Lo strano enigma dello Smemorato di Collegno

Questa strana storia comincia domenica 6 febbraio 1927 quando il popolare settimanale “La domenica del Corriere” pubblica nel taglio basso una fotografia di un uomo. È stato arrestato un annetto prima mentre vagava nel cimitero ebraico di Torino e da allora è internato nel manicomio di Collegno, nel Torinese. È un uomo di circa 45 anni, bei baffi a manubrio, una folta barba sale e pepe e modi assai cortesi; soprattutto, però, l’individuo è colpito da una forte amnesia: non ricorda nulla del suo passato e neppure come si chiama o da dove proviene.

La domanda che pone dunque la rivista è la seguente:

“Chi lo conosce?”, tutto in maiuscolo.

Continua il trafiletto: “Ricoverato il giorno 10 marzo 1926 nel manicomio di Torino (casa Collegno). Nulla egli è in condizione di dire sul proprio nome, sul paese d’origine, sulla professione. Parla correntemente l’italiano. Si rileva persona colta e distinta dell’apparente età di anni 45”.

Annuncio su “La Domenica del Corriere” del 6 febbraio 1927

Fotografia di sconosciuto di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Passano pochi giorni e all’ospedale psichiatrico piemontese si presenta una donna, madre di due adolescenti: è Giulia Canella, una aristocratica cattolica italobrasiliana che sostiene che l’uomo che stanno cercando di identificare è suo marito, Giulio Canella, classe 1881, un professore di pedagogia, intellettuale e filosofo originario di Padova, con grandissime conoscenze nel mondo della cultura e della chiesa. Ha partecipato alla Prima guerra mondiale come capitano di complemento del 64º reggimento fanteria ed è scomparso nel corso di una battaglia nell’attuale Macedonia del Nord.

Il caso è chiuso e già il 2 marzo successivo Giulio Canella abbandona la struttura in cui ha vissuto nell’ultimo anno per riprendere la vita coniugale con la sua Giulia. Scendono i titoli di cosa su una storia molto romantica che fa sognare gli italiani, con un eroe di guerra che dopo un decennio ritrova il suo amore che lo ha atteso e ricordato per tutti quegli anni.

Ma qualcosa va storto per gli appassionati dei romanzetti rosa, perché sono in tanti i poveri cristiani a vedere nella fotografia pubblicata dalla “Domenica del Corriere” un figlio, un fidanzato, un marito scomparso nella Grande guerra. Succede poi un evento che fa diventare la vicenda un grande caso giornalistico: il 7 marzo giunge alla questura di Torino una missiva anonima in cui si afferma seccamente che il vagabondo appena uscito dal manicomio non è lo stimatissimo docente Giulio Canella come tutti credono, ma un pregiudicato socialista di Torino, un tipografo di media cultura, riformato, separato e truffatore già processato e condannato. Il suo vero nome è Mario Bruneri, classe 1886.

Mario Bruneri nel 1915 “Illustrazione del Popolo” marzo 1927

Fotografia di sconosciuto di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

A questo punto si rintraccia un’altra donna, Rosa Negro, moglie del Bruneri che, dopo un’attenta analisi, conferma che quell’uomo invecchiato e con una grande barba bianca è davvero suo marito che, per scappare alle braccia della giustizia, ha colto al volo l’eccezionale occasione per diventare un altro uomo, rinascere, perdere in un colpo solo moglie, suocera e debiti, come un Mattia Pascal che, stanco della sua vita miseranda, va a cercare la fortuna al casinò di Montecarlo e se ne ritorna con il nome di Adriano Meis, dopo aver appreso dal giornale che il “suo” cadavere e stato ritrovato nella gora di un mulino “in istato d’avanzata putrefazione”.

Il caso pare trovare una soluzione quando dal casellario giudiziario di Roma si trovano le impronte digitali di Mario Bruneri. Queste vengono quindi confrontate con quelle dello sconosciuto che dice di essere Giulio Canella. Il risultato è stupefacente: il professore Canella è in realtà il pregiudicato Bruneri.

Giulio Canella nel 1906

Fotografia di sconosciuto di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

La notizia è un terremoto che scuote la credibilità del sistema giudiziario e investigativo dell’Italia fascista, messo in imbarazzo dalla vicenda dello Smemorato che prende sempre di più i contorni dell’enigma. L’uomo, intanto, viene rinchiuso nuovamente nel manicomio di Collegno.

