Le Kunoichi: donne-Ninja fra leggenda e realtà

Avete mai sentito parlare dei “Ninja”? Sicuramente sì, ma per chi avesse dei dubbi al riguardo, basta ricordare che i Ninja (Shinobi è in realtà la parola originale) erano spie/mercenari giapponesi comparsi nel periodo chiamato “Sengoku” o “degli Stati combattenti”, in cui il Giappone, non ancora unificato, era diviso in tanti piccoli feudi in perenne conflitto fra loro.

Disegno di un ninja archetipico, da una serie di schizzi di Hokusai manga di Katsushika Hokusai

Immagine di pubblico dominio

Siamo per la precisione tra la metà del 1400 e i primi del 1600, e nel mondo dei ninja intelligenza e abilità strategiche facevano la differenza tra la vita e la morte. Tutti volevano stringere alleanze con tutti, e nessuno si fidava di nessuno. È in questo ambiente che nascono i ninja, mercenari che spiavano, sabotavano e, se la situazione lo richiedeva, uccidevano, senza tener conto di quelle regole e codici morali che hanno reso i guerrieri samurai famosi nel mondo.

La parola “ninja” nella scrittura kanji

Immagine di pubblico dominio

Ma oggi non voglio parlarvi dei ninja, o meglio, non di quelli tradizionali.

Vorrei porre l’attenzione su delle figure molto particolari, sospese tra storia e leggenda: si tratta delle “Kunoichi” (in giapponese くノ一), ovvero ninja donne, che si dice siano vissute in quello stesso periodo di guerre interminabili.

Innanzi tutto, perché il nome “Kunoichi”?

L’etimologia di questa parola sembra derivare dall’unione dei tratti che compongono l’ideogramma della parola donna: infatti, mettendo insieme ku → “く” no →”ノ” e l’ideogramma del numero 1, che in giapponese si dice “ichi”→ “一”, otterremo → “女”, ovvero “onna”, che in italiano si traduce con il termine donna.

Si è ipotizzato che il primo ad usare la parola Kunoichi sia stato lo scrittore Futarō Yamada, in un suo libro del 1964, intitolato “Ninpō Hakkenden” (忍法八犬), riferendosi appunto a dei ninja donna.

Tuttavia, l’origine della parola rimane ancora oggi non molto chiara; si sono infatti susseguite diverse teorie, tra le quali anche una che indica in “Kunoichi” un termine in codice che nasconderebbe un segreto ben più grande, ormai perso per sempre fra le pieghe del tempo.

Il guerriero ninja Yamato Takeru travestito da cameriera, mentre si prepara a uccidere i capi kumaso

Immagine di pubblico dominio

Esiste un libro intitolato “Bansenshūkai” (萬川集海), redatto nel 1676 da Fujibayashi Yasutake, dove sono raccolte tutte le conoscenze dei ninja appartenenti ai clan più importanti, tra quelli che praticavano questa arte, ovvero gli Iga e i Kōga.

Il libro, oltre a illustrare strategie militari e credenze astrologiche, a descrivere le armi utilizzate e il modo di usarle in combattimento, parlerebbe anche dell’arte delle kunoichi, focalizzandosi sul loro addestramento e sulle loro principali funzioni.

Diagramma dal Bansenshukai che usa la divinazione e la cosmologia esoterica (Onmyōdō) per individuare il momento ideale per compiere determinate azioni

Immagine di pubblico dominio

Le kunoichi sfruttavano proprio il fatto di essere donne: alcune si vestivano da geisha per sedurre il nemico, reperire informazioni preziose e, se necessario, ucciderlo nel buio della notte. Erano addestrate nel combattimento corpo a corpo, di cui si servivano però solamente se scoperte, ma più di ogni cosa veniva loro insegnato l’uso dei veleni. Un esempio è la tecnica chiamata “Neko-te”, letteralmente “mani-gatto”: venivano applicate alle dita delle unghie di metallo intrise di veleno, per graffiare l’avversario come usa fare un gatto.

