Dicembre 1499, Venezia, Sestiere di San Polo. Dalla tipografia di Aldo Manuzio esce uno strano libro. Il titolo è misterioso: Hypnerotomachia Poliphili, in un latino grecizzante. Significa “Combattimento amoroso di Polifilo in sogno”. È uno strano testo, un romanzo piuttosto lungo, scritto in una lingua particolare e arricchito di bellissime incisioni molto fantasiose. L’autore dei disegni è ignoto, qualcuno parla addirittura del Mantegna; ed è sconosciuto anche il nome di chi l’ha scritto.
Di che cosa si tratta?
Partiamo dall’inizio.
Aldo Manuzio, il primo editore moderno

Alla fine del Quattrocento, la tipografia di Aldo Manuzio, in Contrada Sant’Agostin, famoso erudito e tipografo di origine laziale, è in piena attività. Da cinque anni sta stampando, con il sistema introdotto da Gutenberg e grazie alle intuizioni del geniale editore, un classico dietro l’altro: testi latini, classici greci, opere contemporanee. Almeno 28 edizioni di libri, anche introvabili, messe sul mercato fino ad allora.
Fra gli autori che incontreremmo in un ideale catalogo c’è Aristotele (ricordiamo l’opera omnia in 5 volumi usciti fra il 1495 e il 1498), Aristofane, Teocrito, Cicerone e tanti altri; soprattutto vedremmo testi greci.
Venezia era uno dei più grandi centri culturali europei. Dopo la conquista di Costantinopoli del 1453 vi si erano rifugiati molti eruditi di lingua greca. Nel 1468 il Cardinale Bessarione, un prelato cattolico di origine greca, aveva salvato molti volumi dall’impero Bizantino morente e li aveva portati in Italia, donando proprio alla Serenissima la sua biblioteca fornita di testi greci che nessuno aveva mai visto in occidente. Una vera e propria miniera per Aldo Manuzio, erudito umanista ed amico dei più grandi studiosi (uno su tutti: Pico della Mirandola), contemporanei.
E negli anni seguenti l’industria libraria si sarebbe sviluppata ulteriormente: le prime edizioni italiane di Erasmo da Rotterdam furono stampate proprio da Aldo Manuzio.
Torniamo a quel dicembre 1499. Aldo, un uomo probabilmente meticoloso ed attento, si aggira per i banchi da lavoro. Prende un volume, lo apre, lo legge. È compiaciuto: non è un classico ma poco importa. È l’Hypnerotomachia Poliphili.
Il libro

“Lector si tu desideri intendere brevemente quello che in quest’opera se contiene, sapi che Poliphilo narra havere in somno visto mirande cose, la quale opera ello per vocabulo graeco la chiama pugna d’amor in somno. Ove lui finge havere visto molte cose antiquarie digne di memoria, et tutto quello lui dice havere visto di puncto in puncto et per proprii vocabuli ello descrive cum elegante stilo, Pyramide, Obelisci, Ruine maxime di edificii.”
Hypnerotomachia, Lettera proemiale
Come vediamo già dall’inizio il romanzo presenta un linguaggio molto strano, onirico, intervallato da parole latine, grecizzanti, e vocaboli ascrivibili al bell’italiano di fine Quattrocento, con numerosi riferimenti alla mitologia e all’antichità. Molte parole sono scritte addirittura in greco, una lingua che, ripetiamo, in Occidente si cominciava a studiare compiutamente in quegli anni, e compaiono anche dei geroglifici, un po’ fantasiosi, che rimandano all’Egitto misterioso. Le descrizioni sono minuziose e ricche di particolari.
Il tutto rende, di primo acchito, non facile la lettura; ma, dopo poche pagine, l’occhio e la mente si abituano e si procede abbastanza spediti nella vicenda onirica descritta dall’opera.
Sono 467 pagine arricchite da ben 172 incisioni di ottima fattura. Quest’ultimo particolare è insolito: centosettantadue illustrazioni sono veramente tante di quei tempi, troppe per un libro, peraltro non un classico, e troppe per un editore come Aldo Manuzio che, come è noto, badava più al testo che agli ornamenti.