Una nuova perizia viene dunque svolta sul Bruneri-Canella e sul finire del 1927 la corte di giustizia si pronuncia:

il collegio giudicante, incredibilmente, decide che lo Smemorato non è né Bruneri né Canella.

Troppo poche le prove a favore dell’una o dell’altra identità.

Lo smemorato dal cartellino segnaletico del 1926

Fotografia di sconosciuto di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Il popolo, oramai totalmente rapito dalla bizzarra vicenda, comincia a dividersi tra bruneriani e canelliani, mentre entrambe le famiglie fanno richiesta per l’affidamento dell’uomo: tutte lo vogliono e nessuna se lo piglia, come si suole dire.

Passa circa un anno e il tribunale civile di Torino, affidandosi alla risposta delle impronte digitali, stabilisce che lo Smemorato è Mario Bruneri, respingendo allo stesso tempo la richiesta di nuovi accertamenti pervenuta da parte della signora Canella.

Dal canto suo, però, lo sconosciuto si è convinto, furbescamente o meno, di essere l’insigne professor Giulio Canella e ricorre in appello perché gli sia riconosciuta quella identità. Per raggiungere l’obiettivo chiama in causa pure la madre e il figlio del Bruneri, ché ammettano una buona volta che non è lui il loro congiunto, ma nell’estate del 1929 la Corte d’appello di Torino conferma quanto stabilito nel corso della precedente sentenza.

Lo sconosciuto nel marzo 1927

Fotografia di sconosciuto di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Per l’aspirante Canella non resta che far ricorso in Cassazione. Qui si fa difendere dagli avvocati Francesco Carnelutti, Del Giudice e Roberto Farinacci, già segretario del Partito nazionale fascista. La scelta della robusta difesa porta i suoi frutti e il 24 marzo 1930 la Corte di Cassazione cancella la sentenza espressa di Torino.

A questo punto, tutte le carte passano a Firenze dove si riesamina in toto il caso, le perizie, l’aspetto fisico del misterioso uomo e le dichiarazioni dei famigliari.

L’affascinante garbuglio arriva alla parola fine – perlomeno secondo la giustizia italiana – il 1° maggio 1931 quando la corte di Cassazione di Firenze decide che l’uomo che ha scatenato l’opinione pubblica negli ultimi quattro anni è Mario Bruneri, il tipografo truffaldino di Torino. Il ricorso viene rigettato e Bruneri viene condotto a scontare le sue vecchie pendenze giudiziarie prima alle Carceri Nuove di Torino, poi all’istituto di pena di Pallanza. Il caso dello Smemorato di Collegno è chiuso.

Lo smemorato di Collegno

Fotografia di sconosciuto – Illustrazione medica italiana di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Mario Bruneri rimane in galera fino al 1° maggio 1933 con la pena ridotta per via di un’amnistia. Appena libero si incontra con la sua Giulia Canella, con la quale, negli anni dell’inchiesta, ha dato alla luce altri tre pargoli oltre ai due che avevano (o aveva lei) già. Insieme saltano su un transatlantico e partono per il Brasile, abbandonando quell’Italia che non crede al loro amore.

Lo Smemorato di Collegno muore a Rio de Janeiro probabilmente l’11 dicembre 1941, senza aver mai più fatto ritorno in patria.

Sulla strana vicenda hanno scritto dei libri Leonardo Sciascia con il saggio “Il teatro della memoria” e, più di recente, Lisa Roscioni con “Lo smemorato di Collegno” e Christine Dal Bon con “L’uomo di nessun colore. La vera storia dello smemorato di Collegno”.

Al caso Bruneri-Canella sono ispirate, inoltre, le opere teatrali di Michele Galdieri (il primo a realizzare qualcosa sulla vicenda, già nel 1927), Luigi Pirandello (col dramma in tre atti “Come tu mi vuoi”) ed Eduardo Scarpetta (con la commedia “L’uomo che smarrì se stesso) e il film “Lo smemorato di Collegno” (1962) del regista Sergio Corbucci con Totò nel ruolo dello smemorato.

Il termine “smemorato di Collegno”, in conclusione, è entrato anche nel linguaggio corrente, indicando una persona con scarsissima memoria, assai sbadata o che finge di non capire.

Antonio Pagliuso

Appassionato di viaggi, libri e cucina, si occupa di editoria e giornalismo. È vicepresidente di Glicine associazione e rivista, autore del noir "Gli occhi neri che non guardo più" e ideatore della rassegna culturale "Suicidi letterari".