L’utilizzo di oggetti comuni come armi, al momento del bisogno, era un’altra delle loro specialità: poteva trattarsi di un ventaglio o un ombrello, oppure addirittura dei classici zoccoli, che erano di legno duro.

Tra le tante (presunte) Kunoichi però, solo una emergerà e diventerà famosa:

Mochizuki Chiyome

Il suo nome compare per la prima volta nel 1971, in un libro di un certo Shisei Inagaki, intitolato “Investigazione sulla storia giapponese” (考証日本史), nel quale si narra appunto di Mochizuki, una nobildonna che, secondo l’autore, sarebbe vissuta nel sedicesimo secolo, sposata con un samurai poi ferito a morte in una delle cinque battaglie di Kawanakajima (avvenute negli anni 1553; 1555; 1557; 1561; 1564). Rimasta sola venne affidata allo zio del marito, il potente daimyō Takeda Shingen (storicamente esistito). Fu proprio lui a proporle di costituire un clan di kunoichi per sconfiggere il nemico Oda Nobunaga, che stava velocemente unificando il Giappone sotto il suo comando.

Mochizuki allora mise su una banda composta da prostitute, orfane e vittime di quella guerra che non sembrava dare cenno di fermarsi.

Si dice che l’organizzazione di Mochizuki contasse dalle 200 alle 300 ragazze, che spiavano il nemico per conto di Takeda Shingen.

Dopo la morte di Takeda però, Mochizuki sparisce da ogni fonte giunta nella nostra epoca.

Le pianure di Iga, tra montagne isolate, diedero luogo a villaggi specializzati nella formazione di ninja

Immagine via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

L’esistenza delle Kunoichi e in particolare di Mochizuki potrebbe in realtà essere solo una leggenda, visto che lo scrittore Inagaki non era un accademico e non si basò su documenti storici. Il suo libro infatti scatenò le critiche di storici e studiosi, come il professore Katsuya Yoshimaru, associato presso l’università di Mie, esperto della letteratura e della storia ninja del periodo Edo.

Il professore, analizzando il libro di Inagaki, ne evidenzia le incongruenze storiche: del marito di Mochizuki non è possibile sapere se morì realmente in una delle battaglie di Kawanakajima, perché non ci sono elementi storici certi che possano descrivere i dettagli di quelle battaglie, che invece Inagaki racconta ampiamente nel suo testo. Non c’è inoltre nessun documento sottoscritto dal daimyō Shingen che testimoni la richiesta di creare una squadra di Kunoichi da utilizzare per i suoi scopi di conquista, e quindi anche la loro effettiva attività in quegli anni.

Una pagina del Shoninki (1681) descrive un elenco di possibili travestimenti

Immagine di pubblico dominio

Il nome di Mochizuki divenne comunque via via sempre più famoso, dopo che comparve in un articolo pubblicato nel 1991 dal giornale “History Reader” (歴史読本 ), dal titolo “Extraordinary Special Issue: All the Definitive Types of Ninja” (臨時増刊号『決定版「忍者」の全て)

In questo articolo si diceva che la nobildonna era un ninja appartenete al rango più alto, ma secondo il professor Yoshimaru non è mai esistita una classifica del genere all’interno della categoria dei ninja.

Insomma, nessun documento storico testimonia in alcun modo l’esistenza effettiva delle Kunoichi, né tanto meno di Mochizuki Chiyome. Chissà se verrà mai alla luce una prova della loro esistenza, o se saranno destinate anche loro, come tanti altri personaggi, a rimanere figure imprecise, sagome che scorgiamo con difficoltà nelle notti di vento e di tempesta.

Manuela Amato

Laureata in giapponese vivo ora a Tokyo. Sono appassionata di Giappone e storia. Nel tempo libero faccio video su YouTube e mi dedico alla scrittura. Sono sempre impegnata nella costruzione del mio destino.