono la L2, imparata e praticata a scuola,  mentre i genitori che continuano a mantenere viva la propria lingua d’origine. Considerando il linguaggio come uno “strumento identitario e relazionale”, il crescere senza la propria lingua madre significherebbe non avere un punto di riferimento verso qualcuno con cui identificarsi e avere difficoltà a comunicare con i propri familiari.

Per questo motivo, una sfida che il sistema scolastico italiano dovrebbe essere pronto ad accogliere è quello di dare la possibilità alle famiglie di optare per un approccio monolingue o uno bilingue, riconoscere ogni lingua in quanto tale e fornirle il giusto supporto affinché non venga abbandonata.

a cura di Haidi Segrada e Federica Mascheroni

Haidi Segrada

Haidi Segrada è esperta in glottodidattica infantile, formatrice e docente a contratto all’Università degli Studi dell’Insubria nell’ambito dei corsi CIM (Comunicare e Interagire con i Minori). Direttrice di Scuola dell’Infanzia, è autrice di diversi testi a carattere pedagogico- didattico e ideatrice del Metodo educativo-pedagogico per bambini dai 2 ai 6 anni “A.C.A. – Ascolto, Comunicazione, Azione”.