La trama
Il protagonista narra in prima persona la sua storia. Siamo a Treviso, la sera del 31 Aprile 1467. Polifilo (un nome parlante, traducibile dal greco “colui che ama la moltitudine”) non riesce a dormire: la sua amata Polia (in greco “Moltitudine”) si è allontanata da lui. Addormentandosi viene trasportato in sogno in una foresta selvaggia in cui, inevitabilmente, si perde. Arrivato a un fiume tenta di bere, ma lo distrae un canto di donna soave, tenta di scoprire da dove proviene e alla fine si addormenta. E sogna.

Nel secondo sogno, all’interno del primo, viene inseguito da un lupo feroce, fugge e arriva a una colossale piramide con sopra un obelisco, descritta con minuzia di particolari, ornata da statue gigantesche. Giunto alla porta della costruzione, un mostruoso drago tenta di afferrarlo, e così entra all’interno della struttura, che è una specie di labirinto al termine del quale c’è un giardino ameno: la terra delle ninfe, Telsonia (“il fine ultimo”) qui incontra cinque ninfe (le personificazioni dei cinque sensi). Le creature lo trascinano dalla loro regina, Eleuterida (la “dea della Libertà”), che lo invita a visitare i suoi giardini, accompagnato da due fanciulle: Logistica (la “Ragione”) e Telemia (la “Volontà”). A quel punto viene condotto di fronte a tre porte, tutte meravigliose. Su di esse vi è scritto Gloria di Dio, Madre dell’Amore, Gloria del Mondo, che simboleggiano tre modi di vivere: il mistico, l’erotico, il mondano. Polifilo sceglie la porta dell’amore erotico e vi trova la ninfa più bella: la sua amata Polia.
A quel punto avviene la festosa cerimonia del fidanzamento: cinque processioni trionfali celebrano la loro unione amorosa, finché non giungono ad un tempio bellissimo dove viene celebrato il rito. Una volta terminato, salgono su una barca ai cui remi stanno le ninfe, mentre il timoniere è cupido stesso. A questo punto la narrazione si interrompe: Polia comincia a parlare in prima persona per descrivere la sua vita e le vicende precedenti dal suo punto di vista.

Tornando a parlare Polifilo, si racconta con sgomento che, ad un certo punto, la sua amata lo respinge: se ne sta in disparte a dormire. L’uomo, per la disperazione sviene, è come morto. Ma Cupido interviene e appare in sogno alla donna, intimandole di tornare dall’amato, riportandolo in vita con un bacio.
L’unione fra i due, benedetta anche dall’apparizione di Venere stessa, può finalmente avvenire; ma, sorpresa, quando Polifilo cerca di abbracciare Polia, questa beffardamente si dissolve nell’aria.
Polifilo si sveglia agitato: era tutto un sogno. È la mattina del 1° maggio 1467. Troverà mai la sua Polia? Riuscirà mai a coronare il suo sogno d’amore?
Naturalmente, un romanzo
Il tema del romanzo non è tanto l’amore, quanto il percorso iniziatico per raggiungere la conoscenza del sentimento. Il topos è molto frequentato dalla letteratura precedente e successiva. Sicuramente l’autore aveva presente le Metamorfosi di Apuleio, che narra delle peripezie di Lucio, tramutato in asino da un incantesimo non andato a buon fine. Quando Lucio riuscirà a tornare un essere umano, si farà iniziare al culto di Iside, dimostrando che il suo spirito si è elevato grazie alle peripezie. Certamente Apuleio si rifà a testi precedenti che non possediamo, per esempio un romanzo dalla trama simile fu scritto in greco da Luciano di Samosata. La selva in cui si trova Polifilo, con i mostri che la popolano, è un poi richiamo fortissimo alla selva oscura della Divina Commedia.

