Le Vestali di Roma: custodi del Fuoco Sacro di Vesta fino al regno di Teodosio

Roma, 73 a.C. Il nobile Marco Licinio Crasso, quello stesso che un paio di anni dopo riuscirà a domare Spartaco e gli schiavi ribelli, non è certo immune, nonostante ricchezza e titoli, alla giustizia degli uomini. Viene accusato di un crimine imperdonabile, punito con la morte, che viola la legge romana e quella degli dei:

Aver avuto un rapporto carnale con una vestale, Licinia

Una colpa senza remissione, un sacrilegio che mette a repentaglio la stessa sicurezza di Roma. Perché alle vestali, sacerdotesse della dea vergine Vesta che hanno l’obbligo di conservare la propria castità (pena la morte), è affidato il compito di custodire il fuoco sacro, che arde nel tempio della dea.

Vestale – Museo di Palazzo Braschi – Roma

Immagine di Lalupa via Wikipedia CC BY 2.5

Vesta era a Roma una divinità importantissima, protettrice della casa e del focolare domestico, ma soprattutto del focolare pubblico che ardeva nel tempio. Quel sacro fuoco, unica effige della dea alla quale non si dedicavano statue, rappresentava la vita stessa della città e il suo spegnimento avrebbe portato sventure e lutti. Ecco perché le vestali rivestivano un ruolo di così fondamentale importanza: da loro poteva dipendere il destino di Roma, e sempre a loro era affidata la custodia dei sette cimeli sacri della città, i pignora imperii, garanti dell’imperitura potenza dell’Urbe.

Resti della Casa delle Vestali nel Foro Romano

Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Le sacre vestali sono presenti fin dall’inizio della storia di Roma, dai tempi remoti della sua fondazione, quando sacerdotesse vergini custodivano il fuoco consacrato a un antichissima divinità romana del fuoco, la dea Caca, di cui non si quasi nulla, se non che fu poi sostituita da Vesta.

Vestale di Frederic Leighton (1830-1896)

A quattro, e poi sei fanciulle, scelte quando erano praticamente bambine (dai sei ai dieci anni) era affidato quel compito così gravoso, consacrate al culto della dea dal Pontefice massimo con un rito che assomigliava molto a un matrimonio. “Ego te amata captio” (io ti prendo, amata): con queste parole, che richiamano il “rapimento” della sposa, le fanciulle diventavano vestali, sottoposte al controllo del pontefice come una moglie lo era a quello del marito. Ma non per sempre. Dopo trent’anni la vestale poteva tornare alla vita civile e addirittura sposarsi, se lo avesse voluto.

Nel frattempo non viveva una vita da reclusa, anzi. Libera di uscire e incontrare amici e parenti, godeva di privilegi sconosciuti alle altre donne: poteva fare testamento, e poteva addirittura chiedere la grazia per un condannato a morte se lo avesse incontrato per caso lungo la strada, aveva un posto d’onore in teatro e poteva testimoniare senza prestare giuramento.

Rilievo di Vestale con la tipica acconciatura

Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Ma quei privilegi avevano un costo: la violazione dell’obbligo di castità era un incestus, un sacrilegio che bisognava scontare con la morte. Morte orribile peraltro, che seguiva un rituale ben preciso: la donna, consacrata alla dea, non poteva trovare la morte per mano di un uomo. Così la sventurata, dopo essere stata frustata, con indosso un vestito funebre veniva condotta in un cocchio chiuso, al pari di un cadavere, al Campus sceleratus, sul colle del Quirinale, dove veniva praticamente sepolta viva, anche se con un piccolo lume a dare conforto, e un po’ di pane e acqua. La chiusura del sepolcro sanciva la sua definitiva scomparsa dal mondo, non solo fisica, ma anche nella memoria della città. Più immediata invece, anche se non meno terribile, la condanna dell’uomo correo dell’incestus, frustato fino alla morte.

 

Le narrazioni di Tito Livio e di Dionigi di Alicarnasso sottintendono in modo velato che le condanne a morte delle vestali avessero, in alcuni casi, la funzione di placare l’ira divina quando i tempi si facevano difficili. Calamità e prodigi infausti potevano provocare un’incertezza sociale destinata a sfociare in rivolte, da evitare compiendo un sacrificio agli dei. In quest’ottica, la condanna a morte di una vestale assume l’inquietante aspetto di un sacrificio umano, pur se nascosto dietro la colpa dell’incestus.

Condanna a morte a cui scamparono Crasso e la vestale Licinia. Pare che le attenzioni del nobile romano nei confronti della sacerdotessa avessero uno scopo meramente economico:

Crasso voleva ottenere a un prezzo di favore un terreno di proprietà di Licinia

L’accusa gli era forse stata rivolta, per interposta persona, dal suo rivale Pompeo, e questo spiega molto bene come andassero le cose anche quei tempi…

Sotto, Busto di Crasso conservato alla Gipsoteca di Copenhagen. Fotografia di Diagram Lajard condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

Le vestali, custodi di un culto millenario, mantennero inalterato il loro ruolo fino al IV secolo d.C., quando Teodosio ordinò di spegnere il sacro fuoco di Vesta. Pare che l’ultima vestale, incapace di impedire la profanazione, abbia lanciato una maledizione su tutti i discendenti dell’imperatore, maledizione che, secondo lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, “non andò perduta”.

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.