Quando si parla di genocidio (perché non si può usare un altro termine) dei nativi nordamericani, siamo tutti portati a pensare ai coloni che occupano le terre degli indigeni, alle guerre indiane, alle deportazioni, alla diffusione deliberata di malattie mortali, come il vaiolo, usate come armi chimiche. Tutti orrori che collochiamo nel 19° secolo, senza considerare che ancora fino alla metà degli anni ’50 del ‘900 l’emarginazione e la segregazione razziale erano ben presenti nella società statunitense e canadese.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
La battaglia di Little Big Horne
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Poi arrivano gli anni ’60 e ’70, quelli del pacifismo, degli Hippy, della lotta per i diritti civili. Proprio in quegli anni, così ricchi di ideali di giustizia e uguaglianza, il governo degli USA (ma anche del Canada) continua a portare avanti il suo programma di sterilizzazione forzata, una pratica usata per tenere sotto controllo le nascite in strati di popolazione considerate “inferiori”, come i nativi americani, ma non solo: a farne le spese sono anche afroamericani, immigrati, disabili fisici e mentali, così come persone classificate come “delinquenti”, o semplicemente “povere”.
Una politica di eugenetica che non ha nulla da invidiare alle teorie naziste, e che nasce sull’onda degli studi di Sir (sic!) Francis Galton
Tra il 1907 e il 1927 ben sedici stati degli USA emanano leggi sulla sterilizzazione obbligatoria
Nel 1927 in Virginia, Carrie Buck, che è una donna bianca con la sola colpa di essere povera, viene sterilizzata forzatamente per ordine del tribunale, a 17 anni, dopo aver partorito una bambina illegittima. Il caso, Buck vs Bell, finisce alla Corte Suprema, che conferma la sentenza: Carrie è la prima donna a essere sterilizzata in Virginia in base alla legge sull’eugenetica. Sua madre, Emma Buck, era stata definita “debole di mente”, “sessualmente promiscua” e rinchiusa in un istituto psichiatrico. Chissà perché i medici e il giudice danno per scontato che Carrie abbia ereditato i presunti problemi mentali della madre, così viene ricoverata nello stesso istituto, subito dopo il parto, a 17 anni. Per la bimba appena nata, Vivian, non c’è scampo: a soli sei mesi chi la esamina conclude che non è “normale”. Il giudice della Corte suprema, Oliver Wendell Holmes, conclude:
“È meglio per tutto il mondo, se invece di aspettare di giustiziare la prole degenerata per crimine o di lasciarli morire di fame per la loro imbecillità, la società può impedire a coloro che sono manifestamente inadatti a continuare la loro specie … Tre generazioni di imbecilli sono sufficienti“.
Carrie ed Emma Buck – 1924
Fonte: Arthur Estabrook Papers, Special Collections & Archives, University at Albany, SUNY
Il giudice non tiene conto che la gravidanza di Carrie è frutto di una violenza da parte di una persona della famiglia alla quale era affidata (oppure ne tiene conto eccome e decide di internare la ragazza per evitare lo scandalo), e non si accorge nemmeno che l’avvocato difensore è in combutta con quello dell’istituto psichiatrico dove sono internate madre e figlia, il Virginia’s Colony for Epileptics and Feebleminded. La sentenza della Corte Suprema consente di procedere alla sterilizzazione degli altri pazienti come prassi comune, “gli uomini il martedì, le donne il giovedì”.
Ma non finisce qui: anche la sorella di Carrie viene sterilizzata a sua insaputa. Scoprirà solo a 60 anni di aver subito un’isterectomia e non una banale operazione di appendicite, come le era stato detto. Carrie uscirà dall’istituto subito dopo la sterilizzazione: tanto ormai non poteva più mettere al mondo altri “imbecilli”…
Dopo Carrie, fino agli anni ’70, all’incirca 65.000 persone disabili sono state forzatamente sterilizzate negli USA.
Lo sforzo eugenetico degli Stati Uniti non sfugge ad Adolf Hitler, che scrive: “Oggi c’è uno stato in cui si notano almeno deboli inizi verso una migliore concezione [della razza]. Ovviamente non è la nostra Repubblica tedesca modello, ma gli Stati Uniti”.
