L’effetto Dunning-Kruger: l’ignorante che pretende di avere ragione

Disse David Dunning: “Se mi chiedete quale sia la singola caratteristica che renda una persona soggetta a questo autoinganno, io direi che è respirare”.

A tutti noi è capitato, almeno una volta nella vita, di essere convinti di saper fare qualcosa e poi scoprire, una volta messi alla prova, di essere lontanissimi dalla possibilità di riuscire a farla. Eravamo preda dell’effetto noto come Dunning-Kruger. Pensavamo di essere capaci e invece non lo eravamo.

Se passiamo dalla sfera delle capacità manuali a quella cognitiva il discorso cambia, perché sostanzialmente si può affermare che le persone che ne sanno meno, su un dato argomento, pensino invece di essere più competenti di altre, magari con titoli e risultati che invece suggerirebbero il contrario.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

E’ il classico esempio del paziente analfabeta che pensa di parlare allo stesso livello del medico, disquisendo su questa o su quell’altra terapia in base alla propria esperienza. La base di conoscenze che fornisce l’università di medicina è insostituibile dall’esperienza, ma l’analfabeta non lo sa, convinto della bontà delle proprie teorie.

Quell’ipotetico analfabeta è quindi preda dell’effetto Dunning-Kruger, nome che viene dai due psicologi che descrissero in un paper scientifco per primi il fenomeno.

La scoperta di questo effetto nacque per puro caso. Era il 1995 e un rapinatore si presentò a una banca di Pittburgh, pistola alla mano, per rubare quante più banconote possibili. Il suo nome era Wheeler McArthur e brandiva in mano una pistola. I dipendenti si stupirono perché, a parte i vestiti, il rapinatore era a volto scoperto, incurante delle telecamere di sicurezza.

Una volta effettuata la rapina raggiunse un’altra banca e rapinò anche quella. Anche in quel caso nessun passamontagna, solo la pistola a viso scoperto. Dopo pochissimo la polizia lo rintracciò e lo arrestò, ma Wheeler si disse stupito perché era convinto di avere il volto invisibile.

La convinzione derivava da un’esperienza che aveva avuto poco tempo prima. Un amico gli aveva mostrato che scrivendo con il succo di limone su un foglio le parole non si vedevano, per ricomparire soltanto grazie alla fiamma che le anneriva.

Immagine del rapinatore in banca:

McArthur concluse che se il limone era invisibile sul foglio aveva la proprietà di rendere invisibile qualsiasi cosa, e decise di provare. Prese una macchina fotografica e si scattò una fotografia (adesso si direbbe che si fece un selfie). Clic.

Una volta sviluppato il rullino la foto mostrava il soffitto senza ombra di McArthur. L’uomo non si era inquadrato, sbagliando la mira, ma da quella fotografia concluse che il succo di limone lo rendeva davvero invisibile.

McArthur non lo sapeva, ma aveva appena dimostrato quello che in futuro si sarebbe chiamato effetto Dunning Kruger. Era un totale incompetente in materie scientifiche, di nessuna esperienza anche pratica mi vien da dire, ma era convinto di avere conoscenze che altri non avevano. La sua ignoranza gli costò diversi anni di carcere, mentre ai ricercatori ispirò uno studio molto importante.

David Dunning, incuriosito dalla vicenda, decise di sottoporre alcuni studenti a dei test presso l’Università in cui lavorava, la Cornell University di New York. Assistito dallo studente Justin Kruger, fece realizzare diverse prove che riguardavano ragionamenti di logica, grammatica inglese e senso personale di umorismo.

I risultati furono significativi, descritti perfettamente secoli prima da William Shakespeare:

Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio

Semplicemente, coloro i quali si stimavano competenti e preparati erano i peggiori della classe, mentre i più competenti, secondo i risultati dei test, stimavano le proprie conoscenze in modo leggermente inferiore rispetto alla realtà.

Sotto, grafico che mostra la conoscenza effettiva e la percezione della propria competenza. Immagine di Francesco Orlando condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia:

Una volta scoperto il proprio punteggio nei test effettuati ai soggetti fu chiesto di stimare nuovamente il proprio livello. Se i competenti riuscivano ora a collocarsi nella fascia corretta delle valutazioni, i più incompetenti continuavano a sopravvalutarsi. Per dirlo in numeri, i peggiori che facevano parte del 12° percentile inferiore si stimavano almeno nel 62° percentile, pensando di far parte della parte medio alta della classifica.

Ma se per i migliori il problema di sottostimare le proprie capacità è del tutto relativo, al massimo si può ragionare sui gradi di umiltà di una persona, sovrastimare le proprie competenze invece rischia di diventare un problema sociale di grande portata.

Le conclusioni dei ricercatori sono semplici. Gli inesperti:

  • Tendono a sovrastimare le proprie abilità
  • Non comprendono la capacità degli altri
  • Non si rendono conto dell’essere inadeguati
  • Comprendono la propria precedente incompetenza soltanto quando accettano di ricevere formazione nel campo specifico

David Dunning ha proposto un’analogia con la anosognosia, ovvero quel disturbo neurologico che impedisce al paziente di riconoscere di avere un deficit. In parole povere, una persona che, diventata cieca o inabile, non riconosce il proprio handicap. L’effetto Dunning-Kruger estende la anosognosia dei propri limiti nei più svariati campi.

Riassume bene la questione Socrate, vissuto ben 2.500 anni fa, che disse:

Dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest’uomo ero più sapiente io: […] costui credeva di sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo di sapere“.

E infatti la famosa frase socratica “so di non sapere” è la base per porsi di fronte alla realtà in modo aperto, riuscendo a cogliere le nozioni che ci arrivano senza il pregiudizio di essere già competenti, in qualsiasi ambito. Più si approfondisce lo studio di una materia e più si capisce di non riuscire mai a coglierne l’essenza, e ogni porta che si apre non fa altro che aprirsi su di una stanza con altre porte, e così all’infinito. Questo è particolarmente vero per lo studio della storia, ma sono infiniti gli ambiti in cui si questo concetto si può applicare.

Ora però ci si può porre una domanda: ma quanto influisce la nostra cultura nello stimare la gravità dell’effetto Dunning Kruger sulle persone? Secondo lo studio del 2001 “Divergent Consequences of Success and Failure in Japan and North America: An Investigation of Self-improving Motivations and Malleable Selves”, traducibile in: “Conseguenze divergenti del successo e del fallimento in Giappone e Nord America: un’indagine sulle motivazioni di auto-miglioramento e sui sé malleabili”, ha indicato che i giapponesi tendevano a sottovalutare le proprie capacità e a vedere i propri fallimenti come un’opportunità per migliorare le loro capacità in un determinato compito, aumentando così il loro valore per il gruppo sociale. I nordamericani invece non accettano il fallimento e continuano semplicemente a sovrastimarsi, confermando l’effetto Dunning-Kruger.


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