L’epica condiziona l’attualità: la Battaglia della Piana dei Merli

“I Balcani producono più storia di quanta ne possano digerire”: il vecchio aforisma di Winston Churchill è sempre attuale nelle cronache geopolitiche. Le recenti tensioni tra Kosovo e Serbia sono solo l’ultimo capitolo di una questione balcanica tutt’altro che sopita a Dayton. Molto è stato detto e scritto su questa regione del mondo che, in un modo o nell’altro, è sempre stata protagonista del destino europeo. Il Kosovo in particolare, rivendicato dalla Serbia e conteso con la maggioranza albanese, è un po’ quello che per Israele rappresenta Gerusalemme: un territorio santo, ricco di antichissime testimonianze ortodosse, tra cui l’antica sede del Patriarcato a Peć, costruita – si dice – quando era vivo San Sava in persona, fondatore della autocefala Chiesa Ortodossa serba, il cui culto è centrale nella storia religiosa di Belgrado.

Molti paesi dell’Est hanno tuttora un rapporto conflittuale con il proprio passato, diviso tra un retaggio socialista di cui molti stanno cercando di cancellare le tracce (vedi il nostro speciale “Abbattuto in Lettonia il Memoriale dell’Unione Sovietica“ https://www.vanillamagazine.it/abbattuto-in-lettonia-il-memoriale-dellunione-sovietica/ ) ed una letteratura epica che affonda le sue radici su eventi di cui resta soltanto traccia in controverse pagine di libri di storia. Eppure, in moltissimi di questi paesi, il passato stenta a passare e perfino la politica attuale, con i suoi provvedimenti e le sue indicazioni, non può fare a meno di venire a patti con il tempo che fu.

In questa narrazione si inserisce a pieno titolo l’epica della “battaglia della Piana dei Merli”, un evento cruciale della storia della Serbia ma anche dell’Europa nel suo complesso, al centro di un racconto ideologico che arriva fino a noi. 

Correva l’anno 1389 e l’esercito cristiano si trovò ad affrontare, in campo aperto, le truppe ottomane: da una parte si schierarono 25 mila uomini delle truppe serbe e bosniache guidate dal leggendario principe Lazar, dall’altra parte la ben più numerosa compagine ottomana, guidata del Sultano Murad I, forte di 50 mila soldati. Entrambi gli schieramenti subirono perdite pesantissime, il principe Lazar cadde in battaglia, così come il sultano Murad I, ucciso dal nobile serbo Miloš Obilić. La sconfitta cristiana sancì di fatto l’inizio dell’espansione della Sublime Porta su tutti Balcani ad esclusione della Dalmazia e dell’Istria Veneziana, e del Nord austro ungarico. Iniziava quello che le cronache turche chiamarono “il Secolo d’Oro” che vide la sua sanguinosa conclusione a Lepanto nel 1571. Entrambi gli scontri furono cruciali per la successiva storia del continente e sono spessi giudicati, ancora oggi, come due tra i conflitti più simbolici combattuti tra cristianità e islam.

Gli echi delle rivendicazioni serbe in Kosovo arrivano a noi fin dal nome della Piana dei Merli, che in serbo si dice “Kosovo Polje”. Inoltre, ancora oggi, la medaglia al valore “Miloš Obilić”, è assegnata ai patrioti serbi.

La Piana dei Merli nel corso dei secoli, ha intrecciato il proprio ricordo alla leggenda, influenzando profondamente la cultura e il racconto nazionalistico della nazione serba. Tuttora è un simbolo di resistenza contro l’occupazione straniera, celebrato come atto di eroismo nazionale sia nella poesia epica che nei racconti popolari. Non è un caso che proprio a Kosovo Polje, davanti a una folla sterminata (stime realistiche parlano di un milione di persone, portate fin là con i bus dalla Lega dei Comunisti di Serbia), Slobodan Milosevic pronunciò il 28 giugno del 1989 il suo celebre discorso di Gazimestan, davanti al monumento che celebrava e celebra ancora oggi il mito fondativo della Piana dei Merli. Tra i passaggi più importanti, quel “Dove c’è un serbo là c’è la Serbia”, che di fatto gettò le basi culturali alle rivendicazioni etniche sfociate drammaticamente in dieci anni di guerre balcaniche. 

 

Corsi e ricorsi, non casuali, della storia: il 28 giugno, anno della battaglia della Piana dei Merli, ricorre la memoria del martirio di San Vito, il “Vidovan”. C’è un altro 28 giugno cruciale per la narrativa serba, e ben più famoso nella storiografia mondiale: il 28 giugno del 1914, quando a Sarajevo Gavrilo Princip sparò e uccise l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono di Austria Ungheria.

“La Jugo-nostalgia”, così diffusa al giorno d’oggi in Serbia (si dice ne soffra l’81% della popolazione), trova quindi le proprie radici fin dall’epica del Quattordicesimo secolo. Oggi la statua del principe Lazar campeggia a Mitrovica, in Kosovo, inaugurata il 28 giugno del 2016. E ancora oggi, ogni anno a Gazimestan, arrivano folle di nazionalisti per celebrare la propria epica.

La storia ottomana della Serbia sarebbe continuata fino al XIX secolo quando le rivolte guidate dal leggendario Miloš Obrenović III cacciarono definitivamente gli ottomani, il cui impero si stava avviando già verso un lento ed inesorabile declino. La sua statua, ben visibile a Belgrado in piazza della Repubblica, indica con sfida la direzione di Istanbul, designando il luogo di una vendetta che – di fatto – non sarà mai compiuta se non nella malsana reinterpretazione della storia all’origine delle guerre balcaniche degli anni Novanta.

Oggi a Belgrado l’unico minareto superstite sopravvive in trincea con la sua manciata di fedeli musulmani nella vecchia Čarsija, il suq ottomano che non c’è più e le cui vie sono circondate da una moderna versione dell’orgoglio nazionalista, fatto di scritto sui muri e t-shirt con la faccia di Putin. Caffè turco, birra e felafel si mixano provando a rendere bohemian il vecchio quartiere turco. Il Danubio scorre poco più in là e, nonostante tutto, è ancora difficile dire se Belgrado si trovi a est dell’Occidente o a ovest dell’Oriente.


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