Per contro, il direttore del Western State Hospital della Virginia, Joseph DeJarnette, lamenta che gli sforzi eugenetici negli USA non siano pari a quelli tedeschi:
“La Germania in sei anni ha sterilizzato circa 80.000 dei suoi non idonei mentre gli Stati Uniti, con circa il doppio della popolazione, ne hanno sterilizzati solo circa 27.869 al 1° gennaio 1938, negli ultimi 20 anni … Il fatto che ci siano 12.000.000 [persone] difettose (usa proprio questo termine: defectives) negli Stati Uniti dovrebbe suscitare i nostri migliori sforzi per spingere questa procedura al massimo.”
Le sterilizzazioni senza il consenso delle donne (ma la pratica coinvolge anche uomini), diventano una pratica comune per il controllo delle nascite nella popolazione afro-americana: negli stati del Sud si chiamavano “appendicectomia del Mississippi” le operazioni di asportazione dell’utero eseguite negli ospedali delle università per far fare pratica agli studenti di chirurgia. Le vittime di questi abusi medici sono giovani, molte sotto i 18 anni e qualcuna è addirittura bambina.
Le operazioni di appendicectomia sono proprio l’occasione per legare le tube o asportare l’utero a molte native americane: una sterilizzazione eseguita all’insaputa delle donne, tra il 1960 e il 1980. Sono migliaia, forse il 20-25% delle donne native, a essere sterilizzate senza esprimere il necessario consenso, attraverso una struttura sanitaria governativa, l’Indian Health Service (IHS), nata nel 1955 per occuparsi dell’assistenza sanitaria delle popolazioni indigene.
I medici dell’IHS erano preoccupati per gli alti tassi di natalità tra i nativi e allo stesso tempo convinti che “le donne indiane e di altre minoranze non avevano l’intelligenza per usare altri metodi di controllo delle nascite in modo efficace e che c’erano già troppe minoranze a causare problemi alla nazione” (Jane Lawrence, The Indian Health Service and the Sterilization of Native American Women).
Sotto, opuscolo creato dal Department of Health, Education, and Welfare (HEW) per esortare le donne native americane ad avere meno figli. A sinistra si illustra come sarebbero stati i genitori prima di adottare pratiche di pianificazione familiare (stanchi e con poche risorse) e dopo (felici e ricchi), a destra.
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Neppure una legge del 1974, che dovrebbe tutelare le donne dalla sterilizzazione forzata, impedisce a quei bravi medici di proseguire nella loro opera. Del resto, la loro preoccupazione è quella di garantire una qualità di vita migliore alle famiglie, visto che povertà e tanti figli non vanno d’accordo, e soprattutto rappresentano un costo per il governo federale. La situazione ideale è quella della borghesia bianca (nuclei familiari con pochi bambini), giusta e desiderabile quindi anche per i nativi, che magari ancora non lo sanno, ma che poi apprezzeranno. Senza contare che meno nascite tra i nativi significa anche meno lavoro per i medici dell’IHS – indian health services, che sono pochi e poco pagati…
Negli anni ’70 il tasso di natalità tra i nativi praticamente si dimezza (da 3,7 a 1,8 %), scendendo sotto quello delle donne bianche (2,14 %). Le conseguenze di questi abusi, se sono quantificabili statisticamente, non lo sono altrettanto per quanto riguardo l’effetto sulle native americane sterilizzate forzatamente: la perdita della possibilità di concepire risulta devastante per una donna che appartiene a una cultura dove la fertilità femminile è di primaria importanza, mentre la sterilità è causa di vergogna e isolamento sociale. Molte di loro hanno corso “il rischio di perdere il proprio posto nella comunità indiana, dove la sterilizzazione ha una particolare risonanza religiosa”.
Tutto questo è accaduto nei civilissimi Stati Uniti d’America, solo una quarantina d’anni fa, grazie a medici che di etica professionale non erano probabilmente esperti, ma che sicuramente qualcosa di eugenetica e nazismo dovevano sapere.