Per quanto riguarda le opere successive nel tempo, possiamo citare il Sogno di una notte di mezza estate (A Midsummer Night’s Dream, 1596) di Shakespeare, in cui la vicenda principale si svolge in un bosco popolato da creature fatate e anche il Flauto magico (1791), opera lirica con libretto di Emanuel Schikaneder e musicata dal grande Mozart, anch’esso un viaggio iniziatico, del principe Tamino che, attraverso peripezie e prove di vario tipo, riesce a coronare il sogno d’amore con la bella Pamina.

Possiamo anche intravedere il percorso iniziatico in una nota favola per bambini: il Pinocchio (1881) di Collodi narra, ovviamente in toni buffi e infantili (ma non troppo), la trasformazione, attraverso varie prove, di un burattino (un essere, di regola, inanimato) in un bambino vero.

Il solo elemento che non accumuna l’Hypnerotomachia con queste opere è il finale: Polifilo non può amare la sua Polia, a differenza degli altri personaggi. Ma, forse, è proprio questo il significato vero del romanzo. La conoscenza stessa di una moltitudine di cose è forse il premio per chi ama una moltitudine di cose; ma la conoscenza è impalpabile, il sapere assoluto è inarrivabile, è un sogno. Ma vale la pena di provare a inseguirla, questo forse vuol dirci l’autore.
Il vero mistero dell’Hypnerotomachia Poliphili: l’autore
Già, l’autore. La paternità del romanzo è uno dei misteri più avvincenti della letteratura della fine della letteratura umanista e rinascimentale. Non conoscendo l’autore e la sua vita, molti messaggi che vuol dare l’opera restano celati.
Il volume è dedicato a Guidobaldo, figlio di Federico, che sarà Duca di Montefeltro dal 1482 al 1508. La lettera dedicatoria, una poesia in latino, è scritta da un tale Leonardo Grasso (o Grassi o Crasso) da Verona, di cui abbiamo scarsissime notizie.

E’ lui l’autore? No. Il Grasso è stato solo il finanziatore della stampa dell’opera, un libro che lui stesso definisce parente orbatus, “senza padre”, quando nel 1509 chiede al governo della Serenissima di avere una proroga dei diritti di pubblicazione, perché 500 copie giacevano ancora nei magazzini. Evidentemente non aveva avuto il successo sperato.
L’Hypnerotomachia è un testo anonimo? Forse. Già nel 1546, l’editore parigino Jacques Kerver, traducendo l’opera in francese, scova un indizio. I trentotto capitoli formano un acrostico: le iniziali, messe in evidenza da eleganti capilettera, compongono una frase: POLIAM FRATER FRANCISCUS COLUMNA PERAMAVIT (“frate Francesco Colonna amò infinitamente Polia”).
Una tecnica già usata da Cicerone nel De Divinatione per nascondere un messaggio all’interno dell’opera. Possibile che Aldo Manuzio e i figli, che ristamparono il romanzo nel 1545, non ne fossero a conoscenza? E, se lo avessero saputo, perché tacere? Un mistero.
Chi era Francesco Colonna? E qui il secondo mistero. Un caso omonimia.
Un Francesco Colonna, era un principe romano, dal 1484 signore di Palestrina, frater di un’accademia romana, quella di Pomponio Leto, che si riproponeva di tornare all’antica religione pagana, progettando di assassinare addirittura il Papa. Leto, inseguito dalle autorità papali per accuse di eresia, era incarcerato per sodomia negli anni in cui fu scritto il romanzo (1467 o successivi) proprio a Venezia. I riferimenti alla cultura egizia e alla mitologia pagana potrebbero portarci in quella direzione.
L’altro Francesco Colonna, un frate domenicano di origine veneziana, fra il 1467 e il 1477 residente nel convento Santi Giovanni e Paolo a Treviso, nella stessa città dove abita Polifilo. Il frate, viene esiliato a Venezia nel 1477, perché troppo rilassato, cioè sensibile alle lusinghe terrene. Morirà nel 1527, quasi centenario. Era lui che amava una donna, magari idealizzata con il nome di Polia?
Alla ricerca dell’autore, si sono fatti altri nomi: tutti pezzi da novanta dell’Umanesimo quattrocentesco.

