In epoca antica, gli avversari politici sconfitti facevano sempre una brutta fine. Era il caso degli imperatori romani, ma anche degli avversari degli spartani, degli ateniesi, dei persiani e via discorrendo… Gli esempi sono innumerevoli. Le punizioni erano diverse, ma ce n’è una in particolare, ovvero la morte, sì, ma dopo il giro “in trionfo” da parte del generale di turno. È il caso di Vercingetorige, capo delle tribù galliche, sconfitto ad Alesia da Giulio Cesare, portato in trionfo a Roma, tenuto prigioniero nel carcere Mamertino per sei anni e poi ucciso per strangolamento. Ma gli esempi sono infiniti.
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Diversa la sorte degli avversari politici degli imperatori bizantini, il nome moderno di quell’Impero romano d’Oriente che non aveva mai cessato di esistere, e che aveva ormai abbracciato il cristianesimo come unica religione in tutto il regno. Da qui e per tutto l’articolo utilizzerò romani, romei e bizantini come sinonimi, lo specifico perché chi è meno avvezzo alla terminologia storica potrebbe trovarsi in confusione.
La Mutilazione Politica
In moltissimi casi, gli imperatori bizantini non uccidevano l’avversario sconfitto o il rivale scomodo: lo mutilavano. La mutilazione era compendiata in base al tipo di offesa subita dal vincitore di turno, anche se la più ricorrente era di sicuro l’accecamento. Dopo l’accecamento c’era il taglio della lingua, l’amputazione delle mani o di un arto intero, il taglio del naso e la castrazione, forse la più grave di tutte, ma anche quella che lasciava qualche speranza alla vittima, quindi un eunuco, di ottenere comunque di nuovo del potere per sé, anche se non sarebbe mai potuto diventare di nuovo imperatore. Sì, perché lo scopo della mutilazione era quello di rendere l’avversario politico inabile a salire al trono.
Un aspetto forse sconvolgente delle mutilazioni politiche è che queste erano spesso perpetrate da familiari vicinissimi come fratelli, sorelle, figli e, in alcuni casi, persino madri e padri. Se vogliamo, il motivo era abbastanza logico: anziché uccidere un fratello o un figlio, lo si mutilava, relegandolo a una vita di clausura presso un monastero remoto, lontano dalla capitale Costantinopoli.
D’altronde, una volta mutilato, la vittima non poteva in nessun modo ambire al potere sul regno
L’imperatore, infatti, esercitava il potere per volere divino e il suo corpo doveva essere incorrotto. Non poteva avere una mano o un braccio in meno, avere segni evidenti sul volto o essere addirittura un “non uomo”, un eunuco, privato dell’apparato riproduttivo e, quindi, essere inabile a continuare la stirpe degli imperatori romani. Insomma, un mutilato era un uomo che non costituiva un pericolo, e l’Imperatore o i suoi alleati lo facevano mutilare, certi che lo avrebbero reso irrilevante nella vita politica del paese.

Il Primo Imperatore Mutilato
Il primo imperatore a subire la mutilazione politica fu Eraclio II, sovrano dei bizantini da febbraio a settembre del 641. Eraclio II era figlio di Eraclio I e Martina, la seconda moglie, e fratello di Costantino III, figlio di primo letto di Eraclio I. Alla morte del padre, Costantino III, all’epoca ventottenne, ed Eraclio II, quindicenne, divennero co-imperatori bizantini, regnando insieme a Costantinopoli. Ma a quei tempi la morte arrivava veloce, anche per due ragazzi giovanissimi come Eraclio e Costantino. Quest’ultimo era colui che deteneva il vero potere sull’Impero, perché era il fratello più grande e più forte, ma si ammalò, forse di tubercolosi, ed Eraclio II venne accusato di avvelenamento insieme alla madre Martina.

Martina, infatti, era la reggente, colei che deteneva il potere in vece di Eraclio II, ed era riuscita a creare una fazione contrapposta a quella di Costantino III. L’Impero era unito, ma le due persone che detenevano il potere la pensavano in modo diametralmente opposto. Martina era un’imperatrice più cauta, mentre Costantino III voleva riprendere velocemente alcuni territori conquistati dagli arabi. Sia come sia, Costantino III morì, forse di tubercolosi, forse ammazzato da Martina, e da maggio i bizantini ebbero un nuovo unico imperatore, Eraclio II.

A quel punto, l’imperatrice Martina si trovava in una situazione difficile, perché la situazione politica dell’Impero era davvero intricata. Gli arabi premevano dall’Egitto, il generale Valentino spingeva affinché venisse proclamato co-imperatore Costante II, figlio di Costantino III, e lei non riusciva a trovare la quadra della vicenda. Oltre questo, l’Impero versava in una situazione economica disastrosa, le truppe non venivano pagate e… successe l’inevitabile. Nell’agosto del 641, il generale Valentino raggiunse la Calcedonia, la regione di Costantinopoli, e pretese l’incoronazione di Costante II. Martina lo accontentò e proclamò Costante II co-imperatore, ma insieme a lui fece co-imperatori anche altri due suoi figli, Martino e Davide. Valentino non si accontentò e, nel settembre o nell’ottobre del 641, marciò su Costantinopoli, depose Martina ed Eraclio II e fece proclamare il giovanissimo Costante II imperatore dei romani.

A quel punto, come tante altre volte nella storia, i vinti sarebbero potuti finire decapitati, una morte onorevole per un nobile, oppure strangolati o impiccati, ma Valentino decise diversamente.
A Eraclio II fece tagliare il naso, mentre a Martina la lingua, per poi esiliarli entrambi a Rodi
A noi, oggi, può sembrare una punizione di minor conto, dopo aver conosciuto esecuzioni del tipo “impiccato-sventrato-squartato” per i traditori della corona inglese, oppure pensando all’impalamento degli ottomani o di Vlad III Dracul, ma, all’epoca, quella mutilazione ottenne lo stesso risultato delle peggiori esecuzioni capitali che abbiamo conosciuto nei secoli successivi. Di Eraclio II e Martina si perdono le tracce nella storia, non appaiono più in alcun documento ufficiale, dimenticati come fossero morti. Probabilmente, ma si tratta di congetture che non possono avere un riscontro certo, Eraclio II muore l’anno seguente, ormai dimenticato in esilio e senza alcuna speranza di poter prender parte a nuovi disegni politici.

Le mutilazioni
Prima di Eraclio II, si conoscono due persone, anche se non imperatori, che subirono la mutilazione per ordine di Eraclio I. Nel 637, a Giovanni Athalaricos, figlio stesso di Eraclio, furono tagliati il naso e le mani, perché aveva tentato di rovesciare il padre. Anche a Teodoro, durante la stessa congiura per aver appoggiato il fratello Giovanni, vennero amputate le mani, il naso e una gamba.
Così, per circa sette secoli, chiunque si ribellasse all’autorità costituita veniva mutilato. I più furono accecati, come, ad esempio, Leone Foca il vecchio nel 919, del quale ci rimane una precisissima miniatura che descrive la procedura della mutilazione. Fra l’altro, di Leone Foca si sa con certezza che non fu solo accecato, ma anche ucciso. Probabilmente, il suo avversario Romano Lecapeno, proclamato Imperatore nel 920, lo temeva moltissimo.

In linea di massima, gli accecati furono innumerevoli. Costantino Diogene, Niceforo Diogene, Giovanni IV Lascaris, Callinico I, Costantino VI, Bardas Foca, Artavasde e via discorrendo, la lista è lunghissima.
Oltre all’accecamento, andava per la maggiore anche la castrazione

Ad esempio Teofilatto, Staurakios e Niceta, nell’813, vennero castrati per ordine di Leone V l’Armeno, generale e imperatore, dopo che aveva ottenuto il potere acclamato dal popolo a discapito di Michele I Rangabe. È una storia interessante da raccontare, perché si comprende come, in questo caso, la castrazione fu un’opera di clemenza. Michele era stato eletto grazie all’appoggio della chiesa, ma non era un generale di valore. Leone V, invece, era un fiero combattente, che ottenne l’appoggio sia delle truppe sia del popolo.
Così, Michele, il giorno in cui Leone entrò trionfante a Costantinopoli, abdicò in favore del nuovo imperatore
Leone, dal canto suo, non aveva nulla contro Michele. Decise che questi avrebbe vissuto in esilio a Kınalıada, di fronte a Costantinopoli, insieme alla moglie e al resto della famiglia, ma fece comunque castrare i figli maschi di Michele per assicurarsi che non si facessero avanti per rivendicare il titolo di imperatore.
In questo modo, Teofilatto, Staurakios e Niceta non avrebbero potuto avere figli in grado di insediare il trono
Chi la fa l’aspetti
Ma il destino, a volte, sa rendere pan per focaccia. Leone V aveva un migliore amico, Michele l’Amoriano, che lo aveva appoggiato nella sua salita al trono. I due erano stati compagni d’armi e compagni politici durante il regno di Leone, ma, a un certo punto, qualcosa si era rotto. Il casus belli fu il divorzio di Leone dalla moglie, che era cognata di Michele. La tensione fra i due salì fino a quando, alla vigilia di Natale dell’820, Leone V lo fece arrestare con l’intenzione di condannarlo a morte. A quel punto, l’imperatore tergiversò: lasciò Michele in prigione, non uccidendolo subito, durante la vigilia e questi riuscì a mettersi in contatto con altri ribelli.

Nel giro di poche ore fu liberato, organizzò una rivolta e raggiunse Leone V nella Cappella di Santo Stefano a Costantinopoli, dove si stava celebrando la messa per la notte di Natale. Lui e i congiurati uccisero l’Imperatore, Michele fu acclamato Imperatore dai cospiratori e incoronato il giorno seguente dal Patriarca di Costantinopoli, Teodato I.
Ma Leone aveva quattro figli maschi, Simbatio, Basilio, Gregorio e Teodosio. Indovinate un po’ che punizione subirono? Furono evirati tutti e quattro, e confinati in un monastero in un’isola di fronte a Costantinopoli. Chissà se era proprio la stessa dove Leone V, sette anni prima, aveva fatto confinare i tre figli di Michele I Rangabe.

L’ultimo mutilato
E così, per circa sette secoli, gli avversari politici venivano mutilati per essere fermati nella loro azione di contrasto all’autorità costituita. L’ultimo celebre condannato alla mutilazione fu Alessio Filantropeno, che subì l’accecamento nel 1295. Alessio era un valoroso generale bizantino, terrore dei turchi che spingevano da Oriente, e aveva complottato contro l’Imperatore Andronico II Paleologo. I fedeli di Andronico riuscirono a rovesciare il complotto, a far accecare Alessio e a ridurlo alla totale impotenza.

Di lui si persero le tracce per circa trent’anni, ma, nel 1324, il vecchio Imperatore Andronico II Paleologo lo richiamò in servizio, perdonandolo ufficialmente. Alessio fu messo a capo dell’esercito che doveva riconquistare Alaşehir, e il solo fatto che ci fosse lui a guidare le truppe fu sufficiente a gettare nel terrore i turchi e a far vincere l’esercito Bizantino.
Quasi dieci anni dopo, nel 1335, Alessio Filantropeno fu il comandante di un’altra vittoriosa spedizione, quella contro i genovesi che avevano conquistato l’isola di Lesbo. Alessio comandò la flotta di 85 navi contro l’isola, la riconquistò ai danni del signore genovese Domenico Cattaneo e fu portato in trionfo come un novello Belisario del XIV secolo. Alessio Filantropeno fu governatore dell’isola fino al 1340 circa, o agli anni ’40 del XIV secolo, per essere più precisi, quando probabilmente morì, un destino glorioso per l’ultimo mutilato celebre dell’Impero bizantino.

L’unico mutilato al trono
In mezzo a tutte queste storie di mutilati, però, c’è qualcuno la cui biografia è molto particolare: parliamo di Giustiniano II Rinotmeto, che significa “naso tagliato”, ultimo esponente della dinastia eracliana. Giustianiano II fu imperatore per due volte, dal 685 al 695 e poi di nuovo dal 705 al 711, quando morì. Dopo la prima esperienza di governo, fu deposto e gli venne tagliato il naso dal suo avversario, Leonzio, sicuro che questo avrebbe impedito a Giustiniano di salire nuovamente al trono.
Ma Leonzio si pentì presto di averlo solo mutilato

Giustiniano fu deposto nel 695 e, nel giro di una decina di anni, riuscì a ottenere l’appoggio dei suoi vecchi nemici, i bulgari, a entrare a Costantinopoli e a rovesciare l’imperatore che aveva sostituito Leonzio, Tiberio III. Giustiniano II non si mostrò tanto clemente con i suoi vecchi avversari. Condannò a morte Leonzio, detenuto in carcere, e Tiberio III, e operò una serie di “purghe” volte a reprimere le fazioni ribelli. Giustiniano governò i successivi sei anni con un celebre naso d’oro, una preziosa protesi che consentì all’imperatore di essere ritenuto degno di fronte a Dio.

Ma il suo destino fu comunque terribile. Dopo sei anni di regno, un nuovo avversario, Filippico Bardane, riuscì ad occupare Costantinopoli e ad aizzare il popolo contro l’imperatore. Giustiniano II fu raggiunto fuori dalla città e condannato a morte per decapitazione. La sua testa fece il giro del Mediterraneo, raggiungendo Roma e Ravenna, esarcato Bizantino, in modo da mostrare la morte del sovrano mutilato a tutti i cittadini del regno.

Il figlio sedicenne dell’imperatore, Tiberio, fu raggiunto nel santuario di Santa Maria delle Blacherne dalle truppe di Filippico. Strappato dall’altare al quale si aggrappava disperatamente, fu trascinato fuori e ammazzato in quattro e quattr’otto. Probabilmente, il nuovo imperatore aveva imparato la lezione di Leonzio: meglio uccidere un eracliano, anziché mutilarlo. Non si sa mai che gli venga voglia di tornare al trono…