Parliamo, ad esempio, di Giovanni Pico della Mirandola, celebre per la sua memoria prodigiosa e scrittore prolifico, oltre che amico personale di Aldo Manuzio. Avrebbe potuto scrivere lui il romanzo, stampato per riconoscenza ed amicizia (e non certo per un ritorno economico!) dal famoso editore?

Un altro nome, che si fa strada attualmente negli studiosi, è quello di Leon Battista Alberti, poliedrico intellettuale genovese ma fiorentino di adozione, conosciuto come architetto e trattatista di architettura, ma anche come fine letterato e crittografo. Si parla pure di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, potentissimo Signore di Firenze e pure lui scrittore.

Non lo sapremo mai, con ogni probabilità, ma proviamo a ragionare logicamente, usando il rasoio di Occam, secondo cui la spiegazione più logica potrebbe essere quella vera.
Chi scrisse l’Hypnerotomachia? L’ipotesi dell’autore

Aldo Manuzio era, oltre che un fine intellettuale, un imprenditore. Un imprenditore, da che mondo e mondo, mira al profitto. Le 172 incisioni, che siano del Mantegna, come qualcuno ipotizza, o di un altro autore, sono bellissime e devono esser costate molto denaro. La carta, gli inchiostri, la stampa di ogni singolo foglio (e sappiamo che la prima edizione conta almeno 500 copie di più di 400 pagine ciascuna), la manodopera. Addirittura Aldo commissionò al suo incisore di fiducia, Francesco Griffo, un set di caratteri a stampa più evoluto e più fine di quello utilizzato fino ad allora.

Un costo non indifferente per un tipografo che lavorava, anche se con molto successo, da soli cinque anni. E tutto questo per cosa? Per un volume di cui, dieci anni dopo la prima edizione, restavano cinquecento copie invendute nel magazzino? Possiamo ipotizzare che sia opera dello stesso Aldo, magari prendendo spunto dalla vicenda di uno dei due Francesco Colonna che avevano avuto a che fare con Venezia per vari motivi? È un’ipotesi da non scartare.
Quasi certamente non sapremo mai la verità sull’autore del libro e, di conseguenza, sulle ragioni per cui l’ha scritto o su possibili altri messaggi reconditi nascosti fra le sue righe. E questo getta una luce misteriosa su uno dei volumi più affascinanti e strani del Quattrocento italiano. Un testo sconosciuto ai più, ma carico di significati allegorici e, pertanto, meritevole di esser letto e valorizzato.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Edizioni dei testi:
Hypnerotomachia Poliphili, ubi humana omnia non nisi somnium esse docet. Atque obiter plurima scitu sane quam digna commemorat, Venetiis, in aedibus Aldi Manutii, mense decembri 1499 (prima edizione). Copia digitalizzata consultabile al sito: http://posner.library.cmu.edu/Posner/books/book.cgi?call=853_C71HY
La hypnerotomachia di Poliphilo, cioè pugna d’amore in sogno. Dov’egli mostra, che tutte le cose humane non sono altro che sogno & dove narra moltr’altre cose degne di cognitione, In Vinegia, in casa de figliuoli di Aldo, 1545 (seconda edizione).
Francesco Colonna Hypnerotomachia Poliphili, Milano, Adelphi, 1998 2 voll. – Vol. I: Riproduzione dell’edizione aldina del 1499; vol. II Introduzione, traduzione e commento, a cura di Marco Ariani e Mino Gabriele. Si noterà che l’editore Adelphi attribuisce l’opera a Francesco Colonna.
Edizione in lingua originale digitalizzata ma senza illustrazioni reperibile qui:
https://www.liberliber.it/online/autori/autori-c/francesco-colonna/hypnerotomachia-poliphili/
Saggi e biografie
Paolo Cortesi Manoscritti segreti, Newton Compton, 2004
https://it.wikipedia.org/wiki/Hypnerotomachia_Poliphili
https://www.treccani.it/enciclopedia/hypnerotomachia-poliphili/
https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Manuzio
https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Colonna_(scrittore)
https://it.wikipedia.org/wiki/Leon_Battista